Le cittá sono la ricchezza delle nazioni

Un nuovo modo di vedere l’economia

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Come ridurre la disuguaglianza tra ricchi e poveri

Posted by janejacobs su giugno 26, 2009

Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un aumento della disuguaglianza tra ricchi e poveri. Nei Paesi Ricchi un numero relativamente esiguo di persone ha avuto modo di arricchirsi molto, mentre la maggioranza si e’ vista ridurre  il potere d’acquisto dei propri salari. Fra le possibili cause dell’aumento di questa disuguaglianza ci sono:

• il cambiamento tecnologico

• l’aumento degli scambi commerciali con l’estero (la cosidetta globalizzazione)

• l’immigrazione

• la diminuzione del peso dei sindacati

Come si possono fermare o rallentare queste disuguaglianze? E’ difficile dare una risposta breve, chiara e coincisa ad un problema cosi’ complesso, ma sembra che l’ istruzione e l’educazione siano la chiave per risolvere questo problema. L’educazione non dovrebbe fermarsi solo all’interno di scuole ed universita’, ma dovrebbe continuare anche all’interno dei luoghi di lavoro.

L’economia dei Paesi Ricchi si e’gia’ trasformata da industriale a terziaria. La produzione e’ diventata piu’ complessa  attraverso catene di montaggio “globali” che richiedono competenze avanzate.

Ma quali sono queste competenze? Alcuni ritengono che ci sia bisogno di

• conoscenza dell’informatica

• lingue straniere

• capacita’ di condurre un progetto portato avanti da un gruppo di persone che risiedono in citta’ o Paesi diversi

Basteranno educare i lavoratori a queste competenze o ci vorra’ anche altro?

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L’alba dell’Universita’

Posted by janejacobs su ottobre 30, 2008

Universitari Medievali

L’Università di Bologna nacque nel 1088 ed e’ la prima Università del mondo. L’Universita’ di Bologna era una organizzazione fra studenti che sceglievano e finanziavano in prima persona i docenti. Essi si organizzarono in collegi per l’aiuto reciproco fra compagni della stessa nazionalità divise in intramontani ed ultramontani. Già nel XII secolo erano ben 17 le subnationes intramontane e 14 le ultramontane. Tutti parlavano il latino, la lingua franca di allora.

Bologna

L’origine dell’Universita’ si deve all’incontro di insigni studiosi di diritto detti glossatori che furono chiamati a commentare gli antichi Codici del Diritto Romano. I primi studi furono quindi incentrati sul diritto e fra i primi eruditi di cui si ha documentazione sono Pepone, Irnerio e Graziano, autore del primo manuale di diritto canonico.

Ma come si trasmise il sapere a questi primi eruditi che fondatono la prima grande universita’ del mondo Occidentale?

Se facciamo un passo indietro nei secoli, scopriamo che nel VI secolo un senatore dell’Impero Romano d’Oriente, di nome Cassiodoro, ebbe una precoce visione del ruolo culturale che avrebbe avuto il monastero. Intorno alla metà del secolo, Cassiodoro fondò nell’odierna Calabria il monastero di Vivarium e lo fornì di una bella biblioteca – la sola biblioteca del VI secolo che gli studiosi conoscano – ponendo in primo piano l’importanza della copiatura dei codici. Alcuni importanti codici cristiani trascritti a Vivarium sembra siano giunti sin nella Biblioteca Lateranense e nelle mani dei papi.

A Vivarium e ad altre biblioteche monastiche che dobbiamo la sopravvivenza della letteratura latina antica nella sua quasi totalità. Così, anche quando non dava un contributo originale suo proprio, la Chiesa conservava libri e documenti che si sarebbero rivelati di importanza cruciale per la civiltà che avrebbe salvato. La Chiesa, in effetti, curò, preservò, studiò e insegnò le opere degli antichi, che altrimenti sarebbero andate perdute.

Alcuni monasteri furono conosciuti per la loro perizia in particolari rami del sapere. Così, per esempio, i monaci di San Benigno, a Digione, impartivano lezioni di medicina; il monastero di San Gallo, nell’odierna Svizzera, aveva una scuola di pittura e incisione, e in certi monasteri tedeschi si poteva assistere a lezioni di greco antico, ebraico e arabo.

Spesso i monaci arricchivano la propria istruzione frequentando una o più di una delle scuole monastiche fondate durante la rinascita carolingia e oltre.

L’ammirazione che la civiltà occidentale nutre per la parola scritta e per i classici viene dalla Chiesa Cattolica, che durante le invasioni barbariche preservò l’una e gli altri.

Sebbene in misura variabile nel corso dei secoli, i monaci furono anche insegnanti. San Giovanni Crisostomo ci dice che già al suo tempo (c. 347-407) vigeva la consuetudine, tra la popolazione di Antiochia, di mandare i propri figli a studiare presso i monaci. San Benedetto insegnò ai figli dei nobili romani, san Bonifacio stabilì una scuola in ogni monastero da lui fondato in Germania, e in Inghilterra Sant’Agostino e i suoi monaci aprirono scuole ovunque si recassero. A san Patrizio si attribuisce l’incoraggiamento degli studi sull’Irlanda. I monasteri irlandesi si sarebbero sviluppati in importanti centri di sapere, che dispensavano istruzione tanto ai monaci quanto ai laici.

 Tuttavia, per coloro che non pronunciavano i voti monastici, la maggior parte dell’istruzione si svolgeva in luoghi separati e, in seguito, nelle scuole delle cattedrali fondate durante il regno di Carlo Magno. Ma quand’anche il contributo dei monasteri all’istruzione fosse stato limitato all’insegnare a leggere e a scrivere, avrebbe comunque rappresentato un’opera di non poca importanza.

Alla catastrofe che colpì i Micenei nel XII secolo a.C. – un’invasione dei Dori, secondo alcuni studiosi – seguì un periodo, di tre secoli, di totale analfabetismo, noto come “il Medioevo greco”. La scrittura semplicemente sparì, sommersa dal caos. Invece, l’impegno profuso dai monaci nella lettura, nella scrittura e nell’istruzione fece sì che la terribile sorte che colpì i Micenei non toccasse agli europei in seguito alla caduta dell’Impero Romano. Fu grazie ai monaci che questa volta l’alfabetismo sopravvisse alla catastrofe politica e sociale.

I monaci fecero però ben più che preservare la capacità di leggere e scrivere. Uno studioso mal disposto non ha potuto non ammettere, a proposito dell’istruzione monastica: «Studiavano le canzoni dei poeti pagani e le opere degli storici e dei filosofi. I monasteri e le scuole monastiche fiorivano e ogni insediamento diventava un centro di vita religiosa, oltre che di istruzione». Un altro cronista non ben disposto scrisse dei monaci: «Non solo stabilirono scuole, nelle quali furono i maestri, ma posero le fondamenta per le università. Furono i pensatori e i filosofi del loro tempo e diedero forma al pensiero politico e religioso. Fu a loro, sia come individui sia come collettività, che si deve la continuità del pensiero dal mondo antico al basso Medioevo, all’età moderna».

 Tra le altre cose, i monaci insegnarono metallurgia, introdussero nuove coltivazioni, copiarono testi antichi, preservarono la capacità di leggere e scrivere, furono pionieri della tecnologia, inventarono lo champagne, diedero rifugio a viaggiatori di ogni dove, si presero a cuore chi si era smarrito e chi aveva fatto naufragio. Nella storia della civiltà occidentale chi altri può vantare lo stesso primato? Ma la Chiesa che diede all’Occidente i monaci creò anche l’università, come vedremo nel capitolo seguente.

Mentre nell’XI secolo la cultura si identificava con ciò che si poteva imparare coltivando le sette arti liberali del trivio e del quadrivio, nel XII secolo si erano aggiunte la logica, la matematica, l’astronomia, il diritto, la medicina e la teologia: ma giunti a questo punto, il sapere si era tanto esteso da esigere una istituzione in grado di conservare e accrescere il sapere stesso.

Il mondo antico greco-romano non aveva conosciuto qualcosa di analogo alle università: se questo termine viene impiegato a proposito delle scuole filosofiche di Atene si tratta di un uso improprio, perché quelle istituzioni, anche quando gli insegnamenti erano sovvenzionati dallo Stato, non si erano organizzate in facoltà e istituti in possesso di un piano di studi determinato, con un titolo di laurea a conclusione degli studi. L’università come la conosciamo noi è creazione del medioevo.

Il termine “università” deriva dalla dizione universitas societas magistrorum discipulorumque, nel significato di corporazione generale dei maestri e degli studenti, la migliore definizione di università. Il termine “università” veniva impiegato per molte altre corporazioni, anche per indicare i comuni, ossia le associazioni volontarie e giurate di un gruppo di uomini che stabilivano di darsi un determinato statuto per autogovernarsi.

Sembra che in Italia le università siano nate da corporazioni di studenti che si riunivano dandosi uno statuto in forza del quale chiamavano a far parte della corporazione maestri idonei a insegnare una disciplina, e che il rettore, il capo della corporazione, venisse nominato dagli studenti.
  
Gli studenti avevano un abbigliamento ben definito e uno status giuridico riconosciuto dalle autorità civili ed ecclesiastiche. Quando superavano le prove previste dalla corporazione e desideravano continuare a studiare perché avevano talento, ricevevano un attestato, la venia docendi, continuando a rimanere nella corporazione come maestri, proprio allo stesso modo degli altri artigiani che entravano in una corporazione come garzoni e poi, se apprendevano l’arte in modo adeguato, rimanevano nella corporazione col grado di maestri e col diritto di aprire una bottega propria. L’origine dei titoli accademici, la laurea, fu perciò la licenza di insegnare, ancora adombrata nel titolo di “dottore” che conclude ancor oggi i corsi universitari.

La prova conclusiva dei candidati al titolo di dottore era una lezione tipo o inceptio, tenuta davanti ai maestri della corporazione, proprio come si fa ai giorni nostri con la dissertazione di laurea, al termine della quale il preside della facoltà proclama il candidato uguale ai maestri, capace di insegnare ciò che ha dimostrato di conoscere quanto loro.

Sorbona

All’inizio la corporazione degli studenti non aveva edifici propri e perciò doveva chiedere alloggio a un monastero o a una scuola cattedrale che avevano sempre locali destinati all’insegnamento, ma quando il numero degli studenti crebbe, fu necessario provvedere a nuovi edifici. La Sorbona di Parigi nacque per iniziativa di Robert de Sorbon che lasciò una somma di denaro per costruire un collegio in grado di ospitare numerosi studenti di teologia.

Nel XII secolo l’importanza delle cattedrali divenne massima come centro pulsante della vita religiosa di ogni città: le scuole annesse alla cattedrale ebbero analogo impulso, divenendo tanto importanti da vivere di vita autonoma, come accadde per le università di Parigi e di Orléans. A differenza di quanto avvenne in Italia, nelle università francesi finirono per prevalere i maestri, e perciò il rettore era nominato da loro. Si può affermare che la vita studentesca fu più turbolenta in Italia proprio in forza del maggior potere che avevano gli studenti e dove era perciò possibile che avvenisse l’abbandono da parte di un maestro che si trasferiva altrove portandosi dietro un codazzo di studenti: l’università di Padova nacque nel 1222 da una secessione di alcuni insegnanti di Bologna che, stanchi della turbolenta vita bolognese, si trasferirono aprendo il nuovo studio.

Padova

La presenza di tanti studenti forestieri ha condizionato lo sviluppo urbanistico di Bologna e Padova: poiché mancavano gli alloggi, i proprietari delle abitazioni ottennero di occupare una parte della strada costruendo un portico che permetteva il transito dei passanti, e sopra il portico era costruita una stanzetta con letto, tavolo, sedia e un lume: il tutto veniva affittato allo studente per la durata degli studi. Le fonti sono ricche di notizie circa disordini e tafferugli creati dalla presenza di studenti nelle città medievali, con pestaggi e successive pacificazioni tra la corporazione degli studenti e le autorità cittadine, che a volte si dimostrarono tanto intolleranti da far emigrare la corporazione studentesca verso città più compiacenti.

Verso l’anno 1200 il re di Francia Filippo Augusto, e più ancora il papa, presero sotto la loro protezione l’interessante movimento universitario. In quell’anno Filippo Augusto riconobbe con decreto la corporazione degli studenti di Parigi e dei loro maestri, rimproverando il prevosto (il capo della polizia) per aver attaccato un albergo di studenti tedeschi, causando la morte di alcuni di loro: il re stabilì che gli studenti stranieri dovevano ricevere giustizia e protezione per i loro averi sottraendoli alle corti giudiziarie ordinarie.

 

Oxford

Il motivo per cui Oxford divenne la prima università inglese non è conosciuto: non era sede di cattedrale e non eccelleva per alcun altro titolo sulle città inglesi del tempo, molte delle quali erano assai più idonee ad accogliere quell’importante istituzione: forse il motivo va cercato nella convenienza di tener lontani dalla capitale i sempre turbolenti studenti, come fece Venezia che li confinò a Padova, o Milano che li confinò a Pavia fino a tempi recenti.

Pavia

A differenza di quelle moderne, le università del Medioevo concepiscono l’essere umano come una piramide, alla base della quale vi è la natura corporea, al di sopra quella sociale e politica, al vertice quell’elemento soprannaturale, che può essere soddisfatto solo dalla contemplazione divina. Dunque, tre indirizzi fondamentali: medicina, diritto, teologia.

Ma è la teologia la regina delle scienze, che viene insegnata secondo due metodologie ben distinte. Vi è la lezione tradizionale, per così dire «ex cathedra», nel corso della quale il docente legge e commenta un testo sacro o dottrinale. E vi è poi la cosiddetta «disputa», in cui la scolaresca è chiamata alla partecipazione diretta, secondo uno schema prestabilito (quaestiones disputatae) oppure affidandosi all’improvvisazione (quaestiones quodlibetales). Insomma, una disciplina che sembrerebbe escludere ogni forma di contributo “dal basso”, di elaborazione personale, di riflessione autonoma, in questo Medioevo, che non cessa mai di stupirci, si rivela invece una autentica palestra del genio del singolo.

Altro che oscurantismo. Il clima sociale e culturale da cui sono nate le Università medievali era estremamente libero e audace. Come era il corso di studi? E gli esami?

Aula magna di una facoltà di Legge. Sta facendo lezione un celebre giurista. E’ una lezione mattutina, quando il maestro parla ex cathedra non lo si può interrompere neanche con domande. Entra nell’aula uno sconosciuto e chiede il permesso di prendere parola, ottenutolo inizia a esprimere dubbi sull’interpretazione che il celebre maestro stava proponendo di un passo del codice: «Al vostro posto io non avrei detto agli studenti quello che avete detto voi». Inizia una discussione e l’intruso argomenta sino a convincere il professore il quale, sceso dalla cattedra, lo abbraccia e gli chiede chi sia. Riconosciutolo come un suo allievo dell’anno precedente lo raccomanda al suo uditorio e lo invita a pranzo.Non è il sogno di uno studente di giurisprudenza bocciato all’esame di diritto costituzionale, ma un fatto realmente accaduto in una Università medievale con protagonista il celebre giurista Azzone. A raccontarlo è uno dei più preparati e forse il più simpatico storico del Medio Evo. Un agnostico amante della cristianità medievale, di san Benedetto e dei suoi monaci, che ha definito l’Università il «prodotto autentico, specifico, genuino, dell’umanesimo cristiano». Solo la civiltà cristiana del Medio Evo ha creato Università: più di 80 in soli tre secoli, nel 1602 se ne contano 106 in Europa e solo due costruite dagli Spagnoli, «appena sbarcati», in America Latina; non se ne trovano altre in nessuna parte del mondo.

Domanda. L’episodio citato mostra un rapporto molto particolare tra professori e studenti nelle Università medievali.Dante, quando incontra Brunetto Latini nell’Inferno lo definisce «dolce maestro dolce padre» è un saluto che mostra come i rapporti tra maestro e discepolo fossero personalizzati ed umani. Gli studenti erano pochi, ma gli Acta delle Università di Bologna, di Padova o di Parigi addirittura si rammaricavano “purtroppo non conosciamo più tutti i nostri studenti”. Questo vuole dire che durante i secoli medievali gli studenti, per esempio a Bologna, erano qualche centinaio, al massimo tremila.

E’ difficile pronunciarsi sui numeri perché il Medio Evo non ha il senso del numero, della quantità; «molto» può voler dire centomila o cento, bisogna fare degli studi difficilissimi per poter stabilire il numero più o meno esatto degli abitanti di una città. E’ evidente, ad esempio, che in piazza San Petronio non ci possono stare centomila persone, ma le cronache ci riferiscono questo numero per dire che vi era una folla fitta fitta.I rapporti tra studenti e maestri erano anche molto informali. L’Università con i suoi edifici come oggi noi la vediamo non esisteva, gli studenti all’inizio andavano ad ascoltare il maestro nella sua abitazione e spesso abitavano presso di lui. Anche i corsi di chirurgia o di anatomia venivano svolti nella casa del professore, con il cadavere lì in casa. I professori erano per lo più giovanissimi, i neo dottori infatti potevano il giorno dopo la laurea aprire una scuola. Gli allievi pagavano direttamente al professore, e questo portava non di rado anche a liti tra maestri e allievi che si dimenticavano di assolvere il loro debito, abbiamo testimonianze di un professore che fece sciopero perchè non pagato dai suoi allievi.

Perchè il nome Universitas? Bisogna parlare innanzitutto della facoltà delle Arti liberali. Era obbligatoria; non si poteva frequentare medicina o diritto canonico, o qualsiasi altra facoltà senza aver frequentato questi corsi di cultura generale che davano l’essenziale: una visione dell’Uomo nei suoi rapporti con gli altri uomini, con la Città e con Dio. La vita dello studente del secolo XII e XIII ha un senso: significato e direzione. In essa si studiava matematica, diritto, economia, canto, musica, filosofia, letteratura latina e tutto ciò che riguardava la cultura generale. Si iniziava a frequentarla a 15-16 anni e si richiedeva la conoscenza del latino; chi non lo conosceva bene lo imparava in pochi mesi seguendo le lezioni. Si parlava solo latino, la lingua comune nella varietà dei dialetti italiani ed europei degli studenti. Chi usava espressioni non latine anche in un momento di gioco riceveva una multa, talvolta persino le ingiurie o le bestemmie si facevano in latino, gli abitanti stessi di Bologna conoscevano il latino per poter discutere con gli studenti.Fatto questo corso le strade possibili erano per esempio il diritto civile o il diritto canonico, teologia, scienza, medicina, che nei primi tempi compariva nella facoltà di belle arti, ma poi si è sviluppata a tal punto che ha costituito una sua propria facoltà.

I corsi di anatomia sorsero seguendo la volontà di Roma; l’opposizione del papato alla medicina è pura leggenda. L’esempio di Vesario, sempre citato, condannato a morte per aver sottratto un cadavere per poi sezionarlo è una punizione per il fatto di essere andato contro le leggi civili avendo rubato un cadavere. Anche altri studenti furono condannati per aver rubato dei cadaveri magari dalle loro stesse case, tanto era il bisogno di conoscere l’anatomia umana. Era talmente chiara la posizione della Chiesa in merito e a favore della scienza che un santo come sant’Ignazio di Loyola ha dato il suo corpo alla scienza al momento della sua morte.

Gli studenti erano solo maschi, venivano da tutta l’Europa: dalla Spagna, dalla Scozia, dai Paesi Baltici, dalla Sicilia, da venti, venticinque nazioni. La maggioranza proveniva dall’alta borghesia o dalla nobiltà, soprattutto tedesca e olandese, ma non erano necessariamente tutti ricchi: abbiamo la prova dell’esistenza di studenti detti «poveri», quelli che avevano i genitori non in grado di pagare tutto al figlio. Questi ricevevano dei sussidi per poter completare gli studi; tutti avevano una «borsa» contenente i soldi necessari per pagare lezioni, vitto e alloggio, veniva chiamato borsarius lo studente che la riceveva perché povero; da qui deriva la nostra borsa di studio.

Gli studenti medievali studiavano moltissimo. Nel XII secolo è viva una forte passione per lo studio, si trascorrevano notti intere a discutere o a leggere; l’idea di un periodo storico oscurantista è falsa. Vi furono pochissime altre epoche in cui il senso cosciente del bisogno di sapere è stato così forte come nel XII o XIII secolo che sono inoltre definibili come secoli razionali, razionalisti, secoli in cui si ha una fiducia immensa e indistruttibile nelle capacità della ragione ?talvolta persino eccessiva? nella scienza e negli esperimenti scientifici.

Lezioni si svolgevano in forma di letture durante la mattina e di ripetizione nel pomeriggio. I maestri dovevano inoltre organizzare le dispute, vero caposaldo del metodo di grandi teologi come Tommaso d’Aquino. Nella disputa tutti dovevano intervenire, e chi non vi prendeva parte non poteva presentarsi all’esame. Il maestro poneva un tema di discussione che, trattandosi di un esercizio, non doveva essere necessariamente ortodosso; si è discusso realmente di tutto, anche se la religione cristiana è o no una leggenda come tutte le altre. Vi era una audacia formidabile nell’affronto delle tematiche e una libertà incredibile nella discussione.

E gli esami? La disputa finale per essere dottori poteva durava anche due, tre o quattro settimane e lo studente doveva dimostrare di possedere tutto quello che gli era stato insegnato in circa dieci anni di corsi, con un sforzo incredibile di memoria. Non era infatti concesso di prendere appunti alle lezioni e non erano rari i casi di persone che conoscevano a memoria tutta la Bibbia.

La libertà di insegnamento era quasi totale. Le Universita’ medievali erano istituzioni estremamente libere non solo nell’insegnamento, non accettavano alcun controllo; persino il toccare uno studente era considerato un atto contro la libertà dell’Università. Tutti gli studenti, inoltre, erano chierici per non dipendere dalla giustizia civile che era più immediata, e brutale di quella clericale.

Fonti: storialibera, Universita’ di Bologna, Wikipedia

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I Finlandesi sono studenti modello

Posted by janejacobs su agosto 4, 2008

 

La Finlandia e’ l’invidia di tutte le nazioni per il suo sistema educativo. Il ministro dell’educazione finlandese oggi ha tre impiegati a tempo pieno che si dedicano esclusivamente a portare in giro per la Finlandia colleghi stranieri per studiare ed imparare come insegnare bene e come organizzare il sistema scolastico.

L’educazione finlandese e’ diventata un modello da quando la Finlandia ha vinto la classifica organizzata dall’OCSE chiamata PISA (Programme for International Student Assessment), che verifica la capacita’ dei quindicenni di tutti i Paesi Ocse (i 50 paesi “ricchi” del mondo) nell’abilita’ a leggere, in matematica ed in scienze.

Tuttavia non e’ certo che se tutti i paesi copiassero il sistema finlandese automaticamente avrebbero punteggi migliori. L’ortografia, la geografia e la storia non hanno niente a che vedere con i modo in cui le scuole sono gestite o su cosa accade nelle classi. Nella lingua finlandese ogni lettera ha un suono logico e non ci sono parole irregolari. Questo rende l’apprendimento piu’ facile. L’economia finlandese e’ stata prevalentemente agricola ed e’ stata dominata per secoli da Svedesi e Russi e pertanto ha rafforzato il suo sistema educativo come segno di identita’ nazionale. Per cui il lavoro duro e il buon comportamento sono normali; i migliori laureati sono stimolati anche economicamente a diventare insegnanti. La Finlandia ha riformato il suo sistema scolastico negli anni ’70. Ci sono voluti 10 anni di dibattiti, ma il risultato dura ancora oggi a 30 anni di distanza.

Quindi riassumendo sembra che cio’ che rende buono un sistema educativo e’:

1) una lingua “logica” e foneticamente facile

2) lavoro duro e etica del lavoro

3) disciplina e onesta’

4) poche riforme dell’istruzione ma condivise

5) un buono stipendio per attrarre buoni insegnanti

Classifica PISA.

Posizione Matematica Scienze Lettura
1 Taiwan Finlandia Corea del Sud
2 Finlandia Hong Kong Finlandia
3 Hong Kong Canada Hong Kong
4 Corea del Sud Taiwan Canada
5 Olanda Estonia Nuova Zelanda
6 Svizzera Giappone Irlanda
7  Canada Nuova Zelanda Australia
8 Macao Australia Liechtenstein
9  Liechtenstein Olanda Polonia
10 Giappone Liechtenstein Svezia
11 Nuova Zelanda Corea del Sud Olanda
12 Belgio Slovenia Belgio
13  Australia Germania  Estonia
14  Estonia Regno Unito Svizzera
15 Danimarca Repubblica Ceca Giappone
16 Repubblica Ceca Svizzera Taiwan
17 Islanda Macao Regno Unito
18  Austria Austria Germania
19  Slovenia Belgio Danimarca
20 Germania Irlanda  Slovenia

Fonte: OCSE

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Lovanio, una citta’ per l’Universita’

Posted by janejacobs su luglio 23, 2008

Leuven-Oude-Markt.jpg

 Una breve descrizione del progetto architettonico della cittadella universitaria di Lovanio in una presentazione dell’architetto Michel Woitrin.

L’Università di Lovanio è stata creata nel 1425 dal papa Martino V, nella città di Lovanio, una regione di lingua olandese. Per diversi secoli, la lingua parlata all’Università era il latino. Dopo la Rivoluzione francese, l’Università venne chiusa. Nel 1834 viene riaperta dai vescovi belgi. La lingua parlata all’Università è in prima battuta il francese, inseguito il fiammingo. Dal 1963, e in particolare dopo il 1968 i fiamminghi più radicali esigono la partenza dei francofoni. Le autorità della sezione francofona dell’Università finiscono per accettare l’idea di lasciare Leuven in cambio di garanzie giuridiche e finanziarie.
Nasce allora il “sogno” o il “grande disegno” di costruire una piccola città universitaria il più possibile “normale” e non un “ghetto-campus-torre d’avorio” tanto in voga all’epoca.
L’ideazione della città prende forma nel corso di 5 anni dal 1963 al 1968 attraverso riflessioni, viaggi di studio, preparativi segreti. Si acquista un terreno libero, di 920 ettari, con i finanziamenti statali, a prezzo conveniente, appena a 30 Km di distanza da Bruxelles, nella regione francofona Brabant wallon,
situato tra la ferrovia Bruxelles-Namur e l’autostrada Bruxelles-Namur.
I 920 ettari sono suddivisi come segue:
-350 ettari per la città in senso stretto (compresa in un cerchio di raggio di 1 km corrispondente a una dimensione pedonale di una città del XII secolo)

-150 ettari, poi diventati 200 ettari, poi 250 ettari per il Parco scientifico (+ di 100 imprese, 4.000 occupati)

-200 ettari di foresta da conservare (18 cervi)

-una riserva di terreni per la realizzazione di progetti di espansione, o per correggere gli errori passati.
 
I principi del piano direttore del 1970:
1. una città a scala umana
2. il luogo rappresenta l’elemento generatore della città (la vallata, le piccole colline devono essere preservate e definire i futuri quartieri)
3. l’Università deve essere integrata nella città (mixité generalizzata)
4. l’Università è il motore della città
5. la città è pensata prima di tutto per i pedoni (per il dialogo)
6. realizzare fin dall’inizio un’atmosfera urbana
7. concepire un processo flessibile
8. immaginare un centro urbano dal “volto umano” (con diversi
tipi di animazione urbana)
9. una città integrata con l’ambiente (definita da un margine evidente)

  E’ difficile spiegare agli urbanisti che un’Università desideri realizzare non un campus-ghetto ma una città “vera”.   Ma oltre la programmazione in cifre era necessario “fare” urbanistica e architettura. A questo scopo l’Università crea il gruppo UA (Urbaniste et Architecture).

Lo dirige Raymond Lemaire professore universitario né urbanista, né architetto, né ingegnere ma docente di storia dell’arte all’

-città del dialogo (tra facoltà, tra gruppi sociali, tra gruppi di età diversa…), ovvero massima mixité in ogni quartiere della città

-rifiuto di un’urbanistica alla maniera di Le Corbusier.

-città ispirata alla città storica (dimensione, volumi, circolazione), lo spazio pubblico si articola in piccole piazze (“traboules” come i passaggi stretti di Lione); si parlava di un’atmosfera urbana italiana; una sorta di urbanistica neomedioevale (fatto salva l’area dell’aula magna realizzata in ferro e vetro)-la densità dei luoghi, lo spirito di dialogo che si respira nella città evocano un “braciere di anime”. Recentemente il Rettore di Bruxelles ha sottolineato la difficoltà di realizzare un “quartiere latino” in una grande città. 

-si tratta di una città artificiale (o meglio “volontariste” ovvero nata dalla volontà). L’espressione di questa volontà può arrivare fino a concepire quartieri di case unifamiliari per non-studenti.

Lo Stato Federale belga, che per una decisione presa a maggioranza dal Parlamento ha deciso di cacciare l’Università francofona dalla città di Louvain, stabilisce di dare all’UCL l’opportunità di “risorgere” altrove su un luogo scelto liberamente dall’Università stessa.
Lo Stato garantisce prestiti all’1,25% per l’acquisto di terreni, la costruzione di laboratori, alcune migliaia di stanze per gli studenti, ospedali… (circa 15 miliardi di franchi belgi ossia 375 Mio di euro fin dalle prime richieste).
Tuttavia per realizzare una città “normale” è necessario attirare investimenti privati: residenti, laboratori privati, stanze per studenti date in affitto dai residenti…
Per attirare investimenti è necessario predisporre un progetto di qualità capace di attirare famiglie e investitori (e consentire l’emissione di certificati immobiliari “Immolouneuve”).
 L’Università conta 20.000 studenti.
 L’Università e la ricerca sono povere ma decise a trovare nuove strade di finanziamento.
 Le antiche fattorie (due del XII secolo) accolgono attività di teatro (J. Vilar) e musica (Biéreau)
L’atmosfera universitaria è minacciata dall’arrivo di investimenti privati dominanti (cinema nella grande place), gallerie commerciali (30.000m2 commercio/ ufficio, 22.000m2 residenziali)
Il cinema ha superato per importanza percettiva la Biblioteca centrale.
La civiltà dell’automobile minaccia il progetto urbano: si cerca di tenere sotto controllo la presenza delle auto almeno nel centro città. Sono andate perdute troppe occasioni di valorizzazione dello
spazio pubblico, specialmente delle piccole piazze. La piscina e la Hall des sports sono state localizzate male.
In futuro è necessario prevedere l’arrivo a LLN della rete RER per spingere i visitatori a utilizzare il trasporto su ferro è necessario pensare a lungo termine e correggere gli errori del passato. I terreni disponibili ci sono e sono sufficienti per prevedere sviluppi a lungo termine… è possibile ancora sognare su numerosi ettari!

 Fonte: abitare la citta’ 

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Bonus per gli studenti (poveri) delle superiori

Posted by janejacobs su luglio 17, 2008

 

 

Secondo Daniele Checchi, professore dell’ Università degli Studi di Milano, l’educazione in Italia ha forti problemi, particolarmente nella scuola media superiore. Una delle cause principali della scarsa preparazione di molti ragazzi e’ che essi, provenendo da famiglie difficili (genitori separati, alcolizzati, drogati che praticano violenza domestica o offrono comunque scarso sostegno) hanno meno interesse ad andare bene a scuola. Spesso tali famiglie difficili vivono in quartieri vicini e mandano i loro ragazzi nelle stesse scuole.

    

A meta’ degli anni ’90 il Messico inizio’ un programma per combattere la poverta’, un programma chiamato Progresa, che ridusse il di lavoro minorile in quel Paese. Questa politica paga i genitori di bambini poveri perche’ li tengano a scuola e li mantengano in salute attraverso vaccinazioni e controlli medici regolari. Il ragionamento dietro questo approccio era che i genitori poveri amano i loro figli come i genitori ricchi, ma il bisogno e la necessita’ li spingono a far lavorare i propri figli. L’offerta di un pagamento in contanti alla fine di ogni mese per ogni figlio che rimanga a scuola e dimostri di ottenere buoni risultati scolastici, invece di lavorare, compensa queste famiglie povere per la perdita eventuale del guadagno procurato dal lavoro dei figli minori. I risultati di Progresa sono oggettivi e disponibili a tutti a questo sito e dimostrano che questo programma e’ riuscito a dare un’educazione piu’ lunga e migliore a molti bambini messicani, particolarmente nelle aree rurali. Tuttavia il costo per il governo Messicano e’ stato notevole ed i soldi avrebbero potuto essere spesi con maggiore attenzione.

 

Programmi simili a quello Messicano si stati sviluppati in molti altri Paesi in via di sviluppo. Ultimamente, alcune citta’ Americane hanno iniziato ad adottare simili schemi per le famiglie povere che vivono nelle periferie delle grandi metropoli.

 

A New York, un simile esperimento e’ stato finanziatio interamente da privati. Tuttavia, invece di pagare i genitori di bambini di 6 o 8 anni, questo programma prevede che siano gli studenti adolescenti e non i loro genitori ad essere pagati. Non e’ chiaro se un simile programma avra’ successo, ma e’ ipotizzabile che le prestazioni degli studenti aumenteranno poiche’ i giovani, cosi’ come gli adulti, sono generalmente stimolati da incentivi economici.

 

Premiare gli studenti meno abbienti per buone prestazioni scolastiche e’ simile a pagare i genitori che vivono in paesi poveri per mandare i figli a scuola. E’ ragionevole pensare che gli studenti poveri avranno meno assenze da scuola, saranno piu’ attenti in classe e si impegneranno di piu’ a fare i compiti.

 

Molti critici del programma ritegono che sia sbagliato pagare dei giovani e dei genitori per fare il loro dovere, un dovere che comunque e’ nel loro interesse, visto che andare bene a scuola generalmente si rifette positivamente sull’individuo perche’ chi e’ piu’ educato generalmente sara’ appagato nel corso della sua vita lavorativa, se non altro dal punto di vista economico. Molti studenti di liceo riconoscono l’importanza di un titolo di studio superiore. Ma il programma di New York e’ particolaremente adattato a quegli studenti che vanno male a scuola, proprio perche’ vivono in famiglie povere o difficili dove il valore dell’istruzione e’ spesso trascurato perche’ in famiglia ci sono problemi piu’ gravi (alcol, divorzi, droga, poverta’).

 

Altri critici pensano che il cambiamento dovrebbe iniziare dalle famiglie responsabili del cattivo andametnto scolastico dei figli e non dalle scuole. La famiglia e’ senz’altro un fattore importante per l’andamento scolastico di un ragazzo, ma i figli possono comunque fare molto meglio se sono ricompensati con un incentivo in denaro.

 

Altri critici, infine, non negano l’importazna di incentivi per le famiglie povere per i loro figli in paesi avanzati. Tuttavia essi sostengono che tali programmi di incentivi, come quello di New York, incoraggera’ alcuni bambini che vanno bene a scuola a peggiorare le loro prestazioni scolastiche per potersi qualficare per il programma. Questo rischio e’ reale ed e’ importante che un simile programma non sia troppo generoso in modo tale da stimolare comportamenti scorretti. Questo e’ il rischio maggiore di un simile programma.

 

Tuttavvia simili rischi non sono un buon motivo per ritardare l’applicazione di simili programmi fino a che le famiglie diventino meno scombussolate e fino a che I ragazzi non si rendano pienamente conto dei benefici di andare bene a scuola e di impegnarsi.  

 

Un simile programma sta per essere applicato ad un liceo in Italia (vedi qui). Non e’ chiaro, pero’ se un attento studio del campione degli studenti e del sistema degli incentivi sia stato studiato per risolvere i bisogni dei ragazzi che provengono da famiglie difficili o per dare un piccolo contentino agli studenti.

 

 

 

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