Le cittá sono la ricchezza delle nazioni

Un nuovo modo di vedere l’economia

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Lubecca e la lega anseatica

Posted by janejacobs su novembre 3, 2008

 

La Lega Anseatica (detta anche Hansa) fu un’alleanza di città che nel medioevo e fino all’inizio dell’era moderna contribuireono in maniera determinante al fiorire dei commerci in gran parte dell’Europa settentrionale e del Mar Baltico. La sua fondazione viene fatta risalire al XII secolo.

Fu in questo periodo che i mercanti delle varie città iniziarono a formare società, o Hanse, con l’intenzione di commerciare con le città straniere. Queste società lavorarono per acquisire degli speciali privilegi commerciali per i loro membri. Ad esempio, i mercanti di Colonia furono in grado di convincere Enrico II d’Inghilterra a garantire loro speciali privilegi commerciali e diritti di mercato nel 1157.

Alla fine, alcune di queste città iniziarono a formare alleanze tra di loro, in forma di una rete di mutua assistenza che sarebbe diventata, appunto, la Lega Anseatica.

La città principale della Lega Anseatica era Lubecca, fondata da Enrico il Leone di Sassonia nel 1159. La sua posizione sul Baltico le diede accesso ai commerci con Scandinavia e Russia, portandola in competizione diretta con gli scandinavi che avevano in precedenza controllato gran parte delle rotte commerciali del Baltico. La competizione finì a seguito di un trattato con i commercianti di Gotland.

Attraverso questo trattato, i mercanti di Lubecca ottennero anche l’accesso al porto russo di Velikij Novgorod, dove costruirono uno scalo commerciale. Lubecca, che aveva avuto accesso alle aree di pesca del Baltico e del Mare del Nord, successivamente formò un’alleanza con Amburgo, un’altra città mercantile che controllava l’accesso alle rotte del sale provenienti da Lüneburg.

Le città alleate furono in grado di prendere il controllo di gran parte del commercio del pesce salato. Altre alleanze simili si formarono in tutto il Sacro Romano Impero. Con il passare del tempo, la rete di alleanze crebbe fino a comprendere più di 100 città.

I coloni tedeschi costruirono numerose città anseatiche sul Baltico, come Tallinn, Riga e Tartu. Alcune di queste sono ancora piene di edifici e dello stile dei giorni della Lega Anseatica. La Livonia (le odierne Estonia e Lettonia) ebbe il suo parlamento Anseatico (dieta) e tutte le sue principali città erano membri della Lega.

Alla fine, la capitale dell’Hansa venne spostata a Danzica, che era il principale porto per le mercanzie polacche (all’epoca tedesche) trasportate lungo la Vistola. Altre importanti città membre della Lega furono Thorn, Elbing, Königsberg e Cracovia.

La Lega aveva una natura fluida, ma i suoi membri condividevano alcuni tratti. In primo luogo, gran parte delle città anseatiche vennero fondate o come città indipendenti, o ottennero l’indipendenza attraverso il potere di contrattazione collettivo della Lega.

L’indipendenza era comunque limitata; significava che le città dovevano lealtà diretta al rispettivo Imperatore, senza alcun legame intermedio alla nobiltà locale. Un’altra similitudine consisteva nel fatto che le città erano tutte collocate in posizione strategica lungo le rotte commerciali. Infatti, al vertice del loro potere, i mercanti della Lega Anseatica erano talvolta in grado di usare il loro potere economico (e in alcuni casi anche la loro forza militare – le rotte commerciali necessitavano di protezione, le navi della Lega erano bene armate) per influenzare la politica imperiale.

La Lega esercitò il suo potere anche all’estero: tra il 1368 e il 1370, le navi della Lega combatterono contro i danesi, e costrinsero il re di Danimarca a garantire alla Lega il 15% dei profitti provenienti dai commerci danesi (Trattato di Stralsund).

Le rotte commerciali esclusive vennero spesso ottenute a caro prezzo. In molte città straniere, i mercanti dell’Hansa erano confinati in determinate aree di commercio e nei loro scali commerciali. Gli era concesso raramente, se non mai, di interagire con gli abitanti del luogo, ad eccezione che per motivi legati alle contrattazioni. Inoltre, il potere della Lega Anseatica era invidiato da molti, sia nobili sia mercanti.

Nel 1598 chiudeva definitivamente il fondaco anseatico a Londra. L’esistenza stessa della Lega e dei suoi privilegi e monopoli creò tensioni economiche e sociali che spesso si tramutarono in una forma di rivalità strisciante tra i membri della Lega. Per la fine del XVI secolo, la Lega implose e fu incapace di gestire le lotte intestine, i cambiamenti socio-politici che accompagnarono la Riforma, l’emergere dei mercanti olandesi e inglesi e le incursioni dei Turchi Ottomani sulle rotte commerciali e sull’Impero stesso.

Il crollo definitivo si ebbe con la guerra dei Trent’anni, che sancì il predominio svedese nel Baltico. All’ultima dieta della Lega, nel 1669, si presentarono solo tre città: Lubecca, Amburgo e Brema.

Nonostante la sua scomparsa, diverse città ancora mantengono collegamenti con la Lega Anseatica. Anche nel XXI secolo le città di Deventer, Kampen, Zutphen, Lubecca, Amburgo, Brema, Rostock, Wismar, Stralsund, Greifswald e Anklam si denominano Città Anseatiche. Per Lubecca in particolare, questo legame anacronistico ad un glorioso passato rimase di particolare importanza nella seconda metà del XX secolo.

 

Lubecca fu anche, come molte altre città, una “Libera città Anseatica”, come è ancora ad esempio Brema. Questo privilegio venne rimosso dal Partito Nazista dopo che il Senato della Città Anseatica non permise ad Adolf Hitler di parlare a Lubecca durante la campagna elettorale. Hitler tenne il discorso a Bad Schwartau, un piccolo villaggio alla periferia di Lubecca. In seguito si riferì a Lubecca come a “quella piccola città vicino a Bad Schwartau”

 

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Dove ci portera’ questa crisi finanziaria?

Posted by janejacobs su settembre 17, 2008

Il Professor Nuriel Roubini, economista dell’universita’ di New York da tempo dice che ci troviamo davanti alla piu’ grande crisi dopo quella degli anni 30.

Alla fine di questa crisi il sistema finanziario mondiale avra’ perso due bilioni (10^12) di dollari, mentre fino ad oggi ha perso “solo” mezzo bilione di dollari.

 

Tale crisi durera’ diversi anni perche’ le banche ridurranno di molto i prestiti alle imprese, alle famiglie e ai governi. Centinaia di piccole banche americane falliranno.

 

Dallo scorso anno il prezzo delle case USA e’ crollato del 20% e potrebbe crollare di un altro 30% da qui al 2010. Milioni di consumatori indebitati non riusciranno a pagare le rate del mutuo, dell’auto, i conti delle carte di credito e ogni genere di prestito. La bancarotta di molte banche spazzera’ via anche i risparmi sui conti correnti di molti risparmiatori.

 

Il mercato azionario americano crollera’ di un ulteriore 40%. L’economia di paesi come l’Italia e la Spagna e di altri paesi che negli ultimi anni si sono arricchiti principalmente con il mattone, seguiranno il crollo Americano. Il prezzo del petrolio rimarra’ attorno ai 100 dollari al barile.

 

Il sistema monetario di Bretton Woods 2 basato sull’importanza del dollaro crollera’ e ne verra’ instaurato un altro che lascera’ le monete Asiatiche e dei paesi emergenti libere di fluttuare e le loro economie meno dipendenti dalle esportazioni verso l’America. Gli esportatori Italiani farebbero meglio a cercare nuovi clienti in Asia se sperano di rimanere in piedi.

 

Attorno al 2010 l’economia dovrebbe riprendersi.

 

Per maggiori informazioni cliccare qui.

 

Per vedere segnali di ripresa… qui.

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Il declino dell’impero Americano

Posted by janejacobs su settembre 14, 2008

Dopo che i Romani iniziarono a controllare sotto il suo impero la maggior parte del mondo a loro conosciuto, il controllo economico centralizzato e rigido dell’impero privava le singole citta’ di un meccanismo automatico di controllo determinato dalla loro moneta. Dopo che l’impero Romano d’Occidente fu disintegrato, l’impero Romano d’Oriente sopravvisse per diversi secoli. Anch’esso era relativamente autosufficiente, a parte gli scambi commerciali con Venezia, che per Bisanzio erano trascurabili (anche se erano vitali per la piccola Venezia embrionale). L’impero Ottomano che conquisto’ Bisanzio e lo rese un’impero ancora piu’ grande e autosufficiente e le sue citta’ ricevevano pochi scambi dall’estero e non ricevevano un controllo economico rappresentato dalle valute. Per usare un eufemismo, la storia ci insegna che grandi imperi unificati non sono molto promettenti.
L’esempio piu’ lampante di impero nel mondo moderno sono gli Stati Uniti che per via di una politica di dazi e tariffe hanno potuto ovviare i problemi della mancanza di valute cittadine. Le fiorenti citta’ del Nord si misero a produrre l’una per l’altra e per le altre regioni degli Stati Uniti che non avevano citta’. La maggior parte delle importazioni dall’estero che arrivava era velocemente rimpiazzata da produzioni locali in questa o quell’altra citta’ e le riproduzioni e gli adattamenti ed i miglioramenti venivano venduti come prodotti domestici. Nel giro di pochi decenni le citta’ Statunitensi erano diventate in grado di esportare all’estero non solo beni cittadini e prodotti manifatturieri, ma anche servizi di ingegneria ed installazione di macchinari. Grazie allo sviluppo industriale e dei servizi, negli Stati Uniti, l’agricoltura inizio’ a rappresentare un’attivita’ poco importante rispetto al commercio complessivo. Le citta’ Americane divennero i principali consumatori di beni agricoli prodotti negli Stati Uniti. Il cotone non veniva esportato piu’ prevalentemente in Europa, ma nelle citta’ del New England e in seguito nei trapianti industriali del Sud. Il tabacco andava a soddisfare i bisogni dei produttori e dei consumatori Americani. La carne ed i prodotti dell’allevamento andavano nei grandi centri di macellazione a Kansas City e Chicago, prevalentemente per il consumo nazionale. Il carbone andava ad alimentare le acciaierie, le industrie, i produttori di macchinari, di auto, di locomotive, di ferrovie, di navi e di costruzioni americani. Il commercio interno rappresentava circa il 95% del commercio totale degli Stati Uniti.
Senza un meccanismo di controllo per l’economia come quello di valute cittadine, le citta’ Americane sono riuscite a fiorire, ma solo fino ad un certo punto. Tutte le citta’ tengono ad avere la loro dose di recessioni economiche per varie ragioni, che vanno dalla cattiva sorte alla miopia, alla follia e all’iper-specializzazione. Inoltre, i prodotti che le citta’ esportano ad altre citta’ con il corso del tempo diminuiscono perche’ vengono rimpiazzati dalle citta’ importatrici, o vengono trapiantati in altre regioni o perche’ cadono in disuso. Una citta’ che perde la propria capacita’ di esportare senza compensare tali perdite e’ una citta’ destinata al declino. Tale citta’ ha seriamente bisogno di aiuto. E nessuna citta’ negli Stati Uniti puo’ ottenere tale aiuto. Anche se le citta’ americane erano in grado di sviluppare la loro economia in modo prodigioso senza un meccanismo di risposte adeguato (ad eccezione delle tariffe), non avevano difese, mezzi per correggersi da se’ ogni volta che perdevano la loro capacita’ di esportare.
Oggi talmente tante citta’ Americane sono stagnanti ed in fase di declino economico che la stagnazione ed il declino sono considerate un problema nazionale. Ma, prese individualmente, le citta’ Americane sono state stagnanti per un periodo piuttosto lungo. La prima citta’ Americana a ristagnare e’ stata probabilmente Pittsburgh all’inizio del secolo scorso. Essa e’ stata seguita da piccole citta’ come Rochester, Utica, Scranton, Akron, Toledo, Wilmington, Camden, poi sono seguite citta’ maggiori come Buffalo, Cleveland, Indianapolis, Seattle, Detroit, New York.
Oggi molte citta’ americane fanno fatica a riparare anche le loro infrastrutture basilari come il sistema dei trasporti pubblici,  gli acquedotti, le strade e i ponti.
Nel frattempo le citta’ del Sud Ovest degli Stati Uniti sono cresciute e questo sarebbe un fatto positivo se non che la maggior parte dell’industria che traina questa regione e’ l’industria militare e l’esportazione di armi e tecnologie militari ai paesi sottosviluppati che sono sempre in guerra. La produzione militare ed il commercio internazionale in beni sofisticati provenienti da economie avanzate verso economie arretrate sono una forma di attivita’ economica a vicolo cieco. Non sono espressione di espansione e sviluppo ma fragili tamponi per arginare il declino economico.
Dal 1960 al 1980 la proporzione di commercio internazionale degli Stati Uniti rispetto al commercio interno e’ cresciuta al 15%. Le esportazioni americane consistono prevalentemente in esportazioni di prodotti agricoli come i semi di soia, il grano, mentre le esportazioni vanno prevalentemente a nazioni clienti in molti casi a credito e sempre di piu’ in beni militari. Le importazioni degli Stati Uniti consistono in beni prodotti in citta’ con cui le citta’ degli Stati Uniti non possono piu’ competere in termini di qualita’ o di prezzo per via della concorrenza asiatica. Per questo periodicamente si invocano nuove misure protezionistiche ai politici americani. Ma le citta’ Americane stanno soffrendo soprattutto per il fatto he non sono in grado di correggere le loro economie e una citta’ dopo l’altra ristagnano.
Si potrebbe dire che le citta’ Americane hanno sofferto per la mancanza di disciplina: la disciplina imposta dalle fluttuazioni dei tassi di cambio e le opportunita’ offerte dai tassi di cambio. Tale fallimento non e’ dovuto alle citta’ al governo o al popolo americano. E’ un problema strutturale che avviene sul territorio. Dobbiamo essere lieti che il governo mondiale e che una valuta mondiale sono solo sogni.
Non voglio dire che le fluttuazioni del tasso di cambio sono le sole determinanti dello sviluppo di una citta’ o di un’area metropolitana. Il fatto che noi dobbiamo inspirare ed espirare l’aria non significa che viviamo di sola aria. Altri fattori sono anch’esi importanti. Ma rimane il fatto che le fluttuazioni dei tassi di cambio sono potenti forze economiche e potenti strumenti di controllo.
Non ci sono rimedi al di fuori della separazione (si veda Singapore) per correggere i problemi che abbiamo visto sul soffocamento che le citta’ elefante come Londra e Parigi stanno assorbendo le energie delle altre citta’ minori delle loro nazioni. Ma questo non vuol dire che le nazioni non stiano provando a far fronte a questi problemi. Anzi, generalmente lavorano duramente per cercare di ovviare a questi problemi. Ma come vedremo, gli sforzi sono inutili perche’ essi rendono ancora piu’ profondo il divario tra le citta’ stagnanti e in declino con le citta’ piu’ dinamiche, aumentando la portata di questi problemi strutturali gia’ inseriti nel sistema.

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Il silenzio secolare dell’impero Cinese

Posted by janejacobs su settembre 11, 2008

Deng Xiaoping
Nella maggior parte della sua storia, l’Impero Cinese non forniva valute diverse alle proprie citta’ e pertanto le citta’ Cinesi non avevano alcun meccanismo di controllo dalla valuta unica imperiale. La tradizione Cinese vuole che l’impero Cinese si formo’ da cinquanta cinque province, unite sotto il nome della piu’ importante di esse: Ch’in.
 
Le province, erano a loro volta formate da circa 1,700 citta’ stato o principalita’. Questo dato puo’ essere piu’ o meno attendibile, ma e’ un fatto inconfutabile che una grande unita’ politica sorse da molte piccole citta’.
 
Molto prima che l’impero Cinese diventasse una realta’ solida (ci vollero secoli per unificarlo definitivamente, perche’ molte province continuavano a ribellarsi), tutte le basi culturali della Cina erano gia’ state gettate: lingua, scrittura, letteratura, filosofia, arte, musica, tecnologie, coltura dei bachi da seta, tessitura, varie produzioni artigianali dal vasellame alle ceramiche, prodotti in leghe di metallo sofisticate, navi,carri, mattoni, campane, vino, scacchi, magneti, reti da pesca e tutte le altre produzioni necessarie alla pesca e all’agricoltura, osservazioni astronomiche, codici di leggi, valute, e molto, molto altro ancora. Sotto l’unificazione la Cina non riusci’ mai ad eguagliare le sue fantastiche potenzialita’.
 
E per secoli le sue citta’ sono rimaste stagnanti al punto tale che fino a qualche decennio fa la sua popolazione era per l’80% dedita all’agricoltura e come in tutte le nazioni in cui prevale l’agricoltura, era povera e arretrata. Alla fine possiamo dire che una valuta unica per tutta la Cina non produsse un meccanismo di controllo che fornisse aiuto alle citta’ Cinesi e questa unita’ politica asfissiante e’ stata la causa della lunga decadenza della Cina.
 
Questo duro’ fino a l’urbanissimo Deng Xiaoping, cittadino di Shanghai, non inizio’ a distruggere progressivamente i deliri maoisti e a passare le riforme per dare stimolo alle citta’ cinesi. Tuttavia la valuta rimane un problema per la Cina,  suddivisa com’e’ in un’economia urbana in piena espansione ad Est e in un’economia da terzo mondo, simile a quella della Cina prima che arrivasse Deng Xiaoping, nell’entroterra.

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Come liberare le citta’

Posted by janejacobs su settembre 8, 2008

 

Vaclav Havel

 In una nazione di piccole dimensioni, la presenza di una “citta’ elefante”, non e’ sempre distruttiva. Se la nazione e’ piccola, come ad esempio la Danimarca, o se ha una regione urbana dominante, come l’Olanda, la nazione puo’ svilupparsi economicamente come una “citta’-stato”. Ma anche in piccole nazioni, tali caratteristiche hanno i loro lati negativi. In Danimarca, ad esempio, la maggior parte del paese e’ relativemente povera e deve ricevere sussidi da Copenhagen e dalla sua area metropolitana, creando gravi difficolta’. Un altro svantaggio e’ che una nazione che si trasforma in citta’-stato ha quasi tutte le uova nello stesso paniere e tale situazione si acuisce con il passare del tempo. Fino a che  l’area metropolitana di tali citta’-stato ha un forte scambio commerciale di beni cittadini con altre nazioni, tali citta’ restano forti dal punto di vista economico. Le grandi nazioni, invece, diventano “citta’-stato” in modo diverso. Molte citta’ secondarie diventano economicamente sempre piu’ inerti e provinciali con il passare del tempo e non esercitano una spinta economica per la nazione e non sono buoni clienti domestici per le aree metropolitane dominanti. Quando le altre citta’ ristagnano, la citta’ dominante deve fornire alle citta’ provinciali vari sussidi. E se i sussidi non sono guadagnati, non generano crescita sostenibile e continuano a succhiare risorse come parassiti. L’esito di questo processo e’ che la maggior parte di una nazione diviene incapace di sostentarsi dal punto di vista economico.

Molto spesso l’area metropolitana dominante finisce addirittura per creare forte risentimento e odio anche dal punto di vista etnico. Ad esempio, nella Cecoslovacchia pre-Seconda Guerra Mondiale, Praga, la citta’ dei Cechi, dominava e la sua dominanza economica cresceva. Bratislava, la citta’ degli Slovacchi, attribuiva questa differenza ad un favoritismo da parte del governo verso Praga. L’invidia e l’odio aiutarono a dividere la Cecoslovacchia fino ai giorni nostri. Praga era davvero la citta’ piu’ favorita dal punto di vista economico, ma il favoritismo non poteva essere controllato ne’ dai Cechi ne’ dagli Slovacchi, La Cecoslovacchia era semplicemente uno dei tanti esempi di economia nazionale sbilanciata.

Le citta’ all’interno di una grande nazione hanno un meccanismo di controllo valutario appropriato rispetto al loro commercio con le altre citta’ nazionali. Questo significa che in una nazione con poco commercio internazionale le citta’ non ricevono nessuna risposta su come va la loro economia.

Un’analogia con questo fenomeno sarebbe una palla in equilibrio sulla cima di una. Fino a che tale equilibrio e’ industrubato, la palla puo’ rimanere indisturbata nella sua posizione, ma quando perde l’equilibrio, comunque vada finisce per scivolare giu’. Allo stesso modo, quando il una citta’ che non ha risposte sull’andamento della sua economia attraverso i tassi di cambio inizia ad avere difficolta’ economiche, ne segue tipicamente un declino inarrestabile.

Continua…

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Citta’ elefante e citta’ pecora

Posted by janejacobs su settembre 4, 2008

Le valute nazionali per un gruppo diversificato di economie cittadine sono come un elefante collegato allo stesso sistema respiratorio di un gregge di pecore. Quale livello di anidride carbonica governera’ il meccanismo di respirazione?

Qualunque citta’ che contribuisca maggiormente alle esportazioni all’estero di una nazione finisce per esere la citta’ i cui bisogni sono serviti meglio dalla valuta nazionale, ovvero la citta’ “elefante”. La citta’ con queste caratteristiche gode di importazioni poco care e ottiene tariffe “automatiche” e sussidi alle esportazioni “automatici” per quanto riguarda il commercio internazionale. Se una citta’ e la sua regione metropolitana hanno tale vantaggio, dobbiamo aspettarci che tale vantaggio rendera’ la sua economia piu’ vigorosa rispetto ad altre citta’ “pecora” citta’ “coniglio” di quella nazione. Una volta che la citta’ elefante avra’ raggiunto tale posizione di vantaggio, questo processo si auto-intensifichera’ e si auto-rinforzera’. Maggiore sara’ successo economico il sucesso economico della citta’ elefante, maggiore sara’ il peso della sua produzione sul totale del commercio internazionale di quella nazione. E maggiore sara’ il peso del commercio internazionale di una citta’ sul totale delle esportazioni di quella nazione, piu’ preciso sara’ il meccanismo di controllo della valuta nazionale per quella citta’. Ma il mecanismo di controllo rappresentato dalle valute non aiutera’ le citta’ piu’ arretrate, anzi, spesso le svantaggera’.

Quando l’Italia aveva ancora la lira, Napoli aveva una scarsa influenza sul commercio internazionale dell’Italia. Milano e la sua area metropolitana aveva una fortissima rilevanza per il peso enorme del commecio internazionale rispetto al resto del Paese. Le fluttuazioni della lira coincidevano piu’ con i bisogni di Milano o di Napoli?

Per la maggior parte, le nazioni con ampi scambi di beni cittadini all’estero vedono il prevalere di una singola area metropolitana anziche’ vedere uno sviluppo armonico di tante citta’. Con il passare del tempo la citta’ “elefante” diventeranno sempre piu’ dominanti dal punto di vista economico e le citta’ “pecora” perderanno sempre piu’ la loro gia’ scarsa importanza. Questa e’ l’anomialia implicita nel meccanismo informativo rappresentato dai tassi di cambio nazionali.

La Gran Bretagna per molti secoli e’ stata l’esempio principale di una nazione che esportava beni e servizi cittadini. Mentre gli scambi commerciali crescevano, Londra e la sua area metropolitana diventavano sempre piu’ importanti dal punti di vista economico, mentre la seconda citta’ della Gran Bretagna, Glasgow, non riusci’ a generare un’area metropolitana di una certa rilevanza e nemmeno vi riusci’ la seconda citta’ dell’Inghilterra, Manchester. Birmingham vi risusci’ in qualche misura, ma in modo non paragonabile a Londra. Le atre citta’ della Gran Bretagna – Liverpool, Bristol, Edinburgo, Cardiff, Newcastle, Belfast – diventarono piu’ passive e piu’ provinciali con il passare del tempo, anche nei momenti in cui il commercio internazionale in beni cittadini della Gran Bretagna fioriva e si espandeva. Il passare del tempo aumento’ la distanza fra Londra e le altre citta’ Britanniche.

In Italia, dai tempi dell’unificazione, la dominanza economica di Milano e’ cresciuta anziche’ ridursi. La stessa Roma ha un’area metropolitana piuttosto piccola che svanisce di colpo nella zona Orientale e Meridionale, dove inizia la povera regione del Mezzogiorno d’Italia.

In Germania, prima della divisione del dopoguerra, Berlino era diventata molto importante. Ma quando la Germania fu divisa tra i vincitori della Guerra, le citta’ della Germania Occidentale si sono sviluppate in maniera armonica in modo simile. Ma con il passare del tempo e con l’unificazione, solo una citta’ possiedera’ un’area metropolitana come Londra sempre in espansione, mentre le altre citta’ diventeranno sempre piu’ provinciali e meno rilevanti.

In Francia, solo Parigi ha un’area metropolitana di rilievo, nonostante i Francesi definiscano aree metropolitane anche le aree attorno a Marsiglia, Lione, Strasburgo, Lilla, Rouen, Brest, Nantes e Bordeaux. Naturalmente l’Euro acuira’ i problemi anziche’ smussarli e portera’ nel giro di qualche decennio all’ uscita di alcuni Paesi o Regioni dall’Unione monetaria Europea o alla decadenza economica di moli Paesi o Regioni dell’Unione Europea.

Questa caratteristica e’ un fenomeno tipicamente nazionale. Ad esempio, la popolazione dei Paesi Scandinavi e’ meno della meta’ di quella della Francia, e poco piu’ di quella della Francia Meridionale che non ha un’area metropolitana. Tuttavia ogni paese Scandinavo -Finlandia, Svezia, Norvegia e Danimarca – ha un’area metropolitana significativa. In queste piccole nazioni, anche se su scala minore, si possono trovare le caratteristiche tipiche delle citta’ elefante delle grandi nazioni.

Ad esempio in Danimarca, durante la creazione del commercio internazionale in beni e servizi cittadini, solo Copenhagen ha generato un’area metropolitana significativa. Odense, Aarhus, Soenderborg, tutte sono provinciali e passive dal punti di vista economico. In Svezia, lo sviluppo di Stoccolma e della sua regioni non e’ stato accompagnato da un simile sviluppo a Gotheborg.

L’Olanda presenta una variazione interessante e fortunata di questa caratteristica. Le sue due maggiori citta’ Amsterdam e Rotterdam, insieme con le citta’ piu’ piccole e con i paesi piu’ piccoli hanno formato un’unica importantissima area metropolitana detta Citta’ Anello, perche’ al centro di questo anello c’e’ un “buco” rappresentato da terreni agricoli e dal mare interno. In parte perce’ le citta’ che si sono inizialmente formate sulla costa ed in altre periferie agricole e in parte perche’ gli Olandesi hanno sempre avuto il buon senso di conservare sempre il loro terreno piu’ fertile per scopi agricoli, le citta’ hanno spinto i loro confini attorno a questo anello agricolo e invece di invaderlo si sono cresciute intersecandosi ai bordi di tali zone agricole. Anche se lo sviluppo regionale delle citta’ e’ ben distribuito, possiamo parlare di citta’ unica anche in Olanda. Tale citta’ unica e’ appunto la citta’ ad anello.

Cio’ che sta accadendo in Olanda o nell’Italia settentrionale sta accadendo anche in Giappone, anche se la configurazione territoriale delle grandi regioni urbanizzate del Giappone, con Tokyo al suo centro, non assomiglia ne’ all’anello Olandese, ne’ alla disordinata massa urbana dell’Italia del Nord, ma piuttosto ad un enorme papillion con il suo nodo nella citta’ di Nagoya. Tokyo e la sua regione sono solo una parte di questa immensa citta’, cosi’ come Amsterdam e’ parte della citta’ Anello e Milano e’ il centro di una vasta regione urbanizzata che comprende tutto il Nord Italia. Potremmo logicamente aspettarci che le citta’ Giapponesi che giacciono al di fuori di questa enorme regione urbana diventeranno economicamente inerti ed economicamente passive con il passare del tempo, anziche’ procedere a svilupparesi in modo vigoroso e di generare aree metropolitane. E ci sono gia’ segni inconfondibili di questo processo. Nella parte centrale dell’isola di Honshu, nelle due isole meridionali di Shinkoku e Kyushu, e nell’isola settentrionale di Hokkaido, i politici stanno gia’ lavorando per pensare a come impiantare impianti industriali provenienti dalle regioni piu’ ricche del Giappone, ma anche da paesi stranieri, come e’ avvenuto per gli Stati Uniti che hanno visto i giovani emigrare dalle aree rurali e di trapianti industriali negli Stati economicamente depressi. In teoria il concetto e’ semplice, ma in pratica dobbiamo chiederci perche’ alcune citta’ non sono in grado di creare vigorose economie cittadine da se’, mentre altre lo sono. Sembra che in nazioni con storie, popolazioni e geografie diverse, alcune forze aiutano a svilupare nazioni con citta’ elefante, cioe’ a stati dominati da una singola area metropolitana. Questa forza, e’ il frutto marcio del meccanismo delle valute nazionali.

 

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I cicli delle citta’ spiegati con Lao Tzu

Posted by janejacobs su agosto 31, 2008

Lao Tzu, fondatore del Taoismo

Lao Tzu Dopo che una nazione e’ riuscita a sviluppare vigorose economie cittadine o le ha acquisite nel corso di un’unificazione politica o di conquiste militari, i problemi delle valute come meccanismi di controllo erronei non finiscono, ma semplicemente si trasformano. E spesso nemmeno il rimedio delle tariffe diviene piu’ sufficiente. Le citta’ con questi problemi devono semplicemente convivere ed in ultima analisi, morirci. Si potrebbe supporre che la valuta di un paese che ha un grosso commercio internazionale in beni cittadini (e di materie prime) avrebbe una valuta che aiuta le citta’ come nel caso di Hong Kong e di Singapore. La difficolta’ sorge dal fatto che molte citta’ sono come le “creature del mondo” descritte da Lao Tzu duemilacinquecento anni fa: …qualcuno va davanti, qualcuno segue; Qualcuno parla ad alta voce e qualcuno sussurra, Qualcuno si sente baldanzoso quando gli altri si sentono deboli Qualcuno sta caricando mentre qualcuno scarica… Le citta’ hanno le loro tempistiche individuali per rimpiazzare le importazioni e per generare esportazioni innovative. Per sperimentare un episodio significativo di rimpiazzo delle importazioni, le citta’ devono essere prima costruite su una massa critica, una massa instabile di importazioni potenzialmente rimpiazzabili. Il ciclo di una citta’ vigorosa, una che mantiene la sua vitalita’ con il passare delle generazioni, funziona cosi’: prima si ha un periodo in cui genera diverse esportazioni, nel processo di guadagnarsi importazioni crescenti in termini di volumi e di diversificazione; secondo, quando le esportazioni rallentano, si ha un’esplosione significativa di rimpiazzo delle importazioni (ammesso che una massa critica di importazioni rimpiazzabili si sia prima costituita, altrimenti la citta’ semplicemente declina); terzo, si ha un periodo in cui nuove potenziali esportazioni, spesso innovative, sono generate nell’economia cittadina che nel frattempo si e’ allargata e diversificata; quarto un periodo di generazione di esportazioni e di guadagni di nuove importazioni potenzialmente rimpiazzabili, e infine un ritorno alla prima fase del ciclo. In alcune citta’, queste fasi del ciclo si susseguono con grande rapidita’; in altre, le fasi del ciclo si susseguono lentamente; ma indipendentemente dalla velocita’ del ciclo e’ questo il motore che mantiene le economie cittadine in piedi. Le fasi del ciclo in cui le citta’ incominciano ad intraprendere scambi commerciali rischiosi l’una con l’altra non coincidono, ma si intersecano in modo costruttivo e come dice Lao Tzu, alcune “si sentono baldanzose quando altre si sentono deboli”, “qualcuna sta caricando mentre altre scaricano…” se tutte le citta’ di una nazione iniziassero simultaneamente un’esplosione di rimpiazzo delle importazioni, il boom economico sarebbe cosi’ devastante che si soffocherebbe da se’ per mancanza di materie prime, lavoratori e tempo necessario per risolvere problemi pratici prima che diventino irrisolvibili. Ma in ogni caso, questa espansione simultanea e sbilanciata non puo’ accadere perche’ le citta’ attraversano diverse fasi del ciclo sopra descritto quando vengono prese in analisi nel medesimo lasso temporale. Una citta’ che si trova nella fase di generare nuove esportazioni o innovazioni ha bisogno di citta’-clienti che si trovano nella fase di rimpiazzo delle importazioni. perche’ queste citta’ clienti, modificando i loro acquisti di importazioni, riescono a permettersi di importare nuovi beni all’avanguardia e a permettersi di comprare questi nuovi beni relativamente costosi. Le citta’ “potenziali”, cioe’ le citta’ che stavano per nascere, sono sempre state soggette alla dipendenza da citta’ piu’ vecchie in grado di rimpiazzare le importazioni e che spostano i loro acquisti verso beni piu’ esotici o importano beni agricoli da nuove zone dove possano nascere nuove “citta”-magazzino” che forse un giorno possa svilupparsi e fiorire. “…qualcuno va davanti, qualcuno segue”.

Continua…

 

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Livorno nel XVIII secolo

Posted by janejacobs su agosto 28, 2008

Alla fine del ‘700 Livorno era la seconda citta’ della Toscana. Livorno era famosa nel resto del mondo quanto Firenze. Non a caso costituiva una tappa obbligatoria del Grand Tour che i viaggiatori stranieri facevano in Italia e del suo nome esistevano varie traduzioni: prerogativa riservata solo alle metropoli e alle capitali. Leghorn in inglese, Livourne in francese, Liburna in Spagnolo. Era anche uno dei porti piu’ noti d’Europa e piu’ frequentati del Mediterraneo, il secondo dopo Marsiglia, e il centro piu’ cosmopolita nel quale si potesse abitare. Una babilonia di lingue, di razze, di costumi, di culti, La patria di tutti, perseguitati politici o religiosi, avventurieri, diseredati, profughi, individui senza scrupoli, criminali o ex criminali. Per popolarla e svilupparne il porto che rimpiazzava quello di Pisa, mangiato dal mare, nel 1590, Ferdinando de’Medici aveva infatti emesso una legge che assicurava ai residenti privilegi assai insoliti: esonero dalle tasse, alloggio gratuito e corredato d’un magazzino o d’un negozio ai pescatori e ai marinai con famiglia, annullamento dei debiti inferiori a cinquecento scudi, condono delle condanne penali subite in patria o all’estero purche’ non derivassero da reati connessi all’eresia o alla lesa maesta’ o al conio di falsa moneta. E nel 1593 una seconda legge che estendendo la cuccagna a qualunque forestiero pronto a diventar residente aggiungeva le seguenti concessioni: diritto d’asilo, liberta’ di mestiere e di culto, regime giudiziario conforme agli usi e alle leggi del paese di provenienza, franchigia di tutte le sue merci depositate in dogana, permesso di esportare senza imposte e senza gabelle i prodotti importati da non piu’ di dodici mesi, nonche’ protezione dai pirati per chi viaggiava sulle rotte seguite dalla flotta dei Cavalieri di Santo Stefano cioe’ le rotte del Mediterraneo. Risultato, nel giro di pochi anni Livorno s’era riempita di fiorentini, lucchesi, genovesi, napoletani, pisani, veneziani, siciliani, ebrei fuggiti o espulsi dalla Spagna e dal Portogallo, Nel giro di pochi decenni s’era riempita anche d’inglesi, francesi, tedeschi, svizzeri, olandesi, scandinavi, russi, persiani, greci, armeni, il porto s’era sviluppato piu’ di quel che Ferdinando avesse ardito sperare e da quasi due secoli offriva uno spettacolo unico al mondo; brigantini, fregate polacche, pinchi, sciabecchi, filughe, tartane, velieri d’ogni tipo all’ormeggio. Cosi’ fitti, cosi’ numerosi, che a vele serrate i loro alberi sembravano tronchi d’una foresta senza foglie. Altre navi che a vele spiegate entravano nella rada o ne uscivano portando tonnellate e tonnellate di ricchezza: il vino e l’olio del Chianti, il baccala’ e le aringhe di Terranova, lo stoccafisso della Norvegia, il caviale della Russia, lo zucchero di Cuba, il grano dell’Ucraina, e della Virginia, l’avorio dell’Africa, i tappeti della Persia, l’oppio e le droghe di Costantinopoli, l’incenso e le spezie delle Indie Orientali, E sul molo, lungo le banchine, un brulicar di scaricatori, marinai, mercanti, mezzani, sensali, passeggeri coi tricorni, i turbanti, le parrucche, i burnus, i barracani. Un bailamme di suoni, rumori, litigi, risate, bestemmie urlate in qualsiasi lingua, Un miscuglio di piacevoli odori e soffocandti miasmi, puzzo di pesce e di fango, profumo di frutta e di fiori, Un baccanale di vita.

Coi suoi quarantaquattromila abitanti, cifra che escludeva gli stranieri in transito e i marinai che vivevano a bordo, nel 1773 era fantastica anche la citta’ dentro le mura: fino al millecinquecento un borgo di pescatori e un penitenziario per i fiscalini cioe’ gli schiavi ai remi delle galere. Cinta da un maestoso fosso d’acqua salata, il Fosso Reale e nella zona chiamata Nuova Venezia percorsa dai bei canali con graziosissimi ponti, sembrava un’isola nata per sortilegio in mezzo alla terra ferma. E tutto li’ esprimeva novita’, eccentricita’, benessere. Le case alte perfino sei piani, sempre fornite di sevizi igienici e vegri alle finestre, che insieme alle palazzine ora rosa e ora azzurre bordavano ogni canale proprio come a Venezia. (Unica variazione, il fatto che ne fossero separate da strade dette Scali e chiuse da una spalletta). I magazzini sottostrada che su quei canali si affacciavano lambiti dale acque, i navicelli, cioe’ i barconi che a quei magazzini approdavano per caricare o scaricare la merce e che attraverso rogge connesse al fiume Arno facevan la spola con Pisa e Firenze. La struttura razionale che gli architetti medicei avevano dato al resto del complesso urbano cioe’ le via che parallele o perpendicolari fra loro agevolavano il traffico, e in particolare l’ampia via Ferdinanda (o via Grande) che da Porta Pisa andava dritta al porto. Circa settecento passi di selciato su cui i carri e le carrozze sfrecciavano in due sensi passando dinanzi a edifici fastosi, locande pulite, negozi colmi di ogni bendiddio. Poi la gran piazza al centro, la piazza d’Arme, che impreziosita dalla cattedrale si stendeva per ben trecento-sessanta passi di lunghezza e centodieci di larghezza. I massicci bastioni che cingendo il Fosso Reale si ergevano con immense terrazze dove potevi andare a passeggio e goderti dall’alto la baia col faro, la tonda torre di Matilde, il rosso baluardo dell Fortezza Vecchia, il santuario di Montenero, le squisite ville degli iInglesi e degli olandesi. Nonche’ l’ineguagliabile scenario delle moschee e delle sinagoghe, delle chiese cattoliche e protestanti, copte e greco-ortodosse: simbolo d’una tolleranza e d’una convivenza altrove sconosciute. Non esistevano ghetti a Livorno. Nonostante i quartieri nei quali alcuni etnici mantenevano le loro usanze, il quartiere de’ greci. il quartiere degli ebrei, il quartiere degli armeni, non si indulgeva in pregiudizi razziali o a pratiche discriminatorie. Non si rispettavano neanche le leggi suntuarie, Ricchi e poveri potevano vestirsi di velluto o seta o broccato, portare fiocchi e nastri e cappelli e piume, e insieme al lusso molte altre cose erano permesse. Il gioco d’azzardo , ad esempio. Il libertinaggio, i bordelli. Nelle altre citta’ del Granducato le donne pubbliche venivano arrestate e messe alla gogna come i giocatori, i libertini, gli adulteri. A Livorno invece circolavano e adescavano senza problemi. Lo stesso vicario dell’Inquisizione lo consentiva “in segno di riguardo verso gli stranieri e i marittimi che in questo sito si fermano per qualche giorno o qualche settimana”.

Infine, e sebbene non ci fossero universita’,sebbene la cultura si concentrasse a Pisa, Firenze e Siena,vi fioriva il commercio dei libri. A meta’ del secolo era sorto infatti un circolo di letterati decisi a diffondere le idee dell’Illuminismo, il tipografo Marco Coltellini aveva fondato una casa editrice con lo stampatore Giuseppe Aubert, e in Italia le prima edizioni delle piu’ importanti opere illuministiche si dovevano a oro. Erano stati Coltellini e Aubert a pubblicare nel 1764, Dei delitti e delle pene del Beccaria. E nel 1763 avevano pubblicato le Meditazioni sulla felicita’ di Pietro Verri, nel 1771 le Meditazioni sull’economia politica, due anni dopo il Discorso sull’indole del piacere e del dolore. Nel 1770 s’erano addirittura assunti l’impegno i ristampare integralmente l’Encyclopedie: dai preti giudicata eretica e scandalosa, quindi apparsa solo in Francia e a Pietroburgo. Ne’ e’ tutto. Perche’ nella bottega del Coltellini trovavi anche gli introvabili testi del pensiero libertario: gli opuscoli e i pamphlets che il non meno audace libertario Pietro Molinari stampava a Londra poi faceva spedire a Livorno, Genova, Civitavecchia, Napoli, Messina. La materia di Dio, L’inferno spento, Il paradiso annichilato, Il purgatorio fischiato, I santi banditi dal Cielo, Spaccio de la Bestia Triofante: roba da togliere il sonno allo stesso Satana. Non a caso nel 1765 quand’era venuto da Londra con la scusa di recarsi a Venezia e comprarvi uno stock di perle orientali, in realta’ per portare varie casse di quei testi, Mazzei l’aveva vista brutta. Accusato dal Sant’Uffizio di contrabbandare volumi perniciosi cioe’ contrari alla religione e al buon costume, smerciarli in quantità’ tali da impestarne l’intero paese, era dovuto fuggire a Napoli e restarvi tre mesi. Quanto a Marco Coltellini e a Giuseppe Aubert, Pietro Molinari, avevan corso il rischio di beccarsi il carcere a vita. Pero’ bando alle chimere: la stragrande maggioranza dei quarantaquattromila abitanti che la citta’ contava nel 1773 non assomigliava per nulla a certi personaggi. Di libri la gente ne comprava pochi, di raffinatezze intellettuali ne ostentava pochissime, e per sapere quale fosse la nomea che Livorno aveva in quegli anni basta leggere il giudizio che ne da’ Pietro Leopoldo nelle sue Relazioni sul governo della Toscana. Ecco qua, appena riveduto e corretto per rendere piu’ comprensibile il suo Italiano non eccellente: “I forestieri non ci stanno che per interesse personale, senza alcun attaccamento al paese, e non hanno altra veduta che di var molti quattrini in forma lecita o illecita e poterli spendere in lusso o capricci o stabilirsi altrove con i guadagni, Regna fra di loro la discordia, la malignita;, lo spirito di partito e ogni sistema e’ buono pur di fare i quattrini presto: scritture false, conti simulati o alterati, lettere e calunnie per screditarsi reciprocamente… I procuratori, gli scritturali eccetera ne imitano l’esempio. I preti sono ignoranti, il popolo e’ ignorantissimo, punto religioso, superstizioso, fanatico, rissoso, dedito ai ferimenti, al furto, al gioco, al libertinaggio e ha bisogno d’esser tenuto con grandissimo rigore”.

Da: Un cappello pieno di ciliege

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Le valute come meccanismi di controllo

Posted by janejacobs su agosto 27, 2008

Singapore
 Quando era una colonia Britannica, Singapore era una citta‘ arretrata e avrebbe tranquillamente potuto rimanere una citta‘ arretrata dopo che dalla sua nazione, la Federazione Malese, essa ottenne l’indipendenza nel 1963. Le esportazioni della Malesia erano essenzialmente prodotti agricoli e materie prime come la latta e la gomma. Tuttavia, nel 1965 Singapore con la sua popolazione prevalentemente Cinese, fu espulsa dalla Malesia perche‘ agli occhi dei Malesi la Singapore Cinese era vista come un corpo esterno indesiderato. Una volta divenuta uno stato sovrano ed indipendente, Singapore ha ottenuto una propria valuta che rifletteva molto bene la sua situazione commerciale. Inoltre, con la sua indipendenza, l’anomalia di condividere uno stesso “cervello monetario” e due corpi economici e’ svanita. Singapore, per perseguire il proprio sviluppo, non deve piu’ ingannare i Malesi produttori di beni agricoli sul loro legittimo diritto di importare i loro guadagni, ne’ rimane piu’ affossata da meccanismi di controllo impropri determinati da una moneta nazionale Malese. Singapore deve guadagnare le proprie importazioni o non avra‘ alcuna ricchezza e dovra‘ generare le sue esportaizoni o non avra‘ nessuna ricchezza, ma un meccanismo di controllo appropriato per la sua ecomia, cioe’ una valuta indipendente, le permette di fare entrambe queste cose e anche a rimpiazzare le importazioni. In termini di meccanismi di controllo, Singapore e’ un ottimo meccanismo perche‘ genera risposte e correzioni alla sua economia attraverso le oscillazioni della sua valuta, formando un’unita’ che e’ in grado di correggersi da se’. Hong Kong e’ un altro esempio simile. E Taiwan e la Corea del Sud sono esempi quasi altrettanto buoni, anche se il loro commercio internazionale si rifa’ non solo alle citta‘, ma anche alle esportazioni agricole. Quindi le economie del Pacifico hanno dei vantaggi strutturali che non ci sono in molte economie in via di sviluppo.
Il fatto che le valute delle citta’ stato siano prevalse in molte parti del mondo segnalano che le valute nazionali in molte aree sono fatalmente premature in aclune parti del mondo oggi. Il Sud America ne e’ un esempio. Certo, e’ molto improbabile che emergano citta’ stato in Sud America alle spese degli Stati Nazionali. Ma e’ anche improbabile che le nazioni del Sud America siano destinate a raggiungere un solido sviluppo ed una solidita’ economica in grado di bilanciarsi e di sorreggersi da sola. I Paesi che non sono ancora scivolati in una spirale disastrosa come l’Uruguay, stanno per scivolarci. Quando un continente intero e’ in tale grande problema economico come il Sud America si potrebbe considerare il modo in cui ci si e’ sviluppati in passato, ripensare a tale sviluppo per non scivolare nell’alternativa della degenerazione, della disorganizzazione e dell’oppressione.
Dopo che una nazione e’ riuscita a sviluppare vigorose economie cittadine o le ha acquistate nel corso di un’unificazione politica o di conquiste militari, i problemi dei meccanismi di controllo non finiscono, ma semplicemente si trasformano. Per queste situazioni difficili, nemmeno un rimedio come le tariffe diventa sufficiente. Le citta’ con questi problemi devono semplicemente convivere con essi ed in ultima analisi, morirci.
 

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Tariffe canadesi

Posted by janejacobs su agosto 26, 2008

Harvesting wheat on a farm in the grain belt near Saskatoon, Saskatchewan, Canada. A potash mine appears in the distant background.

Campi del Saskatchewan

Anche se necessarie, le tariffe applicate nelle nazioni che hanno citta‘ arretrate o stagnanti non sono il miglior rimedio piu’ utile. Le tariffe creano ostacoli al commercio fra le citta‘. Esse sono particolarmente rischiose per piccoli paesi non solo perche’ invitano gli altri paesi a imporre a loro volta tariffe e dazi, ma perche‘ le citta’ di piccole nazioni hanno bisogno di un commercio fatto di rischi e di guadagni con citta‘ in altre nazioni. Nelle grandi nazioni le tariffe mortificano le regioni agricole delle piccole nazioni. In Canada, ad esempio, la maggior parte delle esportazioni e’ rappresentata da beni agricoli e su questo commercio si basa il valore della valuta Canadese. La citta‘ che trae piu‘ beneficio dalle tariffe applicate in Canada e’ Toronto e naturalmente tali tariffe sono odiate dagli altri canadesi nelle regioni che producono beni agricoli. Tuttavia, senza la protezione delle tariffe che avvantaggia prevalentemente Toronto, il Canada sarebbe molto povero e arretrato.

Continua…

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Le tariffe Svedesi

Posted by janejacobs su agosto 23, 2008

Stoccolma
La Svezia e’ un altro esempio di nazione che ha utilizzato le tariffe per eliminare i messaggi di errore che segnalavano problemi nella valuta. Al tempo in cui la Svezia institui‘ barriere tariffarie, cioe‘ alla fine dell’ ottocento, il paese era un importante esportatore di legno, di pesce e di minerali, ma era relativamente povera e arretrata rispetto al resto d’Europa. Le tariffe Svedesi si applicavano a molti beni ed erano molto rigide.Esse venivano applicate persino contro i produttori Norvegesi, che a quel tempo operavano soprattutto nella citta‘ di Bergen. La Norvegia faceva parte del regno di Svezia, ed era sotto il governo Svedese, e le tariffe dirette contro i produttori Norvegesi portarono alla secessione Norvegese del 1905 e alla sua indipendenza.
Molte nazioni hanno citta‘ o potenziali citta‘ sono soppresse dalla mancanza di un meccanismo di controllo appropriato per le loro economie agricole o basate su materie prime. Le nazioni che producono petrolio spesso sono nazioni povere ed hanno al loro centro città arretrate che non ricevono un appropriato meccanismo di controllo perche‘ l’unica ricchezza che ricevono deriva dal petrolio.

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Giappone e tassi di cambio

Posted by janejacobs su agosto 19, 2008

Meiji Emperor.jpg 
Il geniale imperatore Meiji (o Mutsuhito)
Il Giappone, ai tempi della rivoluzione Meiji, il periodo in cui inizio’ a sviluppare la sua moderna economia, evase il meccanismo di controllo dei tassi di cambio come avevano fatto gli Stati Uniti prima. Quando il Giappone si apri’ al commercio internazionale nella meta’ dell’ XIX secolo, e per gli anni successivi, la sua principale esportazione era la seta, un prodotto prevalentemente rurale. Grazie ai guadagni provenienti dall’esportazione della seta, il Giappone era in grado di importare articoli come le biciclette, le macchine da cucire, navi di metallo e altri manufatti che non potevano essere costruiti in Giappone a costi bassi, perche‘ mancava la tecnologia. Tali prodotti sarebbero stati troppo cari da produrre per i Giapponesi se il Giappone non avesse eliminato il meccanismo di controllo derivato dal suo tasso di cambio grazie alla costituzione di tariffe. I produttori di parti di biciclette Giapponesi di cui abbiamo gia‘ parlato in precedenza erano bravissimi a ridurre i costi di produzione nel processo di aiutare lo sviluppo dell’economia Giapponese, ma erano sostenute dall’aiuto indispensabile delle tariffe. Quindi, mentre le citta‘ Giapponesi erano aiutate a svilupparsi dalle tariffe, bisogna notare che le zone agricole Giapponesi subivano passivamente questo sviluppo come nelle zone del Sud degli Stati Uniti. Le popolazioni agricole del Giappone hanno sopportato grossi sacrifici per lasciare che le citta‘ Giapponesi imparassero a produrre a basso costo i beni di cui avevano bisogno. Per circa 80 o 90 anni i villaggi Giapponesi furono schiacciati da questo peso. Naturalmente, il Giappone agricolo sta molto bene oggi grazie allo sviluppo dell’economia e non c’e risentimento per le politiche intraprese piu‘ di un secolo fa e che aiutarono lo sviluppo dell’economia Giapponese.
 

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Cause economiche della guerra di secessione USA

Posted by janejacobs su agosto 19, 2008

Nei primi decenni dell’800, il meccanismo di controllo dei tassi di cambio fu “aggirato”negli Stati Uniti. Al Sud, dove le citta‘ non erano produttive, le tariffe ed i dazi voluti dagli Stati del Nord aumentavano il costo della vita senza produrre benefici economici come invece accadeva al Nord. I produttori agricoli del Sud erano “derubati” delle importazioni a basso prezzo che guadagnavano con le esportazioni agricole; le citta’ e le regioni del Sud erano le vittime del progresso economico delle citta‘ del Nord. Le citta‘ del Sud erano cosi’ infastidite dalle tariffe e dai dazi voluti dalle citta’ del Nord verso i paesi stranieri a tal punto che questo fu uno dei motivi principali per cui il Sud tento’ la Secessione dagli Stati Uniti nel 1861.
Ma perche’ le citta‘ del Sud non risposero in maniera costruttiva alle tariffe? La risposta e’ semplice e sta nel fatto che al tempo dell’istituzione delle tariffe le citta‘ Meridionali erano piu‘ arretrate rispetto a quelle del Nord, e se avessero avuto bisogno di tariffe, al limite le avrebbero dovute avere per proteggersi dalla concorrenza degli Stati del Nord cosi’ come gli Stati del Nord ne avevano avuto bisogno per proteggersi dalla concorrenza dei prodotti Europei. Forse, se il Sud non fosse stato sconfitto militarmente nela guerra di secessione, sarebbe riuscito a mettere a punto tali tariffe contro il Nord e in questo modo e questo probabilmente avrebbe incoraggiato la sua economia.
Le citta‘ del Sud erano piu‘ arretrate nel 1816, quando furono messe in atto le tariffe, perche‘ precedentemente non avevano generato esportazioni di beni fra citta‘ del Sud e quindi non avevano incominciato a prendere il rischio commerciale che fa da volano alla crescita economica, cosa che invece era avvenuta al Nord. Perche‘ questa differenza? Le esportazioni di tabacco e indaco provenienti dal Sud erano state di estremo successo. Al Nord, i magri guadagni degli agricoltori avevano innescato il commercio tra Boston e Philadelphia in manufatti come supplemento delle economie rurali del Sud. Indipendentemente dal motivo, Boston, Philadelphia e le altre citta‘ del Nord avevano stabilito intensi legami commerciali fra di loro e si avvantaggiarono di questi meccanismi al contrario di Charleston e di Richmond.
 
 

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Gli USA si sono sviluppati grazie (anche) ai dazi

Posted by janejacobs su agosto 16, 2008

Boston all’inizio dell’800
I messaggi sbagliati che dicono a una citta‘ che il suo commercio esterno va bene, anche se non e` vero non sono sempre letali come nel caso di Montevideo. Tali messaggi possono spesso essere “corretti” dai dazi, cosa che avvenne nel caso degli Stati Uniti, che nell’ 800 usarono i dazi usarono per evadere i meccanismi di controllo delle loro giovani citta‘.
Quando le colonie americane vinsero la loro indipendenza e per quasi tutto il secolo successivo il commercio internazionale degli Stati Uniti era simile a quello dell’Uruguay – cioe‘ le esportazioni erano prevalentemente agricole. Il Sud contribuiva maggiormente a questo commercio grazie al suo tabacco ed al suo indaco e piu‘ tardi al suo cotone. Ma nel anche Nord degli Stati Uniti le esportazioni internazionali erano principalmente risorse naturali e beni agricoli: pellicce, pesce, legname, grano. Le esportazioni prodotte nelle citta‘ che le piccole citta‘ del Nord degli Stati Uniti producevano l’una per l’altra erano inutili nel commercio internazionale perche‘ le citta‘ del Nord degli Stati Uniti non producevano nulla che le citta‘ Europee non producessero gia‘ da se’ a prezzi piu‘ bassi. In realta‘ le importazioni di prodotti finiti provenienti dalle citta’ Europee erano piu’ convenienti per le citta‘ Americane che la produzione interna grazie al forte potere d’acquisto della forte valuta Americana. Questo non vuol dire che erano cosi’ a buon mercato che tutti gli Americani potessero permettersi beni importati dall’Europa, ma che erano piu‘ a buon mercato dei beni prodotti dagli Americani. Le importazioni sarebbero rimaste relativamente a buon mercato e relativamente abbondanti fino a che gli USA non fossero precipitati in una crisi simile a quella in cui precipito’ l’Uruguay piu‘ di cento anni piu‘ tardi. La crisi per gli USA non arrivo’ perche’ la sua valuta rimase forte. Ma intanto le importazioni entravano negli USA senza che le citta’ Americane riuscissero a rimpiazzarle e le giovani citta‘ Statunitensi avevano raggiunto in poco tempo un punto di non ritorno economico.
La situazione critica di punto di non ritorno non fu percepita per quello che era, cioe‘ per un errore del meccanismo di controllo dei tassi di cambio, ma fu percepita come una piaga dell’industria manifatturiera Americana. Tuttavia, la risposta che gli USA diedero fu pertinente perche‘ annullo’ i messaggi negativi che le citta‘ Americane ricevevano. All‘inizio del 1816, il governo federale inizio’ a metter in atto una serie di tariffe non tanto per aumentare il reddito degli impiegati doganali, ma con lo scopo specifico di rendere le importazioni piu‘ care. In effetti, le tariffe dicevano ai cittadini e ai produttori la nuda verita‘ delle loro economie: siccome non produci abbastanza esportazioni, allora non puoi permetterti tutti i beni che importi. Le tariffe funzionarono. Il fatto che i beni prodotti al’estero erano ora piu‘ cari ci quelli domestici stimolo’ il processo di rimpiazzo delle importazioni e le economie cittadine si svilupparono molto rapidamente invece di vivere dei guadagni delle loro campagne.

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Senza produzione le citta’ collassano

Posted by janejacobs su agosto 14, 2008

Montevideo, una citta’ improduttiva
I messaggi sbagliati provenienti dalle valute nazionali arrivano alle citta’ in modo diverso a seconda di come vada il commercio internazionale delle loro nazioni prese interamente. Il messaggio sbagliato porta con se’ problemi e difficolta’.
Se il commercio internazionale di una nazione e’ essenzialmente agricolo o fatto di materie prime, e se una nazione essenzialmente e’ un’esportatrice di materie prime, la realta’ cittadina riceve i messaggi che dovrebbero ricevere le zone agricole invece di ricevere messaggi che dovrebbero riguardare la sua produzione cittadina. L’Uruguay e Montevideo ne sono un esempio. Il valore del commercio internazionale dell’Uruguay durante la formazione della sua economia era basato interamente sulle esportazioni di carne, lana, cuoio e pochi altri prodotti agricoli. Dal momento che l’Uruguay ebbe successo nelle esportazioni agricole, la sua valuta era forte e le sue importazioni erano relativamente poco care con il risultato che Montevideo, la citta’ principale dell’Uruguay non rimpiazzava vasti insiemi di prodotti con la propria produzione.
Piu’ la valuta dell’Uruguay si apprezzava grazie alla domanda straniera dei suoi beni agricoli e piu’ poteva permettersi di comprare beni dall’estero senza rimpiazzarli. Montevideo stava ottenendo potenti messaggi dalla valuta nazionale sullo stato del commercio delle sue campagne, ma non stava ricevendo alcun messaggio di controllo sullo stato del suo commercio cittadino. Montevideo non produceva niente e non si guadagnava le importazioni, ma viveva sulle spalle del lavoro delle campagne.
Quando i mercati di sbocco dei prodotti agricoli dell’Uruguay iniziarono a ridurre le loro importazioni negli anni’50 il valore della valuta dell’Uruguay inizio’ inesorabilmente a diminuire. Ad un certo punto il governo dell’Uruguay aumento’ il valore della propria moneta prendendo a prestito enormi somme dall’estero con il risultato che le importazioni dall’estero continuarono ad arrivare durante gli anni ’60, ma questo non poteva durare perche’ i progetti per cui il governo prendeva a prestito non erano in grado di migliorare la bilancia dei pagamenti del Paese. Alla fine il controllo della valuta arrivo’ nella maniera piu’ forte e chiara con questo messaggio:“Uruguay tu non stai producendo piu’ beni a a sufficienza per finanziare le tue importazioni! Non puoi continuare a comprare questi beni importati”.
Purtroppo quando Montevideo comprese questo messaggio era troppo tardi. Montevideo non era piu’ in grado di rispondere perche’ la sua capacita’ di risposta si era atrofizzata. Durante tutti quegli anni  quando la citta’ aveva vissuto sulle spalle delle sue campagne non era riuscita a costruire capacita’ produttive, cosi’ non aveva nessun fondamento per la produzione di beni e servizi, non aveva competenze, non aveva versatilità nella produzione di cio’ di cui aveva bisogno per ottenere un vantaggio dalla tariffa automatica che riceveva quando le esportazioni agricole andavano bene. Per usare ancora l’analogia fra tassi di cambio e sistema respiratorio, in Uruguay il livello di anidride carbonica aumento’ notevolmente e il sangue dell’economia dell’Uruguay registro’ questo aumento perche’ la valuta si deprezzo’. Ma senza la capacita’ di porre rimedio a quella situazione, l’aumento di anidride carbonica risulto’ mortale, perche’ il diaframma doveva funzionare per un’economia agricola in crisi e per una economia cittadina improduttiva, per cui l’economia dell’Uruguay collasso’.

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L’assurdita’ delle valute nazionali

Posted by janejacobs su agosto 13, 2008

 

Le valute nazionali sono potenti meccanismi di controllo ma non sono in grado di generare politiche per correggere gli sbilanci dell’economia. Per usare ancora una capire meglio la situazione immaginiamo un gruppo di persone con diaframmi e polmoni propriamente funzionanti ma che hanno solo un solo sistema respiratorio. In questo goffo arrangiamento, il centro respiratorio riceverebbe il controllo complessivo del livello di anidride carbonica di tutto il gruppo senza discriminare fra gli individui che la producono. il diaframma di ciascuno quindi si troverebbe costretto a contrarsi allo stesso momento. Ma supponiamo che alcuni di queste persone dormano, mentre altre stiano giocando a tennis. Supponiamo che alcune stiano leggendo un libro mentre altri stiano tagliando della legna. Qualcuno dovrebbe fermare la sua attivita’ e dedicarsi ad un’attivita‘ diversa che si conformi a quella dell’altro. Peggio, supponiamo che alcuni stiano nuotando ed altri si stiano tuffando e per qualche motivo, ad esempio per l’infrangersi di un’onda sulla riva, quest’ultimo non possa controllare la propria apnea. Il tuffatore morirebbe ed il nuotatore morirebbe di conseguenza per la morte del tuffatore.

Tale assurda situazione non esiste in natura perche’ non durerebbe. Non esistono nemmeno meccanismi cosi’ assurdi progettati dagli uomini che regolino il funzionamento di multipli ingranaggi con un solo sistema informativo e di controllo meccanico, chimico o elettronico; macchine progettate cosi’ male non funzionerebbero.

Le nazioni, da questo punto di vista, non funzionano meglio, tuttavia esse esistono. Anche se intellettualmente pretendiamo che lo siano e compiliamo statistiche su basandoci su questa goffa premessa, le nazioni sono difettose da questo punto di vista perche‘ non sono unita’ economiche discrete. Le nazioni includono fra le tante cose diverse economie cittadine che hanno bisogno di correzioni in tempi diversi e che tuttavia condividono la stessa valuta. L’informazione che arriva dalle valute nazionali e’ un’informazione di pochissimo valore perche‘ riguarda il commercio con l’estero della nazione e non il commercio di una citta‘ con un’altra. Tuttavia, questo meccanismo di controllo ha un grande potere.

Le citta‘ sono le unita’ discrete dell’economia che possono rimpiazzare le importazioni con quello che producono e le unita’ specifiche che generano flussi di nuove esportazioni. E’ inutile supporre che le compilazioni statistiche amorfe ed indifferenziate delle economie di intere nazioni possa svolgere questa funzione, perche‘ in realta‘ non la svolgono.

In teoria, nel tempo in cui le esportazioni di una citta‘ vanno bene, essa ha bisogno di ricevere un grande volume ed una grande gamma di prodotti importati, specialmente da altre citta‘, perche‘ i guadagni provenienti dalle importazioni sono il sale che la cita’ deve guadagnare per il vitale processo di rimpiazzare le importazioni. Al contrario, in un tempo in cui le sue esportazioni sono in declino, le importazioni dovrebbero idealmente diventare care perche‘ per sfuggire al declino derivante dalla diminuzione delle esportazioni una citta‘ ha disperatamente bisogno di rimpiazzare un vasto numero di importazioni con produzioni locali. Ha anche bisogno di un enorme stimolo per cercare di produrre nuovi tipi di esportazioni. In altre parole, con la diminuzione delle esportazioni una citta‘ ha bisogno di avere una valuta che si svaluti e che funzioni come un dazio automatico e come un sussidio all’esportazione automatico – ma solo fino a quando sia necessario. Una volta che le esportazioni andranno bene, la cittaavra‘ bisogno di una valuta che si apprezzi per guadagnare il massimo volume e la massima varieta’ di importazioni che puo‘. Le valute di singole citta‘ servono come elegante meccanismo di controllo perche‘ innescano le opportune correzioni.

Questo e’ un vantaggio incluso per molte citta‘-stato. Singapore e Hong Kong, che oggi sono delle rarita‘, hanno le loro valute quindi possiedono questo vantaggio incluso. Le loro valute servono a queste funzioni quando ve ne e’ il bisogno, ma solo quando ve ne e’ bisogno. Detroit, d’altra parte, non aveva questo vantaggio, Quando le sue esportazioni iniziavano a ridursi, non otteneva nessun messaggio dai meccanismi di controllo provenienti da Washington. E quindi Detroit continuava a Declinare sempre di piu‘, sempre piu‘ velocemente, senza correzioni.

 

Continua…

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La potenza dei tassi di cambio

Posted by janejacobs su agosto 13, 2008

Gli effetti inversi dei movimenti di capitali non eliminano i meccanismi di controllo del commercio internazionale di beni e servizi. Questo fattore domina nel lungo periodo. Ad esempio, supponiamo che una nazione prenda a prestito all’estero per sviluppare la propria economia. Supponiamo poi che gli schemi di sviluppo non riescano a ripagare attraverso un’espansione delle esportazioni o a rimpiazzare le importazioni provenienti dall’estero. La valuta di quel paese dovra‘ per forza di cose svalutarsi. Gli interessi sui prestiti, che sembravano originariamente ragionevoli, diventano devastanti non appena la valuta declina. Questo e’ il motivo prendere a prestito somme ingenti da paesi esteri non e’ una buona idea se la nazione che prende a prestito ha una bilancia dei pagamenti in rosso a meno che le nazioni o le banche estere che danno a prestito il denaro non si accordino per allungare i tempi della riscossione dei prestiti o il ribasso dei tassi di interesse. La minaccia, allora diventa la bancarotta dei paesi e delle banche estere.

Poiche‘ il meccanismo di controllo della valuta e’ molto potente e poiche‘ cosi’ spesso i governi non amano ascoltare i loro segnali, le nazioni cercano di allungare i tempi di risposta a questi segnali a loro ulteriore danno. Inoltre, quando l’informazione finalmente filtra, e prima o poi essa filtra, gli effetti possono essere inappropriati (per usare un eufemismo) come lo furono nelle Midlands Britanniche, dove si trovava la maggior parte delle industrie di ceramiche e terra cotta. La disoccupazione era gia‘ alta in Inghilterra ed era gia‘ molto alta nelle Midlands; il paese stava gia‘ soffrendo per un declino delle esportazioni dei propri prodotti industriali da decenni. Ma queste realta‘ erano offuscate dalla notizia positiva della scoperta del petrolio nel Mare del Nord e dalle importazioni di capitali dall’estero.

 

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Tassi di cambio e posti di lavoro

Posted by janejacobs su agosto 13, 2008

Il problema con le valute nazionali e’ che non forniscono un controllo costruttivo. La variazione dei tassi di cambio tra diverse valute puo‘ rappresentare il potere di vita o di morte di interi settori industriali. Ad esempio un apprezzamento della sterlina inglese del 10% fra il 1979 ed il 1980 obbligo’ i maggiori produttori di ceramica e di  terra cotta Inglesi a licenziare lavoratori quando non li fece fallire direttamente, poiche’ il cambio li rese incapaci di esportare nei paesi esteri che prima di allora richiedevano in abbondanza tali beni. L’aumento della sterlina stava anche prezzando le ceramiche e le terracotte inglesi fuori dal mercato domestico perche‘ costava meno importare simili prodotti dall’estero che prodotti britannici.

Il presidente della piu‘ grande societa’ di ceramiche Inglese, la Wedgewood, diede la colpa dell’apprezzamento della sterlina all’aumento della produzione di petrolio al largo delle coste scozzesi, che avrebbe migliorato la bilancia dei pagamenti britannica e alla politica della Banca Centrale Inglese che alzava i tassi di interesse per attrarre capitali stranieri. Forse aveva ragione. La Wedgewood dovette effettuare enormi licenziamenti e spostare tutta la produzione all’estero per poter sopravvivere.

Le valute producono importanti informazioni e meccanismi di controllo, ma a modo loro. Le valute nazionali, soprattutto, registrano le informazioni complessive sul commercio internazionale di una nazione. Quando gli esportatori di beni e servizi aumentano rispetto alle importazioni di beni e servizi degli altri paesi, le valute nazionali sono piu‘ richieste e quindi si apprezzano; quando le esportazioni diminuiscono, le valute si deprezzano. Le importazioni e le esportazioni internazionali di capitale funzionano in senso opposto. Se un paese ha importato piu‘ capitale di quanto ne abbia esportato (ad esempio prendendo a prestito dai paesi stranieri) il valore della propria valuta aumenta. Al contrario, se un paese esporta piu‘ capitale di quanto ne importi (ad esempio dando in prestito o esportando all’estero i profitti delle proprie industrie), il valore della sua valuta diminuira‘. Questo e’ il motivo per cui le importazioni di capitale straniero in gran Bretagna (stimolate da un forte tasso di cambio) e la produzione di petrolio al largo delle coste Scozzesi, aumentavano la bilancia dei pagamenti britannica, agendo in sintonia per un apprezzamento del valore della sterlina.

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Sistema economico e sistema respiratorio

Posted by janejacobs su agosto 13, 2008

Per capire perche‘ le valute nazionali non offrono un meccanismo di informazione e di controllo costruttivo alle citta’, dobbiamo innanzitutto comprendere come tali meccanismi funzionano. La prima cosa e’ che l’informazione di questo meccanismo sia costruttiva per il sistema economico.

Consideriamo un’analogia fra il sistema monetario ed il sistema respiratorio. Nel sistema respiratorio, l’aumento di anidride carbonica nel sangue trasporta un’informazione al sistema respiratorio che genera una risposta automatica: far contrarre il diaframma e lasciare che i polmoni inspirino ancora. In questo caso l’informazione costruttiva e’ il livello di anidride carbonica nel sangue, ed il meccanismo di risposta e’ il meccanismo del diaframma. Come organismi, dipendiamo da una serie di sistemi informativi e da sistemi di controllo che generano risposte cosi’ appropriate ed automatiche che non ci rendiamo conto del loro funzionamento fino a che non ci vengono insegnati e spiegati. Invece, i sistemi instabili che richiedono continue correzioni e aggiustamenti finiscono per soccombere alla loro instabilita‘.

Nelle economie cittadine, quando nuove imprese in una citta‘ si moltiplicano e si diversificano rapidamente, l’informazione arriva sotto forma di affollamento nelle citta‘ e di aumento della competizione per lo spazio cittadino da cui deriva l’aumento del prezzo degli immobili e l’aumento del traffico. Allo stesso modo l’informazione che i lavori cittadini e i mercati cittadini si stanno sviluppando arriva quando la manodopera nelle campagne scarseggia. Questa informazione spesso causa la risposta appropriata: le citta’ producono macchinari agricoli che riducono il bisogno di forza lavoro nelle campagne. Le aree metropolitane sono il risultato di molti meccanismi di controllo simultanei innescati da molte informazioni diverse. Le risposte non sono sempre automatiche, ma nemmeno il sistema respiratorio e’ sempre e solo automatico. Ad esenoui, se vogliamo, possiamo – entro certi limiti – trattenere il respiro.

I meccanismi di controllo funzionano indipendentemente alle nostre preferenze. Ad esempio, quando un governo stampa troppa moneta l’informazione arriva al sistema e fa scattare il meccanismo di controllo adatto e la reazione appropriata: la moneta nazionale si svaluta e puo‘ comprare meno beni. Augurarsi una correzione differente, ad esempio che stampare piu’ moneta porti ad una maggiore espansione economica, e’ stupido, perche’ l’espansione economica e’ una cosa diversa che reagisce a diverse informazioni e stimoli.

Ul termostato serve a misurare la temperatura e comunicare al sistema di riscaldamento di aumentare o diminuire la potenza dei caloriferi. E’ stupido sperare che il termostato governi la velocita’ di un mulinello rotatorio solo perche‘ vogliamo che compia anche questa funzione; ed e’ ugualmente stupido sperare che stampare piu’ moneta crei un’espansione economica. In breve, i sistema economico e’ costruito in modo tale che vi siano una serie di informazione e di meccanismi di controllo per correggerlo. Le risposte e ele correzioni non sono discrezionali, ma sono automatiche, come la respirazione. Il sistema economico svolge la funziona intrinseca a cui e’ preposto e genera sempre la correzione automatica e specifica in risposta a fatti precedentemente accaduti.

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Proposta di Federalismo Fiscale in Italia

Posted by janejacobs su agosto 12, 2008

Il testo qui sotto riporta alcuni estratti della recente bozza per una riforma sulla preparazione del Federalismo Fiscale in Italia.

“Il tema del federalismo fiscale rappresenta una pagina “bianca” della storia della Repubblica Italiana. Fino a poco tempo fa, quando si parlava di federalismo fiscale aleggiavano disparati fantasmi e ci si ritrovava in una Babele dove si prospettava l’esplosione dei costi, l’aumento della pressione fiscale, la frattura del Paese. La mancanza di federalismo fiscale contribuisce ad affossare la competitività del sistema, a rischiare di spaccare il Paese, a determinare l’esplosione dei costi dello Stato. Senza federalismo fiscale lo Stato potrebbe non riuscire a ridimensionare le sue spese nonostante abbia gia’ ceduto forti competenze legislative e amministrative agli Enti locali.

Il sistema attuale genera gravi confusioni, dissocia la responsabilità impositiva da quella di spesa, genera una situazione istituzionale che rende ingovernabili i conti pubblici e favorisce la duplicazione di strutture, l’inefficienza e la deresponsabilizzazione. Lo dimostrano i dati della spesa pubblica degli ultimi anni sia sul fronte statale che su quello regionale. Il sistema attuale consacra il principio per cui chi ha più speso in passato può continuare a farlo, mentre talvolta chi ha speso meno e’ stato chi è stato più efficiente e quindi dovra’ spendere di meno in futuro.

Senza rovesciare questa dinamica e senza reali incentivi all’efficienza non si potranno creare sufficienti motivazioni ridurre la spesa pubblica. L’esperienza della sanità è molto significativa al riguardo: i costi per l’erario sono quasi raddoppiati in 10 anni.

Nella generalità dell’opinione pubblica sta maturando la consapevolezza, anche tra la popolazione meridionale, che il federalismo fiscale costituisce un passaggio indispensabile per combattere l’inefficienza. In assenza di federalismo fiscale, invece, non si potranno attivare meccanismi di responsabilizzazione verso gli elettori locali e non si potrà favorire la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro imputabilità. 

L’attuale proposta di federalismo fiscale mira a garantire un adeguato livello di flessibilità fiscale attraverso la previsione di un paniere di tributi per cercare di responsabilizzazione degli Enti locali. Cio’ dovrebbe permettere ai territori di incentivare le loro vocazioni e i loro punti di forza, offrendo una possibilità di intervento mirata che non sarebbe possibile con misure adottate in modo uniforme sul territorio nazionale dal livello centrale.

Gli aiuti finanziari diretti alle aree svantaggiate, se correttamente utilizzati, possono essere estremamente efficaci come dimostrano i casi di Spagna e Irlanda che da quando hanno ricevuto gli aiuti UE sono passati nel giro di qualche decennio a diventare paesi ricchi da paesi poveri quali erano. Non è quello che sinora è accaduto in Italia: è evidente quindi che bisogna introdurre qualche forma di controllo sul modo in cui le risorse sono impiegate, potenziare gli incentivi all’efficienza e sanzionare i casi di cattiva amministrazione.

Si garantisce finanziamento integrale delle prestazioni essenziali concernenti i diritti civili e sociali (sanità, istruzione e assistenza) e un adeguato finanziamento del trasporto pubblico locale sulla base degli specifici criteri indicati. Il finanziamento avviene attraverso il gettito dell’IRAP, in attesa che questa imposta venga sostituita con altri tributi propri regionali da individuare in una fase successiva, attraverso altri tributi regionali che i decreti legislativi dovranno individuare in base al principio di correlazione, attraverso la compartecipazione regionale all’imposta sui redditi delle persone fisiche e della compartecipazione regionale all’IVA.

La parte residua delle spese viene finanziata con il gettito dei tributi regionali e con la perequazione, attuata in modo trasparente sulla capacità fiscale.

Gli Enti locali dispongono del potere di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti dalle leggi e di introdurre agevolazioni, entro i limiti fissati dalle stesse leggi. Agli Enti locali, inoltre, si riconosce una piena autonomia nella fissazione delle tariffe per prestazioni o servizi offerti anche su richiesta di singoli cittadini.

Si disciplina inoltre il coordinamento tra i diversi livelli di governo prevedendo che i decreti legislativi introducano alcune soluzioni innovative come quella di rendere evidente l’ordine della graduatoria delle capacità fiscali; che gli obiettivi del conto consuntivo per il concorso al rispetto del patto di stabilità per ciascuna regione e ciascun ente locale siano rispettati sia in termini di competenza economica che di cassa; che le Regioni, al fine del raggiungimento degli obiettivi sui saldi finanza pubblica, possano adattare, previa concertazione con le proprie autonomie, le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli Enti locali in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie. Al fine di evitare misure che spesso hanno comportato un’indistinta compressione dell’autonomia di spesa per tutti gli enti a prescindere dalla qualità della gestione, viene previsto a favore degli enti più virtuosi un sistema premiante ed un meccanismo di tipo sanzionatorio per gli enti meno virtuosi; in particolare, agli enti che non hanno raggiunto gli obiettivi viene fatto divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali.”

Per maggiori approfondimenti cliccare qui.

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