Ho rivisitato il mito Platonico della Caverna adattandolo al mondo della pubblicita’ di oggi. Ne risulta che gli uomini moderni non sono affatto piu’ prorediti dei loro antenati di 2500 anni fa descritti da Platone:
Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dall’infanzia, nelle profondità di un mondo governato dai media e dalle multinazionali. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare cartelloni pubblicitari, TV, telefonini e PC.
Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri delle grandi multinazionali siano consigliate da esperti e psicologi su come creare immagini che creino piaceri e desideri a quali associare i propri prodotti. Le immagini accattivanti e scintillanti attrarrebbero l’attenzione e i desideri dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che producono queste immagini pubblicitarie parlasse, si formerebbe nella caverna un’eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dai protagonisti delle pubblicita’.
Mentre un personaggio esterno avrebbe un’idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (si ricordi che sono incatenati fin dall’infanzia), sarebbero portati ad interpretare le immagini pubblicitarie come oggetti, animali, piante e persone reali.
Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l’uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del fuoco ed egli proverebbe dolore. Inoltre, i protagonisti in carne ed ossa delle pubblicita’ gli sembrerebbero meno reali di quelli visti inTV o sul PC o sui cartelloni; il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare la verita’, preferirebbe volgersi verso le immagini pubblicitarie.
Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s’irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.
Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto immagini che si relazionano al mondo della pubbicita’; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell’acqua, e capirebbe che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano.
Resosi conto della situazione, egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all’ombra, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall’ascesa con “gli occhi rovinati”. Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento ed, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell’accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.