Le cittá sono la ricchezza delle nazioni

Un nuovo modo di vedere l’economia

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Nazionalizzare le pensioni

Posted by janejacobs su ottobre 23, 2008

La Presidente Argentina Cristina Fernández de Kirchner (foto sopra) ha annunciato cambiamenti drastici al sistema pensionistico nazionale. Fernández de Kirchner ha firmato un decreto da presentare al Parlamento per eliminare il sistema pensionistico privato e spostare tutte le pensioni detenute da istituzione private ad un fondo pubblico finanziato con il sistema contributivo. Tale riforma stravolge la riforma del 1994 che assegnava ai privati il ruolo di gestori delle pensioni.

Secondo Fernández de Kirchner i fondi pensione privati non hanno garantito a sufficienza la ricchezza dei pensionati e quindi devono essere rinazionalizzati. In realta’ Fernández de Kirchner vuole espandere il ruolo dello stato nell’economia azionale e coprire con i beni dei fondi pensione il grosso debito pubblico argentino, che sta aumentando considerevolmente nonostante il Paese abbia dichiarato fallimento solo 7 anni fa.

L’eliminazione dei fondi privati pero’ potrebbe portare a conseguenze negative poiche’ da un lato aumentera’ il debito pubblico Argentino (visto che lo Stato Argentino e’ debitore verso un numero maggiore di pensionati), dall’altro ridurra’ in maniera determinante il valore della borsa Argentina (che e’ gia’ crollata del 60% dall’inizio dell’anno) eliminando una fonte di finanziamento per le imprese.

La riforma dovrebbe aumentare i ricavi del governo di circa 1.5% della ricchezza (GDP) nazionale ogni anno. Riuscira’ questa nazionalizzazione ad evitare un’ altra bancarotta dell’Argentina? O generera’ un panico generalizzato che portera’ i risparmiatori Argentini a prelevare i loro risparmi dalle proprie banche causando un panico finanziario ancora maggiore di quello del 2001?

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Il tramonto di Dubai

Posted by janejacobs su ottobre 20, 2008

Dubai e’ un castello di sabbia. Accecata da un aumento del prezzo del petrolio vertiginoso, ma effimero e dall’improvvisa ricchezza dei suoi vicini (Iran, Arabia Saudita e altri paesi del Golfo), si e’ imbarcata in una frenetica costruzione di grattacieli. Ma questi grattacieli per ora poggiano sulla sabbia, non sulla roccia e potrebbero restare fermi per lungo tempo.

I costruttori ed i finanziatori di Dubai hanno creato grattacieli ed isole artificiali ad una velocita’ sorprendente, ma non si rendevano conto che questo boom non sarebbe durato per sempre.

Sebbene Dubai abbia fatto molto per cercare di svilupparsi, ha peccato di superbia. Gli ordini per i mega uffici e mega ville nelle sue assurde isole artificiali oggi ristagnano. Se non interverranno i paesi vicini a salvare la fragile economia dell’emirato, Dubai rischia un crack finanziario senza precedenti.

 

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Il brutto della Russia

Posted by janejacobs su luglio 21, 2008

 

L’ex Presidente Russo Putin ha affermato in piu’ di un’occasione che la Russia non ha alcuna industria competitiva ad eccezione dell’industria petrolifera, del gas e dell’estrazione dei minerali. Pertanto Putin dovrebbe probabilmente ringraziare la Cina e non la Russia stessa per la sua nuova ricchezza. Se il prezzo del petrolio fosse $30 al barile come ai tempi in cui Putin prese il potere, le cose in Russia sarebbero molto diverse. Naturalmente la Russia non ha solo petrolio, ma in tutto il suo immnso territorio, possiede anche miniere di metalli il cui prezzo negli ultimi anni, grazie al boom Cinese, e’ triplicato. Lo stesso discorso vale per il gas Russo che mantiente le case di mezza Europa riscaldate d’inverno.

Dalla caduta del comunismo, l’economa Russa e’ diventata un’economia di semi-mercato, orientata al monopolio e forse ancora piu’ corrotta della vecchia economia sovietica. Anche se questa economia e’ piu’ produttiva dell’assurda economia sovietica che era completamente centralizzata, la sua crescita e’ quasi interamente dovuta all’aumento dei prezzi delle materie prime e parte di questi benefici ricade anche sulla popolazione.

Il governo possiede molte imprese produttrici di materie prime e quelle che non possiede direttamente le tassa pesantemente. Anche dopo che il governo e gli ufficiali russi risucchiano con la loro immensa corruzione tutti questi soldi, ne rimangono abbastanza per pensionati e per progetti infrastruttrali. In alcuni casi addirittura il governo Russo non trova architetti ed ingegneri a sufficienza per mettere a punto i progetti miliardari per cui periodicmente stanzia miliardi di dollari.

In Russia il settore bancario si sta espandendo, ma il settore tecnologico praticamente non esiste. L’industria informatica Russa e’ minuscola in confronto a quella Cinese e Indiana.

Il denaro si sta riversando sulla Russia, ma i Russi non sanno dove e come investirlo e da qui segue l’elevata inflazione e l’elevatissimo prezzo degli immobili, particolaremente nelle citta’ di Mosca e San Pietroburgo. A Mosca, il prezzo medio di un appartamento e’ di $600 al metro quadrato, mentre il salario medio annuale e’ di $11,000. Ne segue che l’economia Russa e’ pesantemente distorta.

I burocrati alla guida del paese sono pieni di soldi e si sentono i padroni dell’Universo. Ma con una popolazione in calo, un sistema educativo sotto stress, una  corruzione dilagante e una crescita enorme del ruolo del governo nell’economia, il futuro della Russia non appare per nulla roseo.

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Il bello della Russia

Posted by janejacobs su luglio 21, 2008

  Progetto per il nuovo edificio della Gazprom a San Pietroburgo

 La prosperita’ della Russia non e’ un fenomeno limitato ad uno sparuto gruppo di oligarchi e di ex ufficiali del KGB e del governo. La maggior parte dei media occidentali non capiscono la profonda trasformazione che sta interessando l’area della ex Unione Sovietica e della Russia in particolare.

In Russia si stanno costruendo aeroporti nuovi di zecca, grattacieli e centri commerciali. Le enormi ville nelle periferie boscose di Mosca e San Pietroburgo rivaleggiano per lusso e dimensioni con quelle dei miliardari Texani. Nel frattempo una nuova classe media compete con il resto del mondo per comprare beni di lusso. I tempi degli squallidi e disadorni hotel sovietici sono finiti e dimenticati.

Oggi la Russia e’ all’avanguardia in settori strategici come il petrolio, il gas e l’estrazione di metalli. La Gazprom e’ la quarta multinazionale piu’ grande del mondo e molte societa’ Russe sono tra le prime cinquecento societa’ in Europa. Le banche Russe si stanno espandendo aggressivamente e stanno creando reti regionali che offrono diversi servizi finanziari. La nuova Russia e’ diventata uno dei paesi piu’ ricchi del mondo.

Il PIL della Russia e’ cresciuto dell’8.5% nel primio trimestre del 2008, grazie al boom nel settore delle costruzioni e delle infrastrutture. Grazie all’aumento del prezzo delle materie prime le casse dello stato russo sono piene di soldi perche’ le esportazioni sono aumentate del 51%. Inoltre, i consumi sono aumentati del 15%, gli investimenti del 20%.

 Continua…

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Petrolio anche in Italia

Posted by janejacobs su luglio 4, 2008

Panorama da Gallipolis

Campagne attorno a Gorgoglione

Via Magenta

Il petrolio portera’ ricchezza a Stigliano (presso Gorgoglione)?

E’ gia’ da qualche decennio che si e’ scoperto un po’ di petrolio anche in Italia. Nei prossimi anni si sviluppera’ un altro progetto di ricerca di petrolio in Basilicata, piu’ precisamente in localita’ Tempa Rossa, all’interno della concessione Gorgoglione. Riusciranno le popolazioni locali  a spillare qualche scampolo di ricchezza dalla compagnie petrolifere?

Fonte: Total

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La battaglia per i Sussidi dell’Unione Europea

Posted by janejacobs su giugno 18, 2008

La crisi dell’aumento dei prezzi del cibo potrebbe portare l’Unione Europea a ripensare le sue politiche sui sui sussidi agricoli. L’UE spende €75 miliardi all’anno.

Mentre il costo della pasta e del pane, dovuti all’aumento del grano, sono saliti dell’87% rispetto allo scorso anno, stanno emergendo due fazioni nell’UE per la rinegoaizatione dei sussidi agricoli che dovrebbe risolversi entro il 2013.

La Francia, che prendera’ la presidenza dell’Unione Europea a Luglio, vuole tornare ad un vecchio sistema CEE in cui i sussidi erano legati alla produttivita’. Oggi i sussidi sono dati in base alla superficie, indpendentemente da quanti prodotti agricoli il suolo produce. Questo cambiamento, dicono i Francesi, dovrebbe far aumentare la produzione in tempi di prezzi crescenti come questi.

Invece, un gruppo di paesi guidati dalla Gran Bretagna, sta spingendo per un piano che vuole spostae i sussidi via dall’agricoltura. Il Regno Unito dice che il sistema dei sussidi attuale incoraggia troppe aziende agricole inefficienti a restare in attivita’. Un mercato meno distorto dovrebbe diventare piu’ produttivo, dicono gli ufficiali britannici.

In linea di principio, la fazione guidata dal Regno Unito vorrebbe abolire i sussidi agricoli, che occupano piu’ del 40% del budget annuale della UE. Ma un trattato del 2003, firmato sotto pressioni Francesi, dice che l’UE non puo’ abolire i sussidi agricoli fino al 2013. Cosi’ i Paesi Europei stanno cercando di decidere come spendere meglio questi soldi.

La Commissione Europea pubblichera’ alcune proposte che dovrebbero aumentare a 13% da 5% l’ammontare di aiuti he possono andare a progetti di sviluppo agricolo non legati alla produzione agricola. Sotto queste regole, i paesi possono offrire fondi Europei a societa’ che possono aiutare a mantere un’industria agricola in salute. La Danimarca sponsorizza maneggi. Il regno Unito sponsorizza fondi che preservano la flora e la fauna selvatica ed incoraggia le aziende agricole a piantare siepi anziche’ recinti.

Le politiche agricole dell’Unione Europea furono stabilite in tempi in cui mai si sarebbe pensato ad raddoppio del prezzo di prodotti agricoli. E l’aumento dei prezzi del cibo sta causando un grosso ripensamento. La Francia ha perso supporto dentro l’Unione Europea. I suoi unici alleati rimangono: Spagna, Lussemburgo, Portogallo e Belgio.

Fonte: WSJ

 

Continua…

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Nuova Babilonia

Posted by janejacobs su Maggio 16, 2008

Burj Dubai

A Dubai si sta costruendo il Burj Dubai il grattacielo piu’ alto del mondo, alto piu’ di 660 metri, piu’ alto di 200 metri del grattacielo di Taipei con tanto di albergo di 40,000 mq. firmato firmato da Giorgio Armani. Siamo davanti ad una nuova torre di Babele o ad un nuovo World Trade Center?

La maggior parte delle citta’ di successo si guadagnano fama e ricchezza grazie al rimpiazzo delle importazioni. Le citta’ del Golfo Persico si stanno guadagnando fama e ricchezza grazie alla geologia. Piu’ India e Cina lavorano duramente, piu’ il prezzo del petrolio sale.

Le citta’ del Golfo Persico risplendono grazie al petrolio. Il prezzo del petrolio era a 9 dollari al barile a meta’ degli anni novanta, e poco prima dell’11 Settembre 2001 era al disotto dei trenta dollari al barile.

In quegli anni l’Arabia Saudita stava affrontando l’insorgere di Al Qaeda. Gli immigrati in Arabia Saudita, anche se vivevano una vita di lusso, avevano residenze blindate da alte cinta e avevano carri armati parcheggiati fuori dalle cinta. Ora, con il prezzo del petrolio ai massimi storici, e’ tornata la fiducia nel futuro. La ribellione in Arabia e’ stata sedata e le citta’ del Golfo Persico sono ora l’individa di tutti.

E’ possibile che solo del bene nasca da tanta ricchezza? Non proprio. Negli anni ’70 i petroldollari del Golfo Persico si rivelarono un disastro per le citta’ dell’America Latina, perche’ i petroldollari, riciclati attraverso le banche Occidentali, causarono una crisi del debito pubblico di quelle nazioni. Anche i Paesi del Golfo subirono gli effetti della stagflazione che aveva colpito i paesi Occidentali causando una caduta del prezzo del petrolio che duro’ per 20 anni. Gli Arabi costruirono progetti assurdi e costosissimi che arricchirono pochissimi sceicchi, molti di loro trafficanti d’armi. A quei tempi i petrolieri Arabi distorsero l’economia al punto tale da creare campi di grano nel deserto.

Ce la faranno le citta’ del Golfo Persico a gestire meglio questa improvvisa ed immensa ricchezza? Per quanto possa sembrare assurdo, non e’ facile gestire quest’enorme quantita’ di denaro. Le piccole economie cittadine di Dubai, Abu Dhabi e degli altri emirati non riescono a spendere e ad investire tutti questi fantastilioni di dollari e quindi questa enorme quantita’ di denaro contante si e’ andata ad aggiungere agli eccessi finanziari di questi anni. Alcuni economisti vedono molte analogie con gli anni ’70. I petroldollari del Golfo Persico questa volta non sono stati riciclati nei titoli di stato dei paesi dell’America Latina, ma negli sprovveduti compratori di case Americani (incoraggiati dalle banche Occidentali) che hanno acceso mutui sapendo che non potevano permetterseli. Il Golfo Persico sta facendo del suo meglio per spendere quest’enorme quantita’ di denaro. Sulle coste del Golgo fioriscono isole artificiali dove e’ possibile soddisfare ogni piacere e ogni lusso, anche il piu’ sfrenato.

Isola artificiale di Dubai
L’Arabia Saudita ha intenzione di costruire ben sette megalopoli sul deserto con lo scopo di creare nuovi posti di lavoro per le sue numerose e “vivaci” masse di giovani disoccupati. Ci sono molte tracce degli sprechi fatti negli anni ’70. Ma questa volta, sono le societa’ private ad investire piu’ dei governi, con una maggiore attenzione ai bisogni dei clienti, piuttosto che alle manie di grandezza di principi ed emiri.

Tommy Lee e Pamela Anderson frequentano spesso Dubai

Innondati di capitale, i paesi del Golfo hanno bisogno di forza lavoro. Negli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, la forza lavoro e’ costituita per il 90% da stranieri. Molti dei progetti faraonici delle citta’ del Golfo sono costruiti da Indiani, Bangladeshesi, Cinesi e Filippini. Tali progetti non avranno buoni rendimenti economici, ma almeno aiutano a diffondere la ricchezza.

Dov’e’ il sindacato?

Tuttavia, il denaro nel Golfo Persico potrebbe essere speso meglio se i governi evitassero di sperperarlo in progetti faraonici. Il governo Saudita e’ ancora innamorato di progetti grandiosi e troppo lento per far funzionare i progetti piu’ utili. La giustizia Saudita e’ tra le piu’ lente al mondo.

Per ora i governi del Golfo si comprano la pace sociale distribuento sussidi di ogni genere alle popolazioni, come case popolari, cure mediche, alti gli stipenti ai lavoratori pubblici e forzature alle imprese private ad assumere manodopera locale in nome della patria (Saudiga o Omanita che sia). Troppi abitanti delle citta’ del golfo ricevono generosi salari per fare lavori senza senso o hanno lavoro solo grazie al loro passaporto (Saudita o Omanita che sia). Essi credono che il lavoro sia un diritto acquisito dalla nascita e non hanno ne’ voglia ne’ incentivi per acquisire competenze tecniche o professionalita’.

Quando Saddam Hussein mando’ i suoi carri armati in Kuwait fu festeggiato dai molti Arabi che non avevano vinto la lotteria della geologia o che non avevano beneficiato dei petroldollari degli sceicchi e che quindi covavano un profondo astio verso i ricchi Arabi. Oggi Saddam non c’e’ piu’, ma i Paesi del Golfo sono minacciati dalla caotica politica in Iraq e dalla rivalita’ tra America e Iran per influenzare la regione. Vista la forte intabilita’ politica, gli sceicchi non possono pretendere di stare per sempre al sicuro. Magari potrebbero pensare di investire meno in progetti faraonici e piu’ in tecniche per fornire le loro citta’ della capacita’ di rimpiazzare le importazioni. Altrimenti, se e quando il prezzo del petrolio crollera’ o se e quando il petrolio si esaurira’ avremo altri 11 Settembre. Continua…

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Imperialismo e sussidi

Posted by janejacobs su aprile 7, 2008

La struttura economica della Sardegna e della Nuova Zelanda stanno dietro ai loro problemi attuali, ma fra i paesi moderni, la piaga maggiore si e’ sviluppata in Francia. Anche se la Francia sembrerebbe avere molte citta’, in reata’ ne ha solo una che e’ in grado di rimpiazzare le importazioni: Parigi. La maggior parte delle campagne Francesi consiste in regioni produttrici di beni primari incapaci di realizzare una crescita economica autonoma. Per proteggere le regioni agricole Francesi (e di altre regioni Europee), l’Unione Europea ha introdotto dazi per evitare che la competizione internazionale li spazzi via. Se l’Unione Europea non proteggesse queste regioni, dovrebbe fornire aiuti economici ancora maggiori. I sussidi agricoli rappresentano circa un terzo del budget dell’Unione Europea. L’Uruguay  fu una delle prime vittime delle tariffe dell’Unione Europea e degli accordi di mercato che favorivano le regioni agricole della Francia. La Nuova Zelanda e’ stata vitima dell’Unione Europea in seguito perche’ il suo mercato principale per la carne era la Gran Bretagna e la Gran Bretagna si uni’ all’Unione Europea nel 1973. Il fatto che tali accordi politici avessero degli effetti cosi’ devastanti su ralcune egioni agricole dimostra che troppe regioni agricole sono alla ricerca degli stessi vigorosi (ma scarsi) mercati  cittadini.

Negli Stati Uniti, il piu’ grande mercato di esportazioni agricole e’ quello dela soia, un bene per lo piu’ destinato ai mercati delle citta’ Giapponesi. Nel 1970, il Governo Americano noto’ che che il consumo Americano di olii vegetali negli Stati Uniti stava crollando e che gli Stati Uniti importavano olio di palma. Pertanto, il Governo USA restrisse le importazioni di olio di palma proveniente dalla Malesia dall’Africa, e minaccio’ tali paesi di interrompere i prestiti al Terzo Mondo se avessero promosso sussidi all’olio di palma. Nel riportare questa situazione, il Wall Street Journal commento’: “Ma se i produttori di semi di soia sono preoccupati della concorrenza estera, dovrebbero diversificare la loro produzione producendo semi di soia.”

“I Paesi Poveri“, continuava il Journal, “dipendono dalle esportazioni di al massimo tre beni primari per la maggior parte delle loro esportazioni, e hanno bisogno di queste esportazioni per pagare per le loro importazioni, ma questo ragionamento non viene apprezzato negli Stani Uniti.” Al contrario, questo ragionamento era apprezzato negli Stati Uniti. Questo era esattamente il ragionamento degli agricoltori delle regioni Americane produttrici di cotone, mais, frumento quando diversificavano la loro produzione di olii vegetali aggiungevano la produzione della soia. Di solito, tendiamo a non accomunare il ruolo di regioni produttrici di beni primari nelle nazioni ricche a quelli delle nazioni povere, ma qualche volta, queste similitudini vengono alla luce e non possiamo trascurare il fatto che tutte le regioni produttrici di beni agricoli hanno le stesse esigenze, sia che esse siano nei confini dell’Unione Europea o degli USA o dell’Africa.

Se aggiungiamo le minacce a cui le economie scarsamente diversificate delle regioni fornitrici di beni primari sono soggette, possiamo parlare di “poverta’ comparativa”. Nel corso della storia, con lo svilupparsi di citta’ e produttori distanti, le importazioni per le regioni produttrici di beni primari diventano piu’ complesse, diversificate e costose. Le esportazioni delle regioni fornitrici di beni primari che bastavano per comprare semplici utensili, aratri o articoli artigianali e decorativi non bastano a comprare  computer, camion ed ascensori meccanici. Questo tipo di poverta’ comparativa striscia insidiosamente anche nelle regioni produttrici di beni primari di Europa e Stati Uniti.

Le regioni produttrici di beni primari sono state definite anche economie coloniali. Le potenze coloniali hanno generalmente modellato le economie dei territori conquistati in regioni produttrici di beni primari. Spesso pero’, hanno anche instillato fabbriche produttrici di beni con l’intenzione di forzare tali mercati a comprare materie prime provenienti da altre regioni controllate dalle stesse potenze coloniali.

Qui sotto forniro’ un esempio di trasformazione economica operata dalla Francia in Indocina, come venne descritto da Frances Fitzgerald in Fuoco nel Lago:

La Francia dovette dapprima trasformare un’economia di sussitenza per i contadini ed i proprietari terrieri Vietnamiti in un’economia che produceva beni per esportazioni nei mercati internazionali. Data la particolare geografia del Paese, le nuove imprese fondate dai Francesi erano per lo piu’ grandi piantagioni e miniere per estrarre i ricchi depositi di carbone, zinco e latta. Per incoraggiare e supportare l’emigrazione in Vietnam di colonialisti ed imprenditori Francesi, l’amministrazione Francese costrui’ strade, canali, ferrovie che collegassero l’entroterra del Vietnam ai porti delle grandi rotte navali asiateiche. Queste infrastrutture beneficiavano quasi esclusivamente i Francesi, ma gli ufficiali Francesi le finanziavano con un aumento delle tasse sulla popolazione locale.

Le tasse venivano estratte secondo i metodi del fisco Francese in moneta anziche’ econdo la tradizione Vietnamita che esigeva imposte pagate in prodotti agricoli. I Francesi avevano anche stabilito monopoli sul commercio di fiammiferi, alcool, oppio, ed i prezzi di questi beni erano aumentati fino a sei volte. La combinazione dell’aumento dei prezzi e delle tasse aumento’ notevolmente il numero di disoccupati in cerca di lavoro malpagato nei terreni agricoli e nelle miniere.

Quando i minatori Canadesi nelle regioni minerarie si lamentano di venire trattati come in “un’economia coloniale”, non vogliono dire dire che sono dissanguati come i Vietnamiti sotto i Francesi. Essi non finanziano le grandi infrastrutture del Canada; al contrario sono le citta’ Canadesi e non le regioni minerarie ed agricole a pagare la grande maggioranza delle spese infrastrutturali. Ne’ tantomeno i minatori vogliono dire che vedono un pericolo per le loro esportazioni in mercati lontani. Al contrario questo e’ il motivo per cui i lavoratori si rammaricano maggiormente quando pensano ad un’economia “colonialista”.

Il problema nel chiamare “colonie” tutte le regioni produttrici di beni primari rende il termine troppo generico e troppo “ottimistico”. L’ottimismo della parola “colonie” implica che se un ipotetico dominatore coloniale venisse cacciato, un’economia non diversificata si diversificherebbe, migliorerebbe e diventerebbe capace di produrre piu’ beni e di diversificarsi senza importare tali beni dagli altri.

A dire il vero, ci sono spesso ottime ragioni per cacciare dominatori coloniali: queste ragioni sono politiche, sociali, culturali ed emotive e qualche volta sono anche economiche. Tuttavia, la debolezza delle regioni produttrici di beni primari non puo’ semplicemente essere corretta eliminando l’aggettivo “coloniale”.

Quando Fidel Castro libero’ Cuba dagli Americani, non libero’ Cuba dalla servitu’ dei mercati della canna da zucchero.

Molte regioni fornitrici di beni primari, scivolano lentamente verso il collasso finanziario.

I giornali locali di Grand Cache, una cittadina di minatori dell’Alberta esultavano perche’ dieci imprese Giapponesi decisero di importare carbone da quelle miniere e il contratto avrebbe dato a quella citta’ altri due anni di vita, altrimenti i 4,000 abitanti di quella citta’ avrebbero dovuto emigrare in massa.

Nelle economie produttrici di beni primari, ci sono sempre consulenti del lavoro ed altri simili intellettuali pronti a suddividere il lavoro su scala regionale o internazionale. Essi sostengono che la specializzazione del lavoro migliori le condizioni di arretratezza di un’economia. Questo ragionamento implica che il risultato di essere efficienti e’ causa di se’ stesso. E’ come dire che la pioggia fa bene alle piante ed e’ per questo che piove. Le forze economiche che causano il rimpiazzo delle importazioni modellano la vita economica delle citta’ e quando le importazoni non vengono rimpiazzate ne risultano regioni specializzate. Le regioni produttrici di beni primari continuano ad esistere perche’ le cinque forze delle citta’ non sono armoniose.

Lo storico Tunisino Ibn Khaldun racconta che nel 1381i Beduini del deserto vendevano animali e granaglie alla gente delle citta’ costiere della Tunisia e ne diventavano economicamente dipendenti. Secondo Khaldun, questo fenomeno avveniva perche’ i Beduini restavano nel deserto e non raggiungevano il controllo delle citta’. Questo a mio avviso e’ vero fino a un certo punto. Infatti, i Beduini avrebbero potuto risolvere i loro probemi creando una citta’ da se’.

Le economie fornitrici di beni primari non sono mai autosufficienti. Questo e’ il motivo per cui sono povere e perche’ ricevono sussidi. I beni primari spesso sono prodotti in modo efficiente. Ma questo non significa che tali economie sono efficienti.

Un’economia che contiene solo poche nicchie di persone con diverse competenze, interessi ed idee non e’ efficiente.

Un’economia che non ha risorse e che non si adatta non e’ efficiente.

Un’economia che soddisfa solo pochi dei bisogni della propria gente e delle proprie imprese non e’ efficiente.

Anche quando le regioni produttrici di materie prime diventano efficientissime, le citta’ spesso sono troppo distanti e non hanno abbastanza potere per “raddrizzarle”. Storicamente, molte regioni produttrici di beni primari sono state in grado di rimpiazzare le importazioni. Hong Kong, Seoul e Singapore – non Montevideo e Havana – sono riuscite a superare le loro funzioni precedentemente limitate di centri amministrativi e distributivi di beni primari e diventare delle vere e proprie citta’.

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Dai formaggi Sardi alle pecore della Nuova Zelanda

Posted by janejacobs su aprile 4, 2008

Nella storia, i mercati cittadini hanno da sempre attinto forniture da regioni lontane che fornivano beni primari. Tale caratteristica era presente anche prima delle moderne forme di trasporto, di industria e di prodotti di conumo.

Ad esempio, nel tardo Medio Evo, la Sardegna esportava il suo formaggio in tutte le citta’ d’Europa: nient’altro che formaggio. Ovviamente, le lontane citta’ Europee erano molto selettive ed esigenti nel saggiare la qualita’ dei formaggi Sardi. Nel periodo rinascimentale, molte regioni della Polonia fornivano frumento, segale e legname a moltissime citta’ dell’Europa Centro Settentrionale, ma non fornivano null’altro. Le Isole Canarie fornivano canna da zucchero a tutte le citta’ Europee, ma null’altro. Le Canarie erano il prototipo delle Isole dello Zucchero dei Caraibi delle Indie Occidentali. Piu’ indietro nel tempo, le citta’ Etrusche dell’Italia Settentrionale, e dopo di loro la Repubblica di Roma, non volevano altro dall’Isola d’Elba se non il suo ferro. Alcuni ricorderanno il villaggio di Bardou al quale i mercati dell’antichita’ richiedevano solo ferro e nient’altro che ferro e lo volevano con tale insistenza da costruire splendide strade che sono durate per duemila anni. Non sto elencando questi esempi perche’ sono delle curiosita’, ma perche’ rappresentano con precisione esempi storici dei regioni fornitrici di beni primari.

Negli anni piu’ recenti, la Zambia fornisce rame a moltissimi mercati lontani, ma non fornisce altro che rame. La Nuova Zelanda fornisce formaggio, burro, carne e lana, ma poco altro. Lo stesso vale per alcune regioni del Canada (New Brunswick e Saskatchewan) e  dell’Inghilterra (Galles). Negli Stati Uniti, l’Appalachia ha fornito poco altro che carbone anche se da poco il mercato di Hong Kong ha iniziato ad interessarsi del ginseng prodotto in Appalachia, un mercato che vale $30 milioni all’anno (*), niente male per un paese poverissimo di minatori che si spaccano la schiena in miniera. Ma Hong Kong vuole solo in ginseng dell’Appalachia e nient’altro. Tutto il mondo compra petrolio dll’Arabia Saudita e dal Kuwait e nient’altro che petrolio. Non c’e’ altro che le citta’ del mondo vogliono da questi paesi, cosi’ come dal Centro e dal Sud della Scozia non vogliono altro che Whiskey.

Spesso l’azione unita di molti mercati di sbocco per le nazioni che producono matere prime, agendo come un unico mercato, e’ nascosto dietro il potere politico o commerciale di una singola citta’; ma quando tante citta’ vogliono da una regione una cosa sola, e’ come se il mercato di sbocco fosse quello di una sola citta’. Hong Kong non consuma tutto il ginseng che importa. Anche se il frumento, la segale ed il legname della vecchia Polonia venivano distribuiti a decine di citta’ Europee, la maggior parte delle vendite veniva fatta ad Amsterdam. Quello era dovuto al fatto che i prezzi erano fissati ad Amsterdam e molte delle consegne venivano organizzate ad Amsterdam, e questo era dovuto al fatto che i mercanti di Amsterdam avevano creato questo commercio e avevano mantenuto la loro presa su di esso quando si aprivano nuovi mercati.I mercanti di Lisbona maneggiavano tutto il commercio di zucchero proveniente dalle isole canarie, ma cio’ non vuoleva dire che gli abitanti di Lisbona consumasseo tutto lo zucchero delle Canarie o confezionassero caramelle per tutta l’Europa. Quando la Francia possedeva il Vietnam, la maggior parte del commercio dei beni esportati dal Vietnam era controllata da Parigi, ma lo zinco, la latta e la cannella del Vietnam arrivavano anche ai porti di Baltimora ed Amburgo.

Il fatto che la gente di Shinohata vendessero i loro bachi da seta a Tokyo – al tempo in cui Shinohata era solo una economia di esportazione di beni primari – non deve farci trascurare che i bachi arrivavano a Shinohata, Lione, New York e in molti altri posti che causavano la specializzazione degli abitanti di Shinohata nella produzione di bachi da seta. Il comercio di banane era controllato dal governo Spagnolo. “Dobbiamo vendere tutte le nostre banane a Madrid” dicevano i raccoglitori di banane dei Caraibi; Madrid poi procedeva a smistarle.

L’estrema specializzazione delle regioni fornitrici di beni primari fa si che l’esportazione in prototti a maggior valore aggiunto zoppichi. Le esportazioni del Canada, ad esempio, sono molto varie; ma tra le differenti vastissime regioni fornitrici di beni primari nel Canada, alcune sono iper specializzate. In Canada, le nuove regioni che offrono beni primari sono le piu’ prospere. Le regioni Atlantiche sono diventate povere nel corso del tempo e sarebbero anch’esse slittate in condizioni di paesi del Terzo Mondo , se non avessero ricevuto i sussidi dalle regioni ricche di Toronto e dalle altre citta’.

Con il passare del tempo le regioni che forniscono beni primari finiscono per impoverirsi. Una causa comune di tale imporverimento e’ lo sfruttamento eccessivo delle risorse: la Nuova Scozia ha subito uno sfruttamento eccessivo delle foreste e ha subito perdite irreversibile nella popolazione marina per la troppa pesca. La Sicilia, a causa dello sfruttamento eccessivo del suolo e della competizione con l’America, ha perso il suo ruolo di principale produttore Europeo di grano, un disastro dal quale non si e’ mai piu’ ripresa.

Nuovi prodotti sostitutivi sono una delle minacce che hanno contribuito al declino dell’Uruguay. Quando i produttori Americani hanno iniziato ad impacchettare il cemento in sacchetti di carta rinforzati con fibre artificiali anziche’ fibre naturali, e fertilizzanti e plastica, la Tanzania soffri’ enormemente per il declino dell’esportazioni di sisal, una fibra estratta dalle foglie dell’agave sisalana, il Bangladesh soffri’ per la cessazione del mercato della juta, e le Filippine per la perdita di esportazioni di canapa. Il nascere di nuovi prodotti e’ assolutamente necessaria alla vita’ economica; altrimenti il pianeta sarebbe stato distrutto dallo sfruttamento continuativo delle medesime risorse. Tuttavia, la sostituzione e’ un processo difficile per i produttori di pelli di balena, zinco, latta, lino, carbome, rame, ecc…

A patire dal 1970 la Nuova Zelanda ha perso mercati allo stesso modo in cui l’Uruguay  li perse nel 1950. Nel 1980, (*) le esportazioni della Nuova Zelanda compravano solo due terzi delle importazioni del 19730, e il reddito proveniente dall’agricoltura, su cui regge tutta l’economica della Nuova Zelanda, e’ scesa del 40%. Anche se la Nuova Zelanda e’ uno dei paesi con minore densita’ di popolazione, i Neo Zelandesi hanno incominciato ad emigrare. Lo slogan della Nuova Zelanda e’: “La fattoria piu’ efficiente del mondo”. Magari questo e’ vero, pero’ i Neo Zelandesi dovrebbero tener presente che l’Uruguay era stato la fattoria piu’ efficiente nel mondo negli anni 50, ma la sua economia e’ poi collassata. Continua…

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Il collasso dell’Uruguay

Posted by janejacobs su aprile 2, 2008

Mandria di vacche in Uruguay 

Le forze economiche di una citta’ si manifestano e si equilibrano all’interno delle aree metropolitane di cui abbiamo parlato in precendeza. Tali forze non i manifestano con pari forza ed equilibrio nelle regioni distanti. Quando le cinque forze economiche che definiscono una citta’ -mercati, lavoro, tecnologia, trasferimenti e capitale – si separano l’una dall’altra prendendo direzioni diverse,  le citta’ generano economie zoppicanti e bizzarre in ragioni distanti.

Le piu’ grottesche fra queste economie sono le regioni produttrici di beni primari. Queste regioni sono modellate in maniera sproporzionata da citta’ distanti. Le regioni produttrici di beni primari sono spesso povere , e quindi l’azzoppamento delle loro economie e’ spesso attribuito alla loro poverta’. Ma le mancanze di queste regioni vanno ricercate piu’ in profondita’ che nella semplice poverta’. In realta’ sono le mancanze di queste regioni a determinarne la poverta’.

L’Uruguay, ad esempio, era una regione produttrice di beni primari particolarmente ricca per molte generazioni. L’Uruguay fu per molto tempo un grande successo nel campo dell’allevamento di bestiame. Forniva carne, lana e cuoio a molte citta’ in Europa e produceva poco altro oltre a carne, lana e cuoio. Tuttavia, il Paese non mancava di nulla perche’ tutto quello che non produceva lo importava. L’Uruguay non era una citta’ di miseri paesani dominati da latifondisti. La maggior parte della popolazione era immigrata dall’Europa nella seconda meta’ del diciannovesimo secolo. Il Paese fu fondato da agricoltori che lavoravano duramente e con intelligenza su terreni fertili , utilizzando pochi dipendenti perche’ la manodopera era moto cara. A partire dal 1911 l’Uruguay costrui’ quello che probabilmente era lo stato sociale piu’ generoso dell’epoca, piu’ generoso della Scandinavia. In Uruguay non c’erano ricchezza e poverta’ estreme; l’educazione era accessibile a tutti fino all’Universita’; Montevideo, la capitale dell’Uruguay era una citta’ prospera dal punto di vista amministrativo, educativo, culturale ed era anche un centro di distribuzione ed un centro portuale. In Uruguay era facile trovare lavoro, si era ben pagati e si lavorava poco. Coloro che non raggiungevano l’educazione universitaria, potevano trovare lavoro negli uffici governativi, che assumevano piu’ personale di quanto ne avessero bisogno o nei centri di produzione della carne, nelle concerie, nell’edilizia o nei vari settori collegati all’importazione di prodotti importati dall’Europa.

L’Uruguay era definito la “Svizzera del Sud America“, un confronto che evocava le piccole dimensioni della nazione, le sue belle montagne, la sua stabilita’ e la sua democrazia. Naturalmente, tale sentimento patriottico non doveva essere proprio preso alla lettera, ma questo confronto e’ interessante perche’ e’ quanto di piu’ lontano dalla realta’ economica di quello che si possa immaginare. Basta riflettere un attimo su quanto limitata sarebbe stata l’economia Svizzera se gli Svizzeri si fossero limitati ad allevare vacche per esportarle in paesi lontani e avessero trascurato di sviluppare la loro economia in altre direzioni.

Negli anni 40 e 50, l’economia dell’Uruguay era in boom economico e le importazioni arrivavano in maniera sempre crescente. Per la maggior parte le importazioni erano beni di consumo. Fra i beni importati c’erano anche frigoriferi per il refrigeramento delle carni, impianti per il sollevamento delle carcasse delle vacche al’interno delle macellerie, coltelli, turbine, macchine a raggi x, posate e piatti per i ristoranti, carta, telefoni e le migliaia di altri beni che mantengono operativo il sistema di comunicazioni e trasporti, assieme agli ospedali, alle scuole, agli uffici governativi, ai teatri, alle fattorie e agli impianti di macellazione della carne.

Verso il 1953, le cose iniziarono ad andare storte per l’Uruguay. La produzione di carne e di lana nelle aree Europee travolte dalla guerra erano rifiorite. I paesi Europei, e in particolare la Francia volevano proteggere la loro economia dalla competizione, mentre gli allevatori dell’Australia e della Nuova Zelanda,  fra gli altri, cercavano di allrgare i propri mercati di sbocco con successo. Nel frattempo, prodotti sostitutivi della lana iniziavano a fare il loro ingresso sui mercati Europei e Americani.

I lontani mercati di sbocco per la carne, la lana e il cuoio dell’Uruguay, stavano riduendosi pericolosamente. L’Uruguay non poteva piu’ permettersi le importazioni che si era concesso negli anni precedenti. L’Uruguay doveva fare a meno di molti prodotti che fino ad ora aveva importato o doveva ottenere tali prodotti in modi diversi. Per ottenerli l’Uruguay avrebbe potuto sviluppare altri prodotti da esportare o rimpiazzare le importazioni, anziche’ importare praticamente ogni cosa. Dal momento che l’Uruguay non produceva praticamente nulla, era molto piu’ semplice per l’Uruguay spingere su esportazioni alternative che potevano essere richieste in mercati lontani. Il governo dell’Uruguay decise invece di spingere un programma di industrializzazione forzata, basato sulla costruzione di fabbriche che producessero dall’acciaio, ai tessuti, alle scarpe, all’elettronica.

Ne risulto’ un fiasco.

Quando queste fabbriche potevano produrre, i loro prodotti costavano molto di piu’ dei prodotti importati e la gente comprava comprava i prodotti importati perche’ non era poteva permettersi i prodotti domestici. Nel frattempo, la costruzione e la messa in opera delle fabbriche richiedeva ulteriori costose importazioni di macchinari e semilavorati. Il programma del governo dapprima esauri’ le proprie risorse, poi acquisto’ a credito i prodotti necessari per le fabbriche, poi divenne insolvente.

L’Uruguay fece bancarotta.

I governatori dell’Uruguay, non sapendo che il processo di rimpiazzo delle importazioni e’ un processo delle citta’, colloco’ le industrie nei luoghi in cui vi era maggiore disoccupazione. Questa decisione avrebbe decretato il fallimento di questa politica in ogni Paese, ma in un Paese come l’Uruguay, non avrebbe comunque fatto alcuna differenza. Anche se tutte le fabbriche si fossero collocate nei pressi di Montevideo, il progetto non avrebbe funzionato, perche’ la cita; mancava delle competenze, del sistema simbiotico di produttori di beni e servizi, e delle pratiche di improvvisazione e adattamento necessarie a nutrire il processo di rimpiazzo dele importazioni. Montevideo, non avendo mai prodotto quasi nulla, non era in grado di generare quel lavoro versatile di cui aveva disperatamente bisogno.

Il paese non poteva piu’ sopportare la spesa del suo generoso stato sociale, ma ci provo’ ugualmente, e per sostenere lo stato sociale, inizo’ a stampare moneta. L’inflazione schizzo’ a livelli mai visti. E mentre i prezzi e la disoccupazione crearono una forte stagflazione, la poverta’ e la miseria aumentarono, creando forti tensioni politiche, incluse rivolte popolari. Mezzo milione di cittadini, circa un sesto della popolazione,  abbandonarono il paese. Sui cittadini rimasti si instauro’ una brutale dittatura, che porto’ la pace e l’ordine tipiche di un “cimitero economico”.

Nel 1980, il potere di acquisto degli abitanti dell’Uruguay era circa la meta’ del potere d’acquisto che avevano nel 1968, l’anno in cui il Paese tento l’industrializzazione forzata. Nel 1968, il potere di acquisto si era gia’ dimezzato rispetto al 1950.

L’Uruguay di oggi e’ allo sbando e sta cercando di ricostruire un’economia basata sulle esportazioni di beni primari  (cuoio e lana) con salari da miseria. Anche se queste patetiche esportazioni producono miseri proventi, essi non bastano a mantenere il tenore di vita dei lavoratori; un terzo dei guadagni viene mangiato dal pagamento degli interessi sul debito pubblico che il governo e’ riuscito a rinegoziare a piu’ lunghe scadenze e il resto e’ usato per importare gas e petrolio.

L’Uruguay ha sempre avuto un’economia da “Terzo Mondo” anche quando era un paese prospero, perche’ era arretrato e sottosviluppato. L’Uruguay ha semplicemente avuto un periodo di ricchezza, e la differenza tra un’economia arretrata ricca e un’economia arretrata povera non e’ cosi’ grande come si creda. Ricca o povera, una regione che fornisce esclusivamente beni primari subisce una specializzazione eccessiva e un’economia sproporzionata, quindi fragile e insicura, che dipende da mercati di sbocco lontani.

I disastri che sono capitati all’Uruguay non fanno dormire sonni tranquilli ai governanti di regioni ricche di petrolio.

Sarebbe semplice subire la tentazione di addossare agli abitanti e ai governanti dell’Uruguay l’accusa di incompetenza, mancanza di programmare l’economia, superficialita’, pigrizia. Ma in realta’ gli abitanti dell’Uruguay facevano funzionare la loro regione esportatrice di beni primari in maniera efficente ed solidale. Quello che facevano. lo facevano bene. La cosa che non fecero, fu di creare citta’ produttiva, una citta’ che rimpiazzasse le importazioni nei periodi di crescita, e che quindi generasse quella complessa rete economica che genera una area metropolitana e che produce beni per la propria gente, per i propri produttori e per gli altri.

Il motivo per cui queste regioni rimangono povere e’ che producono essenzialmente per altre citta’ e regioni, ma non per se stesse.

Lo sbilancio di quest’economia era particolarmente rilevante per due ragioni. La prima era che i lontani mercati Europei erano selettivi nelle loro importazioni dall’Uruguay. La seconda era che, tutti i mercati in cui l’Uruguay esportava, anche se si trovavano in citta’ e Paesi diversi, volevano tutti lo stesso prodotto, e quindi agivano di fatto come un unico mercato di sbocco. Questa circostanza rendeva i mercati di sbocco dell’Uruguay enormemente potenti nel determinarne la sua ricchezza o la sua poverta’. Continua…

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