Le cittá sono la ricchezza delle nazioni

Un nuovo modo di vedere l’economia

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Le aree metropolitane

Posted by janejacobs su marzo 30, 2009

Nei sobborghi di alcune citta’ si aggrovigliano luoghi di lavoro rurali, industriali e commmerciali. Questi sobborghi sono unici e sono le zone piu’ ricche, piu’ dense di costruzioni e piu’ intricate, ad eccezione delle citta’ stesse.

Le  Aree Metropolitane non sono definite da confini naturali, perche’ sono il prodotto della costruzione dell’uomo. Le citta’ costutituiscono il nucleo naturale di tali aree.

I confini si espandono o si fermano a seconda dell‘energia economica delle citta’. Oggi la piu’ grande area metropolitana al mondo e’ Tokyo. Tokyo e’ cresciuta negli anni fino a raggiungere montagne addirittura impervie che hanno richiesto capolavori di ingegneria civile per la cotruzione di strade e ferrovie.

La citta’ metropolitana di Toronto e’ confinata per un lato dai Grandi Laghi, ma in altre diriezioni si estende progressivamente sino a declinare per decine di chilometri nella pianura circostane.

Boston e’ una citta’ metropolitana che estende le sue attivita’ economiche nella parte meridionale dello stato del New Hampshire. Questo fatto esaspera gli amministratori locali del New Hampshire perche’ vorrebbero vedere un’attivita’ economica omogenea in tutto lo Stato del New Hampshire e non solo nell’area vicina a Boston. Gli amministratori del New Hampshire cercano continuamente di fornire incentivi agli imprenditori di Boston per spostarsi nella parte Nord del New Hampshire, dove c’e’ piu’ disoccupazione e cercano di scoraggiare le imprese ad operare nella parte meridionale del New Hampshire, che e’ gia’ prospera. Ma gli amministratori non capiscono il processo di energia delle citta’ e sperperano risorse economiche. Il New Hampshire del Sud e’ la zona piu’ a Nord che l’espansione di Boston riesce a raggiungere. Piu’ su non ce la fa.

Non tutte le citta’ generano aree metropolitane. Ad esempio. Glasgow non ha mai generato un’area metropolitana, nonostante alla fine dell’ottocento fosse una citta’ all’avanguardia nello sviluppo dell’industria e della tecnologia e nonostante i suoi ingegneri e i suoi macchinari fossero ricercati in tutto il mondo. Cinquanta miglia piu’ ad Est di Glasgow c’e’ Edimburgo, il centro culturale e commerciale della Scozia: Edimburgo ha avuto momenti di forte espansione economica, ma non e’ riuscita a generare una citta’ metropolitana. Nemmeno le economie sommate delle due citta’, che non sono poi cosi’ distanti, sono riuscite a creare un sistema denso e ricco di attivita’ economiche in grado di creare una citta’ metropolitana, ma il territorio fra le due piu’ importanti citta’ Scozzesi e’ rimasto agricolo.

Marsiglia e’ il porto piu’ importante della Francia e ha costruito importanti industrie oltre alle industrie legate all’attivita’ portuale. Ma Marsiglia non ha un’area metropolitana.

Napoli nel cinquecento era la piu’ grande citta’ di tutta la Cristianita’. Aveva una posizione di primo piano nell’esportazione di tessuti, in particolare seta , biancheria ed altri tessuti ricamati a mano. In quel periodo citta’ come Milano, Parigi, Londra e Amsterdam stavano ancora cercando di formare le loro aree metropolitane.

L’area attorno a Roma e’ increbilmente poco costruita considerate la dimensione delle citta’.

Copenhagen ha generato una area metropolitana, Dublino, Belfast e Cardiff, Liverpool, Madrid, Zagabria e Mosca no.

San Paolo ha un’area metropolitana, ma non Rio de Janeiro, Buenos Aires o Montevideo no.

Havana e Santiago de Cuba non hanno generato un’area metropolitana, ne’ prima o ne’ dopo il regime di Castro.

Nella parte centrale del Giappone, ci sono cosi’ tante aree metropolitane che molte sono ora intersecate tra loro; ma Sapporo, la capitale di Hokkaido, la piu’ grande isola del Giappone, non ha generato un’area metropolitana.

Atlanta, la citta’ di Grady non ha una rete di sobborghi attorno ad essa; al contrario, Los Angeles e San Francisco hanno fiorenti aree metropolitane, cosi’ come Boston e New York.

Le citta’ del Pacifico si sono rapidamente sviluppate e hanno creato regioni circostanti dense ed intricate: Singapore, Seoul, Taipei e Hong Kong. Ma Manila nelle Filippine non ha generato tale sviluppo. La citta’ metropolitana di Hong Kong si e’ allargata all’interno delle provincia adiacente di Guandong in Cina, ma la citta’ di Canton, antico nucleo di quella provincia, non ha generato da se’ un’area metropolitana.

Shanghai ha generato una regione metropolitana cosi’ come anche le citta’ della province di Hubei, Hangkow, Hanyang e Wuhan, ora accomunate dal nome Wuhan nella parte inferiore del fiume Yangtze.

Ovviamente, le citta’ che sanno produrre beni da esportare, o che sanno attrarre visitatori o che svolgono funzioni politiche, culturali o religiose non sempre generano aree metropolitane. Non basta esportare, non basta essere sede di importanti amministrazioni politiche. Ci vuole la capacita’ della citta’ di rimpiazzare continuamente e ripetitivamente le importazioni. Le citta’ che generano aree metropolitane sono in grado di rimpiazzare le importazioni. Le cinque forze che generano citta’ metropolitane sono:

(1)  espansione dei mercati cittadini per nuove e diverse importazioni;

(2) espansione delle competenze dei lavoratori;

(3) espansione delle unita’ produttive al di fuori dei confini cittadini;

(4) espansione tecnologica per aumentare produzione e produttivita’;

(5) espansione del capitale

Per vedere cosa succede quando le forze di espansione economica si riversano sulle aree circostanti, osserviamo un piccolo villaggio Giapponese che si trovava al di fuori dell’area metropolitana di Tokyo, e vediamo come e’ cambiato da quando, negli anni 50, Tokyo l’ha inglobata nella sua economia. Questo esempio e’ estremo proprio perche’ l’economia di Tokyo e’ potentissima, ma i cambiamenti di cui parleremo sono simili per tantissimi villaggi che vengono inclusi nell’orbita economie metropolitane.

L’esperienza di questo villaggio e’ descritta in un bellissimo libro di Ronald P. Dore, un autore Britannico considerato un’istituzione per la comprensione e al contemo uno specialista in politiche ed economie agricole. Le informazioni di cui parlero’ provengono dal suo splendido libro, Shinohata: Ritratto di un Villaggio Giapponese, ma daro’ un’interpretazione della sua storia nel quadro delle cinque forze che compongono l’espansione economica.

Dore visito’ per la prima volta il villaggio di Shinohata nel 1955, quano l’economia rurale del villaggio era ancora intatta. La gente allora era cosi’ candida nel fornirgli informazioni sul proprio il loro reddito, i loro successi e fallimenti economici che Dore, per proteggere la loro privacy dette al villaggio il nome fittizio di Shinohata. Il villaggio consiste di 49 famiglie con piccoli appezzamenti di terreno collocati a circa 50 miglia a Nordovest di Tokyo, molto oltre alle alte montagne che l’espansione di Tokyo ha raggiunto negli ultimi anni.

In un passato lontano, Shinohata era villaggio con un’economia di sussistenza fondato sull’agricoltura senza alcun commercio con le citta’, tuttavia, sin dai tempi antichi, ogni tanto passavano per il villaggio mercanti provenienti da Edo, il nome con cui Tokyo era conosciuta nell’antichita’. Gli abitanti del villaggio vendevano ai mercanti riso e bachi da seta e compravano dai mercanti te’ e carta. Inoltre, vendevano legname, carbone vegetale e, nella stagione autunnale, funghi. Per ottenere questi ultimi tre prodotti, gli abitanti del villagio setacciavano le montagne circostanti. Negli anni di carestia, gli abitanti del villaggio setacciavano le montagne con tale disperazione che ancora oggi,gli abitanti del villaggio chiamano  i lamponi, le radici e le erbe di montagna “cibo della disperazione”.

Tra il 1900 ed il 1955, i nuovi metodi agricoli aumentarono la resa della coltivazione di riso. Il tempo rispariato nella coltivazione del riso veniva impiegato per la produzione di bachi da seta, una produzione che costituiva una delle principali esportazioni Giapponesi agli inizi del 900. Ma per gli abitanti di Shinohata il guadagno proveniente dai bachi da seta era scarso. Nonostante alcune famiglie erano in grado di comprarsi beni “moderni” come le biciclette, il villaggio era ancora povero e la vita dura.

Ma talvolta, il destino porta a piccoli insediamenti rurali la forza economica delle citta’. Il cambiamento dei mercati cittadini avrebbero potuto portare poverta’ a Shinohata se avessero comportato un calo della domanda di grano. L’attrazione di lavori meno faticosi in citta’ avrebbe potuto spopolare il vilaggio come avvenne per il villaggio di Bardou. L’afflusso di nuove tecnologie avrebbe potuto togliere posti di lavoro alle fattorie e alle campagne, creando disoccupazione nel villaggio. Oppure, l’apertura di una fabbrica avvrebbe potuto fare di Shinohata un villaggio-fabbrica. Oppure avrebbe potuto trasformarsi in un villaggio che vive delle rimesse di figlie, figli o mariti che lavorano in citta’, o sotto qualche altra forma di rendita assistenziale.

Ma per fortuna , quando la forza dell’espansione dell’area metropolitana di Tokyo raggiunse Shinohata, tutte le cinque forze dell’espansione economica delle citta’ abbracciarono il villaggio contemporaneamente.

A Tokyo si aprirono mercati per nuovi prodotti agricoli. A partire dal 1950 gli abitanti di Shinohata si resero conto che potevano guadagnare di piu’ esportando nuovi prodotti agricoli: pesche, uva, pomodori, piante da giardino e alberi da piantare nei parchi delle citta’, e i “funghi della quercia”, una specialita’ culinaria Asiatica che puo’ essere venduta a prezzi molto alti, d’altro canto alcuni esperimenti come il luppolo, il tabacco e le pesche in scatola, furono fallimentari.La diversificazione ebbe effetti anche sulle diete degli abitanti del villaggio, i quali iniziarono a coltivare melanzane e nocciole, patate Irlandesi, rapanelli, zucche e cavoli. Dal momento che i cavalli non erano piu’ necessari, alcune famiglie avevano iniziato ad allevare mucche invece di cavalli. Solo 20 delle 49 famiglie lavoravano all’allevamento dei bachi da seta nel 1975, e anche quelle famiglie, avevano diversficato la loro attivita’. Ma 49 delle 49 famiglie erano ancora occupate nell’agricoltura e quasi tutte continuavano a coltivare riso. Le quantita’ prodotte di riso, assieme alle quantita’ di grano prodotte, aumentarono notevolmente.

Durante la fioritura agricola di Shinohata, i lavori cittadini iniziarono ad esercitare il loro fascino sugli abitanti del villaggio. A Shintohata, quasi nessuno era mai emigrato a Tokyo prima del 1956; fra le varie eccezioni, c’erano stati due maestri nella precedente generazione, uno divenne astronomo e l’altro medico. Ma a partire dal 1956, cosi’ tanti abitanti di Shinohata si erano trasferiti a Tokyo che nel 1975, 14 delle 49 famiglie avevano tutti i figli a lavorare a Tokyo, e nelle rimanenti 35, alcuni figli erano emigrati. Nel frattempo, nel villaggio si era aggiunta la cinquantesima famiglia, la famiglia di un professore di Tokyo e di sua moglie che amavano trascorrere i fine settimana fuori dal caos della grande citta’.

Con un numero crescente di giovani che volevano abbandonare l’agricoltura e con una crescente domanda di prodotti agricoli, qualcosa doveva cambiare. E quello che cambio’ fu il modo di lavorare la terra. Shinohata aveva sperimentato uno stallo che tipicamente accade nelle regioni vicine alle citta’. Gli abitanti del villaggio si affrettarono ad introdurre macchinari ed elettrodomestici per aumentare la produtivita’. Ad esempio, nel 1975 le ore necessarie per coltivare un chilo di riso erano circa la meta’ delle ore necessarie nel 1955.

L’esempio dell’aumento di produttivita’ piu’ impressionante riguarda i “funghi della quercia”, la specialita’ della cucina asiatica di cui Shinohata era ricca, paragonabile ai tartufi. Verso la meta’ degli anni 60 tre agricoltori iniziarono a sperimentare nuovi metodi per la produzione di questi funghi. Comprarono dei tronchi, con dei trapani li bucherellarono e li riempirono con terriccio e spore di funghi; poi lasciarono i tronchi a stagionare e dopo circa un anno furono in grado di raccogliere i funghi dai loro tronchi; una volta raccolti i funghi, gli agricoltori riempivano nuovamente i tronchi di terriccio e spore e ripetevano il processo. Nel 1975 questi agricoltori avevano 40-50 mila tronchi a testa e spedivano ogni giorno funghi a Tokyo, usando serre riscaldate durante l’inverno. Agricoltori dei villaggi vicini avevano iniziato ad imitare gli agricoltori di Shinohata.

Grazie anuovi macchinari e sistemi di produzione agricola, molti degli abitanti di Shinohata erano in grado di svolgere la loro attivita’ agricola part-time, assieme ad un lavoro da operai o dipendenti. Piu’ spesso, alcuni membri di una familia si dedicavano all’agricoltura, altri all’industria o al terziario. Generalmente, i piu’ anziani si occupavano della terra, mentre i giovani lavoravano nelle fabbriche. Nel 1975 sette vedove piuttosto anziane riuscivano a condurre le loro imprese agricole da sole, un compito che sarebbe stato impossibile per un uomo o una donna soli negli anni precedenti. In alcuni casi, l’acquisto di macchinari agricoli era finanziato dei loro figli che lavoravano a Tokyo.

Mentre avvenivano tutti questi cambiamenti, Tokyo iniziava a “trapiantare” le proprie fabbriche nei villaggi. Una grande societa’ agroalimentare decise di trasferire la sua produzione di cibo a Shinohata. L’immagine bucolica di Shinohata forni’ alla societa’ agroalimentare anche uno spunto per la propria campagna pubblicitaria. La grande societa’ agroalimentare era interessata al prezzo relativamente basso della terra del villaggio e alla vicinanza con i produttori. Gli agricoltori di Shinohata si spartirono i profitti della vendita della terra alla societa’ agroalimentare e continuarono a lavorare per conto proprio, trovando nella grande societa’ agroalimentare un canale aggiuntivo di vendita per i loro prodotti. Un abitante del paese che si era arricchito piu’ di altri perche’ possedeva una parte maggiore del terreno venduto aveva deciso di regalare alla comunita’ un impanto di filtraggio dell’acqua. Un esempio simile si ritrova nel villaggio di Bardou, dove si costrui’ un impianto fognario con i proventi della casa cinematografica.

La societa’ agroalimentare non aveva bisogno di molti dipendenti, perche’ il lavoro veniva fornito esternamente dagli agricoltori di Shinohata. Inoltre, in breve tempo, altre quattro imprese si trasferirono nel villaggio: un’impresa che comprava i rifiuti della societa’ agroalimentare e li riciclava per produrre mangimi per bestiame; un’impresa che fondeva pezzi di metallo riciclato dai macchinari in barre di acciaio; un’impresa di materiali da costruzioni; ed una piccola impresa che riparava centrifughe utilizzate nelle analisi mediche e chimiche. Quest’ultima impresa fu iniziata da un uomo che aveva lasciato Shinohata per Tokyo anni prima e aveva lavorato in una impresa di Tokyo che produceva simili macchinari. Volendo ritornare a Shinohata, persuase il suo datore di lavoro di dargli la concessione per la riparazione di tali macchinari in quella circoscrizione.

Il “trapianto” di lavori nell’antico villaggio agricolo di Shinohata dimostra come il villaggio si sia interconnesso con la vita della metropoli e di altre comunita; circostanti superando anche il limite dell’attivita’ agricola. Ad esempio. in una famiglia la moglie lavora in una fabbrica di biancheria intima recentemente “trapiantata” da Tokyo in un villaggio vicino a Shinohata; suo marito lavora in una tintoria tessile. In un’altra famiglia il marito lavorava nell’indotto della societa’ agroalimentare, sua moglie vendeva assicurazioni per la vita, mentre uno dei figli diventava apprendista cuoco in un grande albergo di Tokyo. Un altro uomo aveva un ufficio a Sano, una cittadina in fondo alla valle dove si trova Shinohata. Un altro era un autotrasportatore per una compagnia elettrica operante in una circoscrizione vicina; un altro lavora in una fabbrica di legname. un altro era diventato una guardia per una fabbrica che lui stesso aveva iniziato, ma che era fallita ed era poi stata comprata dai suoi attuali datori di lavoro. Acuni uomini erano fra i 35 dipendenti della la cooperativa agricola che raggruppava i villaggi della zona per un totale di 1,300 famiglie, 5,000 citta’. La divisione di questa cooperativa che si occupava di grano,  inizio’ attivita’ in proprio allo scopo di fornire lavoro part-time ai giovani agricoltori. Un uomo di Shinohata che prima lavorava in un centro di pesca commerciale, pote’ licenziarsi e lavorare part-time e occuparsi dei suoi studi di scienze naturali, quando suo moglie fu stata assunta in una vicina fabbrica di costruzioni ed poteva “guadagnare come un uomo”. Se sua moglie non avesse trovato quel lavoro, l’uomo non avrebbe potuto mantenersi con il suo lavoro part-time.

Nonostante Shinohata fosse un villaggio remoto, la nuova economia ha permesso ai suoi abitanti di ritagliarsi delle nicchie, un po’ come le nicchie ecologiche studiate dai professori di biologia, in una vita che altrimenti sarebbe stata molto povera e frustrante. Ad esempio, i proprietari delle foreste, che sono ora troppo occupati nelle loro occupazioni, hanno assunto un lavoratore a svolgere una nuova funzione: il guardiano dei confini delle foreste. Quest’uomo era il discendente della famiglia piu’ povera del villaggio, una famiglia che non aveva mai avuto successo, perche’ i suoi membri erano pigri e disonesti. Tuttavia, ques’uomo ebbe successo come “guardiano dei confini della foresta”, perche’ si interpone nelle controversie locali intermediando qua e la e chiedendo talvolta piccoli pagamenti in natura o piccole somme. In realta’, gli abitanti non avevano davvero bisogno dei servizi di quest’uomo, in parte perche’ troppo impegnati ad arricchirsi con le loro attivita’, in parte perche’ avevano cose piu’ interessanti da fare che litigare l’uno con l’altro, e con il benessere erano diventati piuttosto generosi. Anche se il lavoro del “guardiano della foresta” era diminuito, i suoi guadagni non diminuirono. Una giovane donna si poteva permettere di stare a casa a curare il proprio bambino. Altre giovani donne non erano interessate ad imitarla, ma le anziane del villaggio la invidiavano, ricordando i tempi di duro sacrificio di madri e contadine quando il lavoro agricolo non era meccanizzato. La foresta, che non veniva piu’ setacciata dagli abitanti per la ricerca di funghi e legna, era tornata selvaggia. Orsi e cinghiali sono tornarono ad abitarla. Anche per loro si apri’ una nuova nicchia nella nuova economia del villaggio.

Nel 1975, il villaggio derivava solo meta’ del suo reddito dall’agricoltura, ma questo non significava che il reddito agricolo fosse diminuito. Anzi, era aumentato.

Mentre il villagio attraversava tutti questi cambiamenti, la quinta grande forza delo sviluppo economico, il capitale, iniziava ad agire. La politica nel villaggio riguarda soprattutto le strade, i ponti, le scuole e i canali di irrigazione, e l’arte di persuadere il governo centrale ad inviare sussidi per tutte queste opere. In totale, le spese pubbliche erano finanziate per il 15% dal villaggio, per il 40% dalla prefettura locale sotto forma di contributi generici e per il 45% dalla prefettura attraverso contributi specifici. La societa’ agroalimentare aveva fornito la maggior parte del capital privato, ed i consumatori di riso di Tokyo avevano pagato i sussidi statali per favorire la produzione di riso.

Fra i contributi specifici, Shinohata aveva ricevuto fondi per le distruzioni causate da un tifone nel 1959. Nel 1814, una cronaca locale aveva definito il fiume che attraversa quella valle come una maledizione.

“Il fiume in piena porta con se talmente tanti detriti e tanta sabbia che il letto del fiume continua ad alzarsi. Gli argini devono continuamente essere rinforzati. In alcune zone, il livello del fiume si alza fino a 10 piedi sopra il livello dei campi coltivati, e speso rompe gli argini, riversando nei campi la sabbia e le rocce del letto del fiume. E ci vogliono anni per rimuovere dai campi tali detriti.”

Un tale disastro, generalmente accadeva una volta per ogni generazione e portava con se’ ditruzione e fame.

Quando questo questo disastro si ripete’ nel 1959, lo stato Giapponese verso’ fondi per portare al paese macchinari e lavoratori che rendessero i campi nuovamente produttivi, e verso’ fondi per ricostruire gli argini del fiume e dei suoi affluenti, questa volta in cemento armato. Inoltre, fece scavare il letto del fiume, recuperando il materiale per costruzione che venne acquistato dai costruttori di Tokyo (un’altra menifestazione dell’importanza della grande Tokyo per il villaggio di Shinohata).

Quando Dore torno’ a visitare Shinohata nel 1975, un gruppo di camion stava ancora trasportando metariale proveniente da letto del fiume, e questo flusso non sembrava diminuire. In realta’ la gente di Shinohata riusci’ a trasformare l’alluvione del 1959 in una risorsa.

Si potrebbe essere tentati di attribuire alla laboriosita’ degli abitanti di Shinohata il merito di queste trasformazioni economiche. Ma gli abitanti di Shinohata sono i primi a riconoscere che i loro avi lavoravano molto piu’ duramente di loro. Si potrebbe attribuire agli abitanti di Shinohata una innata capacita’ artigianale, ma gli abitanti di Shinohata, al contrario dei loro antenati, non intarsiano cappelli di paglia, ma li vanno a comprare. Considerato il poco che avevano, gli abitanti di Shinohata erano senz’altro creativi e laboriosi. Ma gli abitanti di oggi sono la stessa gente dei loro padri, alcuni di essi sono le stesse persone. Cio’ che e’ cambiato non sono le loro qualita’ degli individui, ma il fatto che i mercati delle citta’, i lavori, la tecnologia, l’apertura di nuove fabbriche e il capirale sono arrivati a Shinohata contemporaneamente, in larga misura e in proporzioni appropriate.

Le aree metropolitane, cosi’ come le citta’ metropolitane, comprendono moltissima vita economica in aree relativamente ristrette. Copenhagen e la sua area metropolitana, occupa solo una piccola parte del territoio Danese, tuttavia produce la maggior parte della ricchezza della nazione, possiede in se’ la maggiore la specializzazione e diversificazione economica, ed e’ abitata da piu’ della meta’ della popolazione Danese. 

La parte Sud Orientale dell’Inghilterra ha una densita di popolazione molto maggiore al resto del paese, e questo non solo grazie a Londra e alla sua periferia, ma anche alla regione economica e produttiva che alimenta e viene alimentata da Londra.

Molti di voi probabilmente vivono in una citta’, nei sobborghi di una citta’ o in un’area metropolitana.

Quando il nucleo di una citta’ metropolitana, l’originario centro cittadino, non attraversa piu’ il processo di rimpiazzo delle importazioni, inevitabilmente declina. Gradualmente la crescita economica della citta’ si affievolisce, invecchia. Non riesce piu’ a compensare attraverso la perdita di importazioni con le sue esportazioni e quindi i propri mercati si impoveriscono. Le regioni metropolitane naturalmente ne risentono anch’esse. I problemi pratici della citta’ e della sua area metropolitana si acuiscono e diventano intrattabili. La gente diviene piu’ pigra e svogliata. I giovani dell’area metropolitana, mentre prima emigravano nella vicina citta’, ora iniziano ad emigrare in metropoli lontane.

Le imprese continuano a spostarsi in aree sempre piu’ periferiche, ma questo non avviene piu’ perche’ giovani imprenditori nelle citta’ inventano nuovi prodotti facendo concorrenza alle imprese meno agili, ma perche’ le imprese scappano dai problemi irrisolti delle citta’ e lasciano il vuoto dietro di se’. Alla fine anche la fuga dalla citta’ in declino cessa, perche’ la fonte si e’ prosciugata.

Le regioni metropolitane hanno molte caratteristiche di rimpazzo delle importazioni delle citta’ stese, ma non sono citta’.  Nel bene e nel male sono creature delle citta’.

 

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Megalopoli

Posted by janejacobs su novembre 10, 2008

A Gennaio dello scorso anno nella Cina Meridionale si e’ verificata una nevicata improvvisa ed inusuale che ha bloccato duecento milioni di viaggiatori che tornavano nei villaggi di provenienza per un breve viaggio durante il capodanno cinese. Il mondo ha avuto un’ulteriore conferma dell’enorme scala dell’urbanizzazione cinese.

I governi dei paesi poveri alzano le spalle davanti  questo tipo di notizie che espongono la fragilita’ delle economie di recente urbanizzazione. La maggior parte dei viaggiatori Cinesi coinvolti nel piu’ grande blocco dei trasporti che la storia umana ricordi erano spesso immigrati provenienti dalle campagne che lavorano da poco in citta’ e tornavano a casa per le feste. Negli ultimi 30 anni la popolazione urbana e’ aumentata da 1.6 miliardi di abitanti a 3.3 miliardi di abitanti e nei prossimi 30 anni si dovrebbero aggiungere altri 2 miliardi. Alcuni governi hanno dei dubbi sulla loro capacita’ di gestire un’urbanizazione di proporzioni cosi’ gigantesche; alcuni di essi stanno cercando di ridurre il movimento di persone dalle campagne alle citta’ per ridurre il rischio di instabilita’ sociale.

La crisi alimentare degli ultimi 18 mesi ha aumentato i timori sull’approvigionamento di cibo per i poveri delle megalopoli del terzo mondo. Il seretario delle nazioni unite Ban Ki-moon ha avvertito all’ultimio Forum biennale di Nanchino che entro il 2030 piu’ di due miliardi di persone potrebbero vivere in situazioni di estrema poverta’ nelle favelas dell’America Latina e dell’Asia e che le magalopoli genereranno la maggior parte dei consumi energetici e della spazzatura.

Tali paure di eccessiva concentrazione sono riflesse nelle politiche di molti paesi. L’Arabia Saudita sta spendendo miliardi di dollari per costruire nuove citta’ che alleggeriscano la crescita di Jeddah e Riyadh. L’Egitto sta costruendo 20 nuove citta’ per deviare la crescita urbanistica dal Cairo. Simili tentativi sono stati fatti negli anni ’50 e ’60 in Gran Bretagna ed in Francia con la costruzione di nuove citta’ periferiche per controbilanciare la predominanza delle rispettive capitali.

Tuttavia, una recente pubblicazione della Banca Mondiale suggerisce che il pessimismo sull’urbanizzazione sia eccessivo. Secondo questo studio le citta’ del Terzo Mondo stanno crescendo cosi’ in fretta proprio perche’ esse sono in grado di generare enormi vantaggi economici per chi ci viene a vivere e tali vantaggi potrebbero aumentare. Rallentare l’urbanizzazione o ricollocarla in citta’ artificiali e’ una perdita di tempo e denaro. L’evidenza e la semplicita’ della fisica, dell’econoima, della geografia e della natura sono fattori molto piu’ potenti delle politiche dei governi nazionali nell’influenzare la decisione delle popolazioni su dove andare a vivere, come dimostra il premio Nobel all’economia di quest’anno Paul Krugman che si rifa’ (direttamente o indirettamente) alle teorie di Jan Jacobs.

La Banca Mondiale sottolinea che le megalopoli dei paesi poveri non possono essere “scaricate” come obrobri moterni solo perhce’ sono troppo grandi, troppo caotiche, troppo inquinate e troppo diseguali.

Citta’ del Messico, Mumai, San Paolo e Shanghai hanno piu’ di 15 milioni di abitanti ciascuna, metre Londra e Parigi ne hanno circa la meta’. La popolazione media delle 100 citta’ piu’ grandi del mondo oggi e’ di 6 milioni, mentre nel 1900 era di 700,000.

Ma se prese nel contesto della popolazione totale, la crescita delle megalopoli di oggi e’ molto simile alla crescita di Parigi e di Londra nel XIX secolo. Citta’ del Messico si sta sviluppando allo stesso modo in cui Parigi si era sviluppata nel XIX secolo e la storia di Parigi ci suggerisce che lo sviluppo demografico di Citta’ del Messico non sara’ eterno. La storia suggerisce anche che il divario tra ricchi e poveri diminuira’. Quando la gente si trasferisce in citta’, i salari urbani sono circa del 40-50% superiori di quelli agricoli, questo valeva nel XIX secolo e vale ancora oggi per i paesi in via di sviluppo. Nei paesi ricchi dell’Occidente la differenza fra salari agricoli e urbani e’ diminuita nell’ultimo secolo e tale convergenza sta iniziando anche nei paesi poveri.

Se a noi le megalopoli del terzo mondo appaiono gigantesche, nel contesto della loro popolazione o della loro proporzione di popolazione urbana a popolazione agricola non lo sono. Il lavoro delle megalopoli del terzo mondo e’ sempre piu’ importante. Ed e’ un lavoro di commercio, produzione di beni e servizi, rimpiazzo delle importazioni.

Fonte: Banca Mondiale

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Los Angeles

Posted by janejacobs su ottobre 30, 2008

La sala concerti di Los Angeles intitolata a Walt Disney

A Los Angeles si puo’ trovare di tutto, persone provenienti da 140 nazionalita’ diverse si sono trasferite nella grande citta’, aspiranti attori che sperano di diventare famosi, imprenditori, imprese ed immigrati che sostengono la sua diversa economia.
Los Angeles e’ la capitale creativa dell’America, il centro della produzione di film e dell’industria televisiva. Los Angeles ha dato al mondo l’opera di Walt Disney e Raymond Chandler, MySpace e la bambola Barbie. La tecnologia satellitare e’ nata a LLos Angeles ed grandi aviatori come Howard Huges hanno fondato qui le loro imprese.
Los Angeles ha un’economia vibrante e diversificata, la Mattel, il piu’ grande produttore mondiale di giocattoli ha sede a Los Angeles. A Los Angeles hanno sede le piu’ grandi imprese dell’industria di videogiochi. Tuttavia Los Angeles e’ anche una citta’ industriale. Nonostante l’industria aerospaziale si abbia abbandonato la citta’ nel corso degli anni ’90, Los Angeles continua ad essere un grande centro manifatturiero con 450,000 mila addetti nell’industria tessile e nell’industria elettronica.
La citta’ possiede il piu’ grande porto dell’emisfero Occidentale del Pianeta, in cui arriva circa la meta’ dei beni che vengono importati negli Stati Uniti. Los Angeles e’ anche un centro di primaria importanza nella tecnologia e nella ricerca. E naturalmente e’ la capitale mondiale del cinema. Los Angeles e’ una calamita per le nuove imprese dei media digitali.
In precedenza e’ stata a lungo una capitale del’industria aerospaziale. Quando quell’industria e’ progressivamente declinata con la fine della guerra fredda, l’economia locale e’ stata colpita duramente perche’ si appoggiava molto su questo settore.
Ora l’economia e’ molto piu’ diversificata grazia al settore del terziario avanzato ed ai media. Fino a 20 o 30 anni fa, Los Angeles era anche una capitale finanziaria, ma le fusioni fra diverse banche hanno visto l’importanza della citta’ nel settore finanziario ridursi progressivamente. Il recente boom nel settore edilizio ha riportato la finanza a Los Angeles.
Negli ultimi tre-quattro anni c’e’ stato un forte aumento di lavori nel settore finanziario relativa al boom del settore immobiliare. Ma il collasso della bolla dei mutui e la caduta del valore degli immobili ha portato alla conclusione dello sviluppo di questo settore. Due grandi Banche, la Indymac e Countrywide, sono fallite.
Tuttavia, altri settori continuano a crescere. Alcune banche piu’ prudenti continuano a fare buoni affari, e anche il settore della moda e del tessile. La American Apparel, un grosso produttore di vestiti, impiega a Los Angeles 4,000 persone.
Los Angeles ha una grande popolazione di Latinos provenienti dall’America Centrale e Meridionale i quali giocano un ruolo centrale nel sostenere la crescita economica della citta’. I Latinos lavorano soprattutto nel settore dei servizi e delle costruzioni. I Latinos spesso entrano negli Stati Uniti illegalmente; si stima che i lavoratori senza documenti a Los Angeles siano 625,000.
Una lamentela da parte dei visitatori di Los Angeles e’ la mancanza di un centro cittadino, e questo in parte e’ vero. Le autorita’ cittadine si stanno sforzando di rivitalizzare il distretto commerciale di downtown Los Angeles con la parziale trasformazione del centro in distretto dell’intrattenimento. Tuttavia, l’anima di Los Angeles non si puo’ trovare in nessuna delle molte citta’ che costituiscono la contea di Los Angeles.
Malibu, Pasadena, Inglewood e Manhattan Beach sono solo alcune delle dozzine di citta’ che compongono la Contea di Los Angeles, ognuna ha un carattere unico. Piu’ di 10 milioni di persone vivono a Los Angeles, e la maggior parte di loro sanno che potrebbero trovarsi di fronte ad un totale caos se la California dovesse essere dal grande terremoto che da alcuni anni i sismologi si aspettano.
La citta’ e’ spesso vittima di grandi incendi che si sviluppano piu’ o meno spontaneamente e che distruggono parte delle citta’.
Ma il clima temperato e lo stile di vita rilassato della citta’ sembrano vincere sulla paura delle calamita’ naturali.
Gli abitanti della citta’ vivono con altre frustrazioni. E’ una delle piu’ ricche citta’ al mondo, dimora di miliardari come Rupert Murdoch, David Geffen ed Eli Broad. Tuttavia il sistema stradale e le infrastrutture pubbliche sono a pezzi, a causa della cronica mancanza di investimenti. Los Angeles ha un sistema di bus ed una rete di metropolitana leggera che collega San Fernando Valley, Pasadena e Long Beach.
Ma a Los Angeles manca un sistema capillare di trasporti pubblici e viaggiare in auto e’ l’unica alternativa.
Il crimine delle gang continua ad essere un problema, nonostante gli sforzi del capo della polizia di Los Angeles Bill Bratton. La citta’ ha un eccellente sistema educativo, ma il suo sistema di scuole statali inizia a scricchiolare per mancanza di fondi. Mentre lo Stato della California sta disperatamente cercando di ridurre la spesa pubblica incalzato com’e’ dalla crisi economica, le scuole sono spesso le prime vittime dei tagli alla spesa.
Un altro problema e’ che pur essendo vastissima, Los Angeles e’ divisa in isole dove gli abitanti spesso non osano nemmeno addentrarsi oltre alle montagne di Santa Monica. Ci sono anche molto abitanti con una mentalita’ internazionale, ma spesso ci si lamenta che a Los Angeles non e’ cosmopolita come la sua “rivale” New York.
Tuttavia Los Angeles e’ una citta’ molto internazionale. Ha relazioni importanti con le citta’ Asiatiche che inviano beni di consumo negli Stati Uniti attraverso i loro porti.
Los Angeles sta diventando sempre piu’ una capitale artistica grazie all’apertura di nuove gallerie, ad una delle migliori orchestre sinfoniche al mondo, e alla sala concerti intitolata a Walt Disney e progettata da Frank Gehry, che e’ forse l’edificio piu’ bello della citta’ e ha trasformato downtown.
Los Angeles ha molte sfide da superare. Ma e’ una citta’ ottimista, ambiziosa, diversa ed eccitante. Los Angeles guarda sempre avanti.

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L’urbanizzazione della Cina

Posted by janejacobs su settembre 22, 2008

Entro il 2030 ci saranno un miliardo di consumatori nelle citta’ Cinesi. Questo enorme mercato urbano comportera’ enormi opportunita’ alle citta’ Cinesi e straniere ed enormi minacce dal punto di vista ambientale.

L’urbanizzazione della Cina e’ un fenomeno prettamente locale. Alcuni esperti calcolano che le citta’ Cinesi asfalteranno cinque miliardi di metri quadrati di strade nei prossimi quindici anni e costruiranno 170 nuove reti di trasporto urbani, circa il doppio di quelli esistenti oggi in Europa. Entro il 2025 le citta’ costruiranno 40 miliardi di metri quadri di nuove abitazioni in cinque milioni di nuovi edifici, di cui 50,000 saranno nuovi grattacieli simili a quelli che vediamo oggi a New York o a Shanghai. Il valore dello sviluppo delle citta’ Cinesi da qui al 2025 corrispondera’ al PIL della Germania prodotto nel 2007.

A questi ritmi, la domanda di energia sara’ piu’ del doppio di quella di oggi e richiedera’ nuove capacita’ energetiche per 1,200 gigawatts da oggi al 2025. Il volume delle merci trasportate sulle strade cinesi quadruplichera’.

Ma le citta’ Cinesi si troveranno di fronte anche a grandi costi ambientali e sociali. L’inquinamento ed il traffico stanno raggiungendo condizioni critiche in molte citta’ e saranno necessarie innovazioni tecnologiche nel campo del risparmio energetico, del riciclaggio dell’acqua, al trasporto e alla generazione di energia elettrica.

Le citta’ Cinesi hanno l’enorme compito di assorbire nei prossimi 15 anni circa 300 milioni di immigrati. Le citta’ Cinesi stanno istituendo programmi di addestramento e formazione presso le loro amministraioni in collaborazione anche con altre citta’ ed imprese internazionali per investire in educazione, migliorare le condizioni di lavoro.

Un programma nazionale di produttivita’ urbana ache replica i successi delle citta’ all’avanguardia potrebbe far risparmiare $220 milioni in spesa pubblica, tagliare le emissioni di anidride solforosa e diminuire l’inquinamento delle acque.

Fonte: mgi

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Tolleranza e ricchezza in Baviera

Posted by janejacobs su settembre 3, 2008

Le imprese tecnologiche di Monaco di Baviera attraggono immigrati da tutta la Germania e dall’estero; quelli che non possono permettersi l’elevato costo della vita della capitale Bavarese si insediano nelle Wolfratshausen, i sobborghi di Monaco in fondo alla linea dei treni dei pendolari. Un terzo della popolazione degli Wolfratshausen si stabilisce in queste zone solo per qualche anno e poi se ne torna da dove e’ venuto o se ne va altrove. Questo lascia molti giovani Bavaresi indifferenti alle tradizioni della regione e molti politici della CSU, il partito che domina la Baviera da decenni, sono preoccupati per la mancanza di adesione ai valori tradizionali Bavaresi, che fonde un forte attaccamento all’identita’ territoriale con i valori Cattolici tipici di questo Stato attorniato dalle Alpi e favorito da un forte sviluppo economico.

La Baviera ha il tasso di disoccupazione piu’ basso di tutta la Germania, il piu’ basso debito pubblico pro capite ed un surplus nella bilancia dei pagamenti. Dal 1970, il PIL pro capite in Baviera e’ cresciuto piu’ che in tutti gli altri Stati Tedeschi, il crimine e’ piu’ basso che nel resto della Germania e a scuola i Bavaresi sono piu’ bravi in matematica e comprensione del testo scritto che negli altri Stati Tedeschi.

La Baviera non e’ sempre stata cosi’ fortunata. La sua economia prevalentemente agricola non ha approfittato della prima fase del boom economico tedesco della Wirtschaftswunder, il miracolo economico; inoltre la Baviera ha assorbito due milioni di immigrati dalla Cecoslovacchia e dalla Polonia. Ma alla lunga questi lati negativi sono diventati dei punti di forza; la Baviera non e’ stata rallentata da industrie che sono diventate obsolete (ad eccezione di alcune industrie in Franconia, nella Baviera Protestante del nord, che ora e’ meno prospera della Baviera del Sud). I rifugiati provenienti dall’Europa dell’est sono diventati imprenditori aiutati da prestiti garantiti dal governo bavarese e hanno fatto da volano allo sviuppo delle piccole e medie imprese Bavaresi.

Alla fine degli anni ’50 il pieno impiego che si manifesto’ altrove in Germania spinse le industrie verso la Baviera che ancora aveva persone in cerca di lavoro e che richiedevano stipendi piu’ bassi. La Baviera inoltre fece buon uso degli aiuti provenienti dal governo centrale a cui aveva diritto in qualita’ di stato piu’ povero per costruire strade e infrastrutture utili allo sviluppo dell’economia. Si assicuro’ risorse energetiche importando il petrolio dagli oleodotti provenienti dall’Italia e costruendo il primo impianto nucleare della Germania. Fu uno dei primi promotori dei distretti industriali e comprese che le universita’ erano un forte impulso per la crescita. Oggi la Baviera ha due delle migliori nove universita’ tedesche. Nove delle 30 societa’ che formano l’indice di borsa delle grandi imprese tedesche (il DAX) hanno sede a Monaco di Baviera, inclusa il famoso costrutttore di auto di lusso BMW (che vuol dire Bayerische Motoren Werke, cioe’ Automobili Bavaresi).

Societa’

Settore

Allianz
Assicurazioni
BMW
Automobili
Daimler
Automobili
Hypo
Finanziaria
Infineon
Tecnologia
Linde
Ingegneria
MAN
Veicoli Industriali
Muencher Ruec.
Assicurazioni
Siemens
Ingegneria

 

 

 I politici Bavaresi hanno incoraggiato lo sviuppo dell’industria della difesa e aerospaziale ed il primio ministro Bavarese, Günther Beckstein , oggi vuole che il suo Stato sia una delle cinque regioni piu’ innovative al mondo. Per continuare a mantenere la Baviera competitiva dovra’ molto probabilmente continuare ad attrarre emigrati dall’esterno.

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La nuova Seoul

Posted by janejacobs su settembre 1, 2008

Vecchia Seoul

Certamente Seoul non e’ una delle piu’ belle citta’ Asiatiche, e forse e’ per questo che la citta’ sta per stravolgere il suo aspetto con un progetto di costruzioni miliardario. Cinque studi di progettazione internazionali Foster, Libeskind, Asymptote, jerde, skidmore owings e merill sono stati selezionati come finalisti per ridisegnare quest’area in un progetto nell’area di Yongsan per cui sono Dopo la fine della Guerra Coreana, Seoul e’ stata ricostruita in fretta aiutata da un robusto boom economico e industriale che e’ durato quattro decenni e l’enfasi delle costruzioni era piu’ sulla funzione degli edifici che sulla forma. Ne e’ risultato un disordinato agglomerato di cemento.

Ma nell’ultimio decennio si sono iniziati a costruire piu’ parchi e piazze e sono stati costruiti edifici con piu’ attenzione alla forma e alla bellezza. A questi cinque famosi studi di architettura globali e’ stato chiesto di progettare un centro all’avanguardia su 556,000 metri quadri oggi occupati dai magazzini delle ferrovie e che si trovano nel centro di Seoul. In questo spazio preventivate spese che raggiungeranno la cifra astronomica di $28 miliardi. Il progetto dovrebbe incominciare nel 2011.dovrebbero esserci edifici commerciali, residenziali, culturali e sportivi con una torre che avra’ un forte impatto visivo. Il vincitore sara’ annunciato a Dicembre.

Il quartiere di Yongsan e’ vicino al fiume Han e vicino a due importanti stazioni ferroviarie. Esso sorse ai bordi della base militare Americana che sara’ trasformata nel “Central Park di Seoul” quando si spostera’ a Sud della capitale nei prossimi quattro anni.

Secondo Nina Libeskind, Seoul non ha nessun simbolo architettonico di rilievo ed e’ proprio per questo che il nuovo mega centro sta per essere sviluppato con l’aiuto di grandi architetti internazionali. Ma i residenti del quartiere non sono del tutto entusiasti. Alcuni sono felici di vivere in quest’area perche’ e’ centrale e si aspettano ulteriori miglioramenti con il nuovo progetto. Ma altri pensano che il governo non stia pagando i residenti per traslocare, che non li stia consultando a sufficienza e che non garantisca i loro diritti di proprieta’.

L’area di Yongsan e’ nove volte piu’ grande di quella di Ground Zero e i cinque mega studi di architetti globali hanno gia’ guadagnato un milione di dollari ciascuno, molto di piu’ dei $40,000 offerti per ridisegnare il World Trade Center di Ground Zero. Andy Bow della Foster lo definisce simile al Complesso di Canary Wharf a Londra o alla Défense di Parigi e qui sotto possiamo vedere in anteprima il suggestivo progetto architettonico. Il confronto con la foto sopra di come e’ la zona oggi e’ scioccante.

 

 
 

 

 

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70,000 nuove case popolari

Posted by janejacobs su agosto 7, 2008

 

Secondo i miei calcoli (derivati da questo articolo di repubblica) il governo Italiano ha in programma di costruire 70,000 nuovi appartamenti da destinare ai poveri.

 

E’ strano che in un paese come l’Italia in forte calo demografico ci sia bisogno di cosi’ tante case popolari.

 

Piuttosto sembra che in Italia, mentre diminuiscono gli abitanti, c’e’ un aumento dei poveri e ci sono forti migrazioni interne al Paese. I poveri stanno spopolando il Sud e si stanno trasferendo al Centro-Nord come nel dopoguerra. Quindi molte case verranno abbandonate al Sud e molte nuove case dovranno essere costruite al Centro-Nord la’ dove c’e’ piu’ lavoro e dove ci sara’ maggiore urbanizzazione.

 

Sarebbe interessante se il governo provvedesse anche a dare indicuazioni su quali modelli abitativi intende costruire per i nostri poveri nelle aree metropolitane del Centro-Nord.

 

I modelli urbanistici piu’ consolidati sono ispirati a due pensatori:

 

1) Le Corbusier

 

2) Jane Jacobs

 

Le Corbusier ha teorizzato un’architettura standardizzata e sintetica priva di estetica, di decorazione e di bellezza. Le Corbusier sta all’architettura come Ford sta all’industria. Tutte le case devono essere uguali come il lavoro nelle catene di montaggio. Gli edifici devono raccogliere quante piu’ persone possibili per lasciare spazio alle strade dove far circolare automobili e costruire parcheggi. Le Corbusier ha ispirato la costruzione delle periferie delle citta’ Italiane a partire dagli anni ’50 fino ad oggi.

 

Jane Jacobs e’ stata la piu’ grande antagonista del modello urbanistico di Le Corbusier ritenendo che i suoi edifici non fossero a misura d’uomo. Secondo Jane Jacobs troppi spazi aperti nelle citta’ inibiscono l’abilita’ della societa’ di governarsi da sola perche’ diminuiscono il numero degli occhi sulla strada. Inoltre le grandi strade urbane stravolgono la societa’ creando ghetti cittadini. Oggi la maggior parte dei quartieri ifici costruiti su modello di Le Corbusier sono zone di poverta’, emarginazione, violenza e criminalita’, mentre i quartieri tradizionali sono generalmente quelli con il prezzo degli immobili piu’ alto.

 

Che fine faranno i nostri nuovi poveri? Che fine faranno le nostre povere citta’?

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Il piu’ grande Doge di Venezia

Posted by janejacobs su agosto 5, 2008

Ultimamente la cronaca ha portato alla ribalta il fatto che a scuola si imparino i nomi dei sette re di Roma e non quelli dei dogi di Venezia. I dogi a capo della repubbica di Venezia sono stati in tutto centoventi e si sono succeduti al comando per mille e cento anni fino a quando Venezia perse la sua millenaria indipendenza ad opera di Napoleone Bonaparte. 

Sarebbe molto difficile ricorare a scuola tutti i centoventi Dogi di Venezia, anche perche’ (per par condicio) si dovrebbero ricordare anche i Duchi di Mantova, Firenze, Ferrara, Verona, i re della Savoia, i re di Sicilia Normanni, Francesi, Tedeschi e Borboni. Tuttavia, almeno un doge vale davvero la pena di ricordarlo: il suo nome e’ Enrico Dandolo.

 In tutta la storia di Venezia non esiste una figura piu‘ incredibile del doge Enrico Dandolo. Egli divenne il trentanovesimo doge di Venezia il primo gennaio 1193 quando era giavecchio e cieco. Tuttavia Dandolo dimostro’ un’incredibile forza fisica e mentale per la sua eta’. Quando Dandolo divenne doge aveva almeno superato da un pezzo i settant‘anni.

Alla fine del dodicesimo secolo l’Europa era in un grande stato di confusione. L’impero Romano d’Oriente e quello d’Occidente erano in agitazione. In Germania vi era una guerra civile, Inghilterra e Francia erano occupate in problemi di successione dovuti alla morte di Riccardo Cuor di Leone. A Roma, Papa Innocenzo III aveva proclamato nel 1198 una nuova Crociata che sarebbe arrivata in Terra Santa con una spedizione navale attraverso Il Cairo considerato allora il tallone d’Achille dei Mussulmani.

Pertanto conveniva trasportare i Crociati via mare e a quel tempo c’era una sola potenza in Europa in grado di fornire le navi sufficienti a questa impresa. Questa potenza era la la Repubblica di Venezia.

Nel 1201, una delegazione di sei cavalieri guidati da Goffredo di Villehardouin arrivarono a Venezia, la quale acconsenti’ a offrire trasporto a 4,500 cavalieri con i loro cavalli, 9,000 scudieri e 20,000 fanti, con provviste per 9 mesi. Il costo sarebbe stato di 84,000 marchi d’argento. In aggiunta, la Repubblica avrebbe fornito le necessarie imbarcazioni (galee) a proprie spese a condizione che le si fossero consegnate la meta’ delle Terre conquistate. Fu Enrico Dandolo a condurre le trattative con la delegazione dei crociati.
Il capo dei Crociati Goffredo di Villehardouin e Dandolo si accordarono a radunare i crociati a Venezia per l’anno seguente nella festa di San Giovanni il 24 Giugno 1202. Ma quando venne il fatidico giorno, i militari che si radunarono al lido erano meno di un terzo di quelli che ci si aspettava. Venezia aveva mantenuto la sua promessa, i suoi moli avevano le galee pronte ad ospitare il triplo degli uomini che si erano radunati. Ed in tali circostanze era impossibile che i Crociati avrebbero trovato sufficienti fondi per ripagare i Veneziani per aver procurato tutte quelle navi per cosi’ pochi uomini.

Dandolo si rifiuto’ di far partire anche una sola nave e stava considerando di tagliare anche i viveri ai crociati confinati al Lido e a cui non aveva consentito l’accesso in citta‘. I Crociati quindi dovettero svuotare le loro tasche e dare ai veneziani praticamente tutto quello che avevano, ma essi riuscirono a raccogliere solo 50,000 marchi rispetto agli 84,000 marchi dovuti.

Dandolo mantenne i crociati nell’incertezza fino all ‘ultimo, poi quando si rese conto che non avevano piu‘ nulla da dare, fece loro un’offerta. La citta‘ Veneziana di Zara era stata conquistata dagli Ungheresi e se i Crociati avessero aiutato Venezia a riconquistarla i Veneziani avrebbero accettato di riscuotere il mancato pagamento in un secondo momento. I Crociati erano essenzialmente Franchi, un popolo piuttosto rozzo (almeno allora) rispetto ai Veneziani. I Franchi rimasero incantati quando Dandolo, in una solenne cerimonia ufficiale nella chiesa di San Marco, offri’ solennemente di farsi crociato con i Crociati Franchi e di lasciare il governo di Venezia al figlio. Enrico Dandolo scese dal pulpito sali’ sull’altare si inginocchio’ e si fece cucire la croce sul suo grande cappello di cotone, significando che era pronto a “portare la croce” e a conquistare la Terra Santa.
L’8 Novembre 1202 l’esercito della quarta crociata partiva da Venezia. Ma le sue 480 navi non erano destinate ne’ in Terra Santa, ne’ al Cairo, bensi‘ a Zara. Il papa, oltraggiato, scomunico’ l’intera spedizione.
Nel frattempoAlessio, imperatore di Costantinopoli, era stato spodestato dallo zio Isacco e si era rifugiato in Germania. Alessio nel 1203 offri’ a Dandolo di finanziare la conquista dell’Egitto con diecimila soldati e di mantenere a sue spese un presidio militare di cinquecento soldati in Terra Santa a patto che i Veneziani avessero fatto tappa a Costantinopoli e cacciato l’usurpatore Isacco dal trono.

Il vecchio Doge accetto’ l’Offerta di Alessio con entusiasmo. Anche i crociati furono felici di accettare l’offerta e dopo aver riconquistato per Venezia Zara si avviarono alla volta di Costantinopoli. Nella capitale dell’Impero Romano d’Oriente, l’usurpatore Isacco non aveva posto sufficienti difese per un attacco via mare. I Crociati ed i Veneziani trovarono pertanto gioco facile a sconfiggere la debole flotta bizantina. Ma la citta‘ di Costantinopoli aveva mura alte e possenti inviolate da piu’ di mille anni e ben difese da soldati mercenari Inglesi e Danesi. Intanto l’esercito crociato iniziava ad attaccare le mura della citta’ con apposite catapulte montate sulle navi.
Goffredo di Villehardouin riporta che anche se le navi Veneziane erano ormai vicinissime alla costa i marinai esitavano, ma fu Dandolo a prendere la situazione in pugno:
 
 Il Doge di Venezia, un uomo vecchio e cieco, si mise in piedi alla prua della sua galea con la bandiera di San Marco e ordino’ ai suoi uomini di sbarcare. Quando essi sbarcarono, egli salto’ giu’ dalla prua e pianto’ la bandiera di San Marco davanti a se’. E quando gli altri videro lo stendardo di San Marco davanti alla galea del Doge, provarono un enorme senso di vergogna, si fecero coraggio e iniziarono a sbarcare.”

Nel giro di poco tempo, venticinque delle torri di Costantinopoli erano state prese dai Veneziani. Nel frattempo i Crociati Franchi erano sbarcati in una zona poco lontana, avevano accerchiato la citta’ ed erano riusciti a penetrarvi. La forza congiunta dei Veneziani e dei Franchi mise in fuga l’imperatore Isacco. I Crociati ed i Veneziani nominarono come imperatore il padre di Alessio in attesa che egli tornasse dalla Germania, compiendo la missione secondo i patti presi con Alessio. Nel frattempo Franchi e Veneziani si accamparono a Galata, il quartiere dei mercanti di Costantinopoli fuori dalle mura della citta’.
Il 1 Agosto 1203 Alessio fu incoronato co-imperatore con suo padre, ma si penti’ molto delle promesse fatte ai Veneziani. Le casse di Costantinopoli erano vuote; Alessio dovette aumentare notevolmente le tasse che erano odiate dai suoi sudditi, non solo perche’ erano alte, ma anche perche’ sapevano che servivano a a ripagare i debiti contratti con gli stranieri. I Crociati Franchi, ormai disseminati in ogni angolo della citta‘ facevano continuamente aumentare la tensione. Una notte, un gruppo di Franchi brucio’ una moschea nel quartiere arabo di Costantinopoli e le fiammo si sparsero per tutta la citta’ causando il peggiore incendio che della storia di Costantinopoli.
Quando qualche giorno dopo una delegazione di Crociati e Veneziani venne a chiedere all’Imperatore il pagamento immediato delle somme pattuite, Alessio non pote’ fare nulla; pertanto i Crociati ed i Veneziani dichiararono guerra, una guerra che ne’ i crociati ne’ gli abitanti di Costantinopoli volevano. Gli abitanti di Costantinopoli volevano solo liberarsi dei rozzi Crociati che stavano distruggendo la loro citta‘ e che li stavano dissanguando attraverso le alte tasse contratte dai debiti del loro nuovo imperatore. I Franchi non sopportavano piu‘ di stare in mezzo a quel popolo decadente ed effeminato mentre avrebbero dovuto essere al Cairo e a Gerusalemme a combatter contro gli infedeli. Anche se il debito di Alessio sarebbe stato ripagato, essi non avrebbero avuto alcun vantaggio materiale, perche‘ i soldi sarebbero entrati nelle casse dei Veneziani.

Presa di Costantinopoli da parte dei Crociati

Enrico Dandolo aveva la chiave per risolvere il problema. In ogni momento egli avrebbe potuto ordinare alla sua flotta di partire. I crociati ne sarebbero stati sollevati e gli abitanti di Costantinopoli sarebbero stati esultanti. Ma Dandolo aveva rifiutato di ripartire perché i Franchi non avrebbero mai ripagato il loro debito, ma poi si rassegno’ a non ricevere il pagamento dai Franchi e la sua mente si era soffermata su un obiettivo piu‘ ambizioso: la conquista dell’Impero Romano d’Oriente.

Dandolo decise di sfruttare la debolezza dei suoi debitori e di prendere quest’unica opportunita‘ storica. Mentre Dandolo consolidava il suo potere diventando di fatto il capo della spedizione, Costantinopoli si ribellava all’imperatore Alessio e stava per cacciare anche i Franchi quando Franchi e Veneziani si accordarono per prendere solidamente e definitivamente il controllo della citta‘. Essi erano molto meno preoccupati di come attaccare la citta‘ e molto piu‘ preoccupati di come spartirsi il potere una volta conquistata Costantinopoli. Ci si accordo’ perché Franchi e Veneziani incaricassero ciascuno sei delegati in un comitato elettorale per scegliere il nuovo imperatore di Costantinopoli. L’imperatore avrebbe ricevuto un quarto della citta‘ e dell’impero. I rimanenti tre quarti sarebbero stati divisi a meta’ tra i crociati ed i Veneziani.

L’attacco inizio’ Venerdi‘ 9 Aprile. I Veneziani riuscirono ad aprire brecce in due torri con grazie alle loro catapulte. Contemporaneamente i Franchi entrarono nelle mura scatenando la fuga della popolazione e dei governanti di Costantinopoli che erano stati mesi in piedi dopo la recente rivolta.

A Costantinopoli ci fu una carneficina. Solo a notte fonda gli occupanti chiamarono una tregua per tornare al loro campo. La mattina seguente si svegliarono e trovarono sconfitta ogni resistenza. Ma per la gente di Costantinopoli la tragedia era appena incominciata. Non per nulla i Franchi avevano aspettato cosi‘ a lungo  al di fuori della cittapiu‘ ricca del mondo. Ora che i tradizionali tre giorni di saccheggio erano stati loro garantiti, i Crociati saccheggiarono Costantinopoli come locuste. Nemmeno ai tempi delle invasioni barbariche a Roma si era vista una tale orgia di brutalità e di vandalismo; mai prima d’ora tante bellezze e creazioni artistiche furono distrutte in cosi’ poco tempo. Tra i testimoni oculari dell’epoca scrisse Nicete Coiante:

Essi distrussero le immagini sacre e gettarono le reliquie dei Martiri in posti che non riesco a nominare, spargendo ovunque il corpo ed il sangue del nostro Salvatore… Per quanto riguarda la profanazione di Santa Sofia, distrussero l’altare e si divisero i pezzi fra se’.. E portarono i cavalli ed i muli in nella Chiesa, per trasportare meglio le ricchezze fuori da essa, ed il pulpito, e le porte, ed i mobili sacri; e se i cavalli ed i muli scivolavano, li ammazzavano con le loro spade, sporcando la Chiesa con il loro sangue e le interiora. Una prostituta si sedette sulla sedia del Patriarca, per gettare insulti a Gesu‘ Cristo; si mise a cantare canzoni sconce.. non ci fu pieta‘ per le virtuose madri di famiglia o per le giovani vergini consacrate a Dio…questi uomini portavano la croce sulle loro spalle, la Croce su cui avevano giurato di astenersi dai piaceri della carne fino a che il compito di riconquestare Gerusalemme non fosse portato a termine.

Questa fu l’ora piu‘ buia i Costantinopoli, forse ancora piu‘ buia di quando la citta‘ fu conquistata nel 1453 dai Turchi Ottomani. Ma non tutti i tesori furono distrutti. Mantennero il controllo e trasportarono tutto cio‘ che poterono a Venezia. Iniziando dai quattro grandi cavalli di bronzo che, dalla loro alta piattaforma sopra la porta principale di San Marco, dominano ancora principale Piazza di Venezia dopo otto secoli.

 Dopo tre giorni di terrore a Costantinopoli fu ristorato l’ordine. Si raccolse il bottino e si riparti’ in questo modo: un quarto per all’imperatore, quando sarebbe stato eletto, il resto da distribuire equamente tra Veneziani e Franchi. Non appena la distribuzione termino’, i crociati saldarono i debiti a Enrico Dandolo. Baldovino di Fiandre venne eletto imporatore. In cambio, Venezia si approprio’ del meglio del meglio. Essa ottenne tre ottavi della citta‘ e dell’Impero, assieme vantaggiosi scambi commerciali con il resto dell’impero, da cui le sue principali rivali, Genova e Pisa sarebbero state rigorosamente escluse. Inoltre Venezia ottenne tutte le regioni e le colonie ed i peorti e le lagune attorno al Mar Nero, incluso il Peloponneso e la strategica isola di Creta.

L’enorme successo dei Veneziani durante la quarta crociata fu quasi esclusivamente dovuto ad Enrico Dandolo. Egli rifiuto’ il titolo di imperatore d’Oriente per se’ perche‘ questo avrebbe creato insormontabili problemi costituzionali a Venezia e avrebbe potuto distruggere la Repubblica. Tuttavia assicuro’ a Venezia il successo del suo candidato Baldovino di Fiandre. Per un uomo cieco con poco meno di novant‘anni questo fu un risultato incredibile. Dandolo mori’ nel 1205 a Costantinopoli. Il suo corpo non torno’ mai a Venezia ma fu seppellito a Santa Sofia – dove la sua pietra tombale e’ ancora visibile. Le sue ossa furono prese dagli abitanti di Costantinopoli durante una rivolta e date in pasto ai cani.

Costantinopoli non si riprese piu‘ da questa invasione. Venezia, grazie all’abilita’ ed alle doti carismatiche del vecchio Dandolo ne eredito’ ricchezze, commerci e secoli di prosperita‘ e gloria, fino a che le rotte d’Oriente non furono bloccate secoli dopo dagli Ottomani. Ma questa e’ un’altra storia. 

 

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La rinascita della Ruhr

Posted by janejacobs su luglio 26, 2008

Il porto di Duisburg

Come ai tempi della Gallia di Giulio Cesare, la Westphalia a Nord del Reno e’ divisa in tre parti: la ricca Rhineland, la benestante Westphalia e la povera Ruhr al Sud. Tuttavia la Ruhr non e’ piu’ cosi’ povera. Quasi un milione di posti di lavoro e’ scomparso delle industrie pesanti e dell’estrazione i carbone negli anni ’50, ma la Ruhr sta ricreando gradualmente questi posti di lavoro svilupando alcune industrie piu’ pulite. La crescita della Ruhr e’ stata superiore alle altre due parti dello Stato tedesco della Westphalia a partire dal 2001 fino al 2005. E questa crescita ha portato alla formazione di nuovi posti di lavoro.

Lo scorso anno, la decisione di abolire gradualmente i sussidi all’industria del carbone entro il 2018 ha liberato nuove energie e cambiato modi di pensare da una mentalita’ che era soltanto abituata a pensare solo in termini di industria pesante e aiuti pubblici. L’ultima miniera di carbone di Duisburg sta per chiudere. Ma la citta’, che e’ uno dei porti di fiume piu’ grandi del mondo, usera’ la sua posizione strategica sul Reno e sul fiume Ruhr per trasportare via nave i beni fra Anversa e Rotterdam. Grazie al boom del commercio internazionale, la disoccupazione a Duisburg e’ calata dal 17% al 13%.

Nuovi distretti industriali si stanno sviluppano anche in altre zone della regione. Un gruppo di universita’ e ospedali si stanno specializzando in ricerca e produzione farmacologica e biotecnologica. Una delle quattro grandi societa’ energetiche tedesche e’ basata ad Essen; un’altra a Dusseldorf. La Nokia ha recentemente chiuso uno stabilimento nella vicina Bochum, attraendo lo sdegno della stampa locale e dei sindacati dopo aver tagliato 2.300 posti di lavoro. Ma la stampa ed i sindacati hanno fatto meno rumore quando la Blackberry ha aperto un nuovo centro di ricerca, creando 500 posti di lavoro. I lavori nelle acciaierie non ci sono piu’, ma la produzione ed i profitti vanno a gonfie vele; la piu’ moderna acciaieria del mondo (quasi completamente automatizzata) ha da poco aperto i battendi a Duisburg.

La trasformazione economica di questa regione e’ pero’ ancora incompleta. La trasformazione ha interessato di piu’ la parte meridionale della regione di quella settentrionale. Ma anche a Duisburg, dove il boom economico si e’ fatto sentire di piu’, le vecchie abitudini cambiano piu’ lentamente delle industrie che hanno ormai chiuso. Meno del 30% dei giovani scelgono di andare all’universita’, una percentuale inferiore alla media della regione (37%).

Il progresso sarebbe piu’ rapido se ci fosse maggiore collaborazione. Ma la Ruhr e’ divisa in 53 municipalita’, molte delle quali sono restie a condividere il potere o le risorse. Ogni distretto insiste ad operare un propriopiano finanziario ed un proprio sistema di trasporti, creando gelosie, sprechi ed inefficienze.

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Polo logistico di Bologna. Un rischio o un’opportunita’?

Posted by janejacobs su luglio 21, 2008

 

Bologna si sta imbarcando in un grandioso progetto infrastrutturale tra i maggiori mai intrapresi da una citta’ Europea a partire dagli anni ’60.

Il movimento di passeggeri e di merci nella sua regione aumentera’ notevolmente dopo che il governo nazionale e le autorita’ locali hanno annunciato un piano che prevede una spesa di €22 miliardi nei prossimi 20 anni per la costruzione di autostrade, ferrovie e scalo merci.

Cio’ che e’ meno chiaro e’ la previsione per la miriade di progetti pianificati dalle societa’ immobiliari che sperano di fare affari su questo piano di rinnovamento infrastrutturale. Gli immobiliaristi specializzati in progetti industriali, sperano che Bologna divenga uno scalo merci molto piu’ importante di quanto non sia ora. Ma perche’ questo avvenga, essi devono portare via spazio a Modena e Verona, un compito piuttosto arduo.

Le infrastrutture nei trasporti di Bologna sono rimaste agli anni sessanta, frustrate dall’instabilita’ politica. Ora si sta progettando una nuova stazione dei treni capace di ospitare quasi mezzo milione di metri quadrati di spazi per negozi, alberghi ed uffici. Inoltre si sta progettando l’espansione dello scalo merci, treni passeggeri ad alta velocita’ che colleghino Bologna a Firenze e Milano con maggiore velocita’ ed afficabilita’ di oggi.

I progetti iniziati oggi prevedono costi di €18.5 miliardi, sono stati interamente finanziati dalla societa’ pubblica RFI, secondo Enrico Levi, di PromoBologna. Gli altri 14 progetti hanno gia’ raccolto l’83.4% dei finanziamenti necessari. Levi si dice fiducioso di riuscire a raccogliere i rimanenti fondi nonostante la forte crisi internazionale.

La posizione geografica di Bologna ne ha fatto un centro logistico importante sia per operatori internazionali come la Schenker, che per DHL che per molti operatori nazionali. Gli amministratori della citta’ sperano che la crescente popolazione di Bologna e la conseguente fame di case aiuti lo sviluppo immobiliare della citta’, dove si prevedono 8,000 nuovi appartamenti nei prossimi 10 anni. La popolazione della provincia di Bologna e’ aumentata in 10 anni del 5%, seondo la societa di ricerca Scenari Immobiliari. Questa crescente popolazione ha bisogno di maggiori e piu’ diversificati servizi abitativi.

Ma il progetto piu’ ambizioso e’ l’interporto di Bologna, uno sviluppo di circa 7 milioni di metri quadrati che dovrebbe lanciare un sistema di trasporti intermodale su grande scala dove le merci passano dalla gomma alla rotaia intercettando le grandi “rotte” Europee.

Interporto di Bologna Spa, la societa’ che gestisce il progetto, vuole che lo scambio di merci cresca piu’ del doppio rispetto al livello attuale e per questo pianifica uno spazio per magazzini di 1 milione di metri quadrati.

Daniela Percoco, direttrice di Nomisma, una societa’ di ricerca economica, osserva pero’ che questa ambiziosa espansione corre il rischio di competere con altre citta’ come Verona e Modena. Quest’ultima citta’, in particolare, ha un polo logistico e dista solo 30 minuti da Bologna.

 

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Dalla Milano fascista alla Milano capitale morale

Posted by janejacobs su luglio 6, 2008

Immigrati meridionali arrivano a Milano negli anni cinquanta

Prosegue il ritratto storico di Luigi Barzini della sua amata citta’.

“Improvvisamente arrivo’ la tempesta della Prima Guerra Mondiale. Nei mesi in cui l’Italia fu neutrale molti nobili, molti conservatori borghesi e molti Cattolici tra cui anche molti della classe operaia (piu’ o meno le stesse classi che non avevano preso parte alle Cinque Giornate di Milano del 1848 contro Radetsky) favorivano la Triplice Alleanza o almeno la neutralita’. Alcuni erano spaventati dalla Guerra in generale; altri non avevano fiducia nella solidita’ della nuova Italia; altri erano rimasti fedeli, se non all’imperatore stesso (che era lo stesso uomo che da giovane aveva combattuto per la difesa della Lombardia nel 1859) almeno l’idea di governi gerarchici ed autoritari, perche’ difendevano i valori tradizionali Dio, Patria, Famiglia, Religione e Proprietà senza che la societa’ collassasse e la vita perdesse i suoi valori tradizionali.

I cotonieri, che erano liberali ed anglofili, come l’aristocrazia piu’ moderna, erano interventisti; stavano dalla parte del re, del concetto di Nuova Italia come “Potenza Mediterranea, per D’Annunzio, l’Inghilterra ed il giovane Principe del Galles che era accorso al fronte con i propri soldati. Molti dei nuovi industriali erano in favore della guerra perche’ pensavano che questo fosse l’unico modo per far sedere l’Italia al fianco delle grandi potenze industriali Europee. I radicali, gli avvocati e molti intellettuali erano per la Sorella Latina, i “sacri principi” e la battaglia per la democrazia che veniva combattuta nelle Fiandre. Con loro anche molti altri fanatici socialisti, alcuni di essi per le piu’ confuse ragioni; alcuni speravano di vedere la Guerra trasformarsi in una conflagrazione mondiale che avrebbe dischiuso il potere del proletariato in tutto il pianeta. Ma i piu’ seri e responsabili di loro erano per la pace e per la neutralita’. Essi si erano trovati dalla stessa parte dei vecchi filo-Austriaci e di molti cattolici on idee diverse da loro. Ma dopo che l’Italia entro’ in guerra nel 1915 calo’ il silenzio ed i Milanesi combatterono generosamente e con disciplina e la cita; sacrifico’ enormi quantita’ di denaro e di vite. D’altro canto, l’industria diede un contributo decisivo e molti milanesi si arricchirono con la guerra.

Poi arrivo’ il fascismo e nessuno seppe cosa pensare. Molti milanesi indossarono la camicia nera per convinzione, conformismo o senso di disciplina e gridavano gli slogan fascisti. I nobili, i cotonieri, gli industriali, i radicali, i sindacalisti, i Cattolici, i socialisti, i paesano, i poveri – tutti trovarono una risposta nel fascismo, il quale sembrava adeguarsi ad esigenze diverse e sembrava soddisfarle tutte. Nella confusione di quei vent’anni tra le due guerre, tra un discorso del Duce ed un altro, tra una battaglia e l’altra per aumentare la produzione del grano o per aumentare il tasso di natalita’, le vecchie divisioni in classi continuarono e i vecchi processi sociali continuarono, ma senza che nessun gruppo sociale potesse portare il proprio nome, leggere il proprio giornale di riferimento o essere chiaramente consapevole di cosa fosse e cosa provasse a fare. L’idea fascista di autarchia aveva incoraggiato le industrie della periferia di Milano, ma aveva anche incoraggiato la passivita’ della gente di Milano davanti all’arroganza delle decisioni che venivano dal regime a Roma. Questo voleva dire che la classe dirigente milanese, che un tempo era stata gelosa della propria autonomia, si adatto’ (o cerco’ di adattarsi) alla burocrazia di Roma e inizio’ ad abituarsi a prendere treni notturni per vedere i ministri nella capitale e a chiedere favori per la risoluzione dei loro problemi, cosa che in passato riuscivano a risolvere fieramente da soli.

I vecchi proprietari terrieri che producevano riso, seta e latte, nonostante il loro vecchio prestigio e dei loro nomi gloriosi, ora contavano molto poco.Le loro ville ed i loro palazzi cadevano in rovina e venivano venduto a imprese commerciali o convertiti in appartamenti che venivano dati in affitto. Le nuove classi non cercavano piu’ di imitare i gusti e le abitudini dei nobili. Molti industriali (specialmente quelli che si erano arricchiti di recente e non avevano tradizioni familiari da preservare) erano fascisti, o si adattavano senza problemi al regime fascista perche’ garantiva loro protezione per fare affari, arricchirsi e consolidare il loro potere. Anche se le camicie nere e le uniformi erano le stesse, le differenze fra classi sociali si inasprivano. Questa forse era la caratteristica dominante dell’epoca. I Milanesi non si capivano piu’ l’uno con l’altro. Era pericoloso parlare con chiarezza, tranne che quando si parlava con amici intimi; le sole idee che erano concesse erano le idee conformi al regime. La vecchia Milano Cattolica, provinciale e reazionaria continuava a sopravvivere, certa che in qualche modo il fascismo avrebbe impedito il suo collasso. La Milano dell’Expo del 1906, quella progressiva, industriale e commerciale anch’essa sopravvisse, in quanto il Duce voleva proteggerla e rafforzarla. La Milano dei sindacati e dei proletari anch’essa sopravvisse, legata alle sezioni del partito fascista e a varie correnti interne. Ma segretamente, senza che gli altri gruppi lo sapessero, ogni classe sociale nutriva la propria resistenza alla tirannia, ogni gruppo minoritario, ognuno ispirato dai propri particolari ideali. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale esse sfogarono il proprio risentimento unite contro il regime fascista. Ma dopo che il fascismo collasso’, quasi nulla li teneva piu’ assieme. Alcuni volevano una restaurazione dell’autorita’ della Chiesa; altri volevano il ritorno della monarchia costituzionale; altri volevano una repubblica; altri ancora volevano il trionfo del Marxismo e la dittatura del proletariato.

Cio’ che univa tutti i Milanesi era la passione per il lavoro. Milano e’ l’unica citta’ in cui ci si saluta augurandosi Buon lavoro. Nei periodi piu’ confusi della sua storia, quando nessuno sapeva piu’ cosa sarebbe accaduto, i Milanesi di ogni classe sociale si ritrovavano l’uno con l’altro nella cultura del lavoro, un lavoro duro che faceva dimenticare loro le lotte interne, l’amarezza e la paura. Il lavoro, non il guadagno. Le nuove industrie erano costruite sulle vecchie industrie, si creavano reti di vendite in tutto il mondo per i beni prodotti a Milano e i riformavano grandi banche. Per la seconda volta nella storia d’Italia era il lavoro di Milano che salvo’ il Paese. (La prima volta era stata dopo il 1870, quando il capitale accumulato poco a poco durante il diciottesimo e diciannovesimo secolo dal grano, dal riso, dalla seta, dal latte, dalle tasse e dal commercio finanzio’ quasi interamente la modernizzazione dell’Italia, la costruzione delle ferrovie, la ricostruzione di Roma distrutta e lo sviluppo delle industrie)

Ancora una volta Milano aveva tentato di difendere la sua esistenza nei modi che conosceva. Molto prima, quando gli spagnoli avevano insediato il loro primo viceré in citta’, i Milanesi impararono l’arte di accontentare i suoi lontani governatori e a guadagnasi rispetto e una certa dose di indipendenza, un’arte perfezionata sotto gli Austriaci. La corte Spagnola, in quella sua capitale oltre le montagne e oltra ai mari, non doveva nutrire sospetti su cio’ che i Milanesi facevano, e soprattutto non doveva interferire. Milano inviava suoi tributi e i suoi ambasciatori, organizzava manifestazioni e parate entusiastiche per i viceré, organizzava ricevimenti e spettacoli e corrompeva i vari governatori con la piaggeria e il denaro. E questo si faceva semplicemente al fine di andare avanti nei suoi affari, in cio’ che era veramente importante per la citta’ – lavoro, produzione, amministrazione dei fondi pubblici e privati, costruzione di fabbriche, consolidamento del potere delle grandi famiglie. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Milano tratto’ Roma esattamente come l’aveva trattata durante il Fascismo, o come aveva trattato prima Vienna, Parigi e Madrid.

Nel breve periodo, questo rese la vita semplice e pacifica ma questo non era del tutto soddisfacente. Milano non avea mai imparato ad esercitare il potere politico in proporzione alla sua importanza economica. Il Regno d’Italia voleva soldi per le armi che il Paese non poteva affrontare nella conduzione di guerre senza senso. Con i soldi della Lombardia la Repubblica Italiana spesso in maniera inefficiente, finanziava progetti spesso futili e qualche volta dannosamente utopici. Milano e’ quieta, accetta la situazione, applaude, e segretamente continua a costruire, produrre, ad iniziare nuovi progettati senza chiedere grazie a nessuno. Davvero, spera che nessuno a Roma si accorga di come qualcuno di questi progetti fiorisca, evitando cosi’ di essere ulteriormente caricata di tasse e invischiata in leggi di complessità Bizantina.

Questa e’ la citta’ in cui sono nato e ce ho visto durante la mia vita. L’ho vista trasformarsi in una ricca citta’ agricola, orgogliosa dei suoi formaggi e della musica del suo teatro e delle sue splendide case e chiese, in una citta’ industriale simile e Duesseldorf o St. Louis. In circa cinquant’anni ha attraversato uno sviluppo che le citta’ Inglesi e Francesi attraversarono in due secoli. Ha fatto miracoli. Ha anche avuto un’indigestione di eventi storici e politici. Gli uomini, le famiglie e le classi sociali hanno di decennio in decennio dovuto adattarsi a nuove responsabilità, nuovi compiti e nuovi stili di vita. La citta’ doveva assimilare ondate mai viste di immigrati di culture e usi molto diversi da quelli dei Milanesi. (Questa e’ storia antica. La citta’ e fatta di discendenti di immigrati, trapiantati a Milano nel corso dei secoli. Ma fino al 1914 era il caso di gente che arrivava in città; dale campagne circostanti, dalle vali, dai laghi e dal vicino Veneto, gente che poteva facilmente trasformarsi in Milanesi e che erano ispirate dagli stessi ideali dei milanesi).

L’improvvisa e mostruosa crescita, l’aumento della popolazione e della ricchezza, l’incredibile livello di attività di ogni genere hanno messo in pericolo il carattere della citta’. I nuovi distretti, molti di essi costruiti sopra i vecchi vicoli intricati, sono anonimi e senza carattere, fatti da corporazioni per corporazioni, non da uomini per uomini, come si faceva prima. La naturale diffidenza dei Milanesi per la politica significa che anche in citta’ le posizioni di autorità sono affidate a uomini esterni, nelle mani di una burocrazia che viene da altre parti d’Italia; e questo non ha portato via alla città la propria onesta’, i bisogni e le tradizioni fondamentali che hanno lasciato spazio alla “corruzione Romana”. Tuttavia, ci sono segni che l’antico spirito di Milano sopravvivera’; questo potrebbe gradualmente trasformare gli immigrati in Milanesi e fare in modo che anche Roma ascolti. Cosa cambio’ lo spirito di quelli che vivono a Milano e’ il lavoro, che nessuno puo’ evitare. La domanda di un lavoro ben fatto, a tutti i livelli, forza uomini diversi ad adottare simili stili di vita. La furbizia, gli intrighi ed i brogli amministrativi sono utili altrove; la disonesta’, la prudenza eccessiva e la mancanza di fiducia in se stessi non si adattano bene al ritmo delle macchine, all’enorme quantita’ di esportazioni e al progresso tecnologico. E’ il lavoro che ha fatto i Milanesi cio’ che sono e che un giorno eventualmente riuscira’ a trasformare gli immigrati in Milanesi.”

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Milano belle epoque

Posted by janejacobs su luglio 5, 2008

Ci si interroga spesso sul futuro di Milano e qualche volta capita di scordare il suo passato. Ecco un ritratto della città raccontato da Luigi Barzini.

“All’inizio del novecento Milano era una città occupata, dignitosa, pratica e ancora bella. C’erano poche strade davvero moderne. Erano strade costruite per ostentare la nuova prosperità generata dalle industrie che ricordavano un po’ la Berlino guglielmina o le avenidas dell’America Latina. Ma la maggior parte della città rimaneva antica. Molti edifici, tra cui La Scala avevano uno stile neo-classico settecentesco, uno stile amato da Maria Teresa d’Austria, da Napoleone, Eugène de Beauharnais e dal’Arciduca Ranieri. Guerre e rivoluzioni, gli Austriaci, i Francesi e poi ancora gli Austriaci si erano susseguiti l’uno con l’altro senza alcun particolare cambiamento nel gusto architettonico. Qua e la sorgeva ancora orgoglioso qualche palazzo rococo che apparteneva all’aristocrazia, famose chiese antiche, nascoste fra piccole strade che risalivano al Rinascimento o al Medio Evo, e che portavano il nome delle Corporazioni di quell’epoca. La cerchia interna della citta’ aveva ancora il proprio naviglio navigabile, sopra il quale apparivano vecchi giardini che lasciavano cadere romanticamente le foglie dagli alberi sull’acqua verde dei canali.

La modernità era rappresentata dalle biciclette che facevano suonare i loro campanelli, dai tram gialli e dai taxi rossi (Mussolini poi volle taxi verdi) e dalle alte e lustre macchine nere in cui si sedevano ricche signore ricoperte di pellicce e con appuntate al petto mazzi di violette di Parma, o seri gentiluomini con colli inamidati, barbe e baffi. C’erano ancora molti taxi a cavallo, e carrozze private, che si distinguevano dalla forma della frusta e dalla divisa del guidatore.

Alla mattina le signore andavano a fare compere nelle loro carrozze che si fermavano fuori ai rinomati negozi del centro. Fino alla Prima Guerra Mondiale c’erano molti piu’ veicoli a trazione animale che a motore e nelle mattine d’estate il rumore dei frustini, schioppettante come quello degli spari, saliva nelle case attraverso le finestre aperte.

Il mondo dei ricchi industriali stava iniziando a prevalere sul vecchio mondo aristocratico. Parte dell’aristocrazie aveva favorito l’Austria nelle precedenti guerre d’Indipendenza, un’aristocrazia profondamente cattolica e ora forse piu’ attaccata alla nuova casa regnante dei Savoia piuttosto che alla nuova Italia. Il vecchio e baffuto re Umberto I, che viveva nella vecchia villa dei vice Re a Monza, era stato intrattenuto in numerose occasioni dalle grandi famiglie di Milano in vari ricevimenti, d’dapprima con un certo imbarazzo, poi, mano a mano con maggior entusiasmo; qua e la’ in qualche ombroso cortile, c’erano placche che immortalavano un pallido ricordo di qualche sua visita in occasione di un elegante ricevimento nobiliare. I nobili erano prevalentemente occupati dai loro possedimenti terrieri. Come i popolani, anche gli aristocratici parlavano quasi sempre in dialetto, un dialetto duro parlato con una erre moscia, precisa e tagliente, cosi’ come il dialetto del popolo era aperto e cordiale. Solo i nobili ed i popolani ricordavano certi antichi e complicati riti connessi con la loro ricca terra, i tempi ed i modi in cui l’acqua sgorgava nei canali per irrigare i prati o per riempire le risaie, l’allevamento della grasse mucche da latte, le oscure regole che regolavano la proprietà dei corsi d’acqua, l’irrigazione dei canali (le doti delle giovani aristocratiche spesso includevano, fra le altre cose, tratti di canali ed un palco alla Scala).

I nobili piu’ in vista, molti dei quali non avevano antichi titoli nobiliari ma che avevano guadagnato le loro fortune dall’industria della seta e dalle loro proprieta’ nel diciottesimo secolo, o come fornitori dell’esercito Napoleonico, disprezzavano gli industriali, anche se invidiavano la loro nuova ricchezza e i loro modi meno formali. Allo stesso modo, spesso essi lasciavano che le loro figlie sposassero questi homines novi, che spesso si accontentavano delle loro modeste doti; le nuove spose portavano in dote relativamente poco denaro, ma arricchivano le nuove case con i loro modi e le loro abitudini aristocratiche e insegnavano ai figli le buone maniere della vecchia elite. I nobili mostravano senza imbarazzo il loro amore per gli Austriaci. Essi preferivano andare ai bagni di Bad Gastein, Karlsbad o Marienbad anziche’ a Montecatini o a Salsomaggiore. Andavano a caccia in Ungheria, Romania e Croazia. Le loro camice, le loro cravatte, i loro sigari “Virginia” (gli stesi fumati da Francesco Giuseppe), le loro maniere, il loro modo di fare la corte alle donne, il loro caffe’, le loro stesse facce avevano qualcosa di Viennese. La loro seconda lingua comunque era il Francese, non il Tedesco, poiche’ quella era la seconda lingua di tutta l’aristocrazia Europea e i nobili milanesi parlavano molto bene il francese, aiutati da quel loro dialetto cosi’ simile al Francese.

Il potere di Milano in quegli anni era nelle mani degli industriali che per lo piu’ lavoravano nell’industria tessile, in particolare del cotone. Questi industriali erano signori seri, quasi torvi. Avevano molto denaro, possedevano Il Corriere della Sera, esercitavano autorita’ morale e politica e avevano acquistato prestigio sociale. La loro esperienza e le loro macchine erano Inglesi. Essi quasi sempre parlavano in Inglese, cosi’ come i preti parlavano in Latino, il linguaggio della loro religione; spesso andavano in Inghilterra, in Lancastershire per affari e a Londra per piacere, cosi’ come i preti stranieri vanno a Roma. Vestivano secondo lo stile Inglese, compravano ogni articolo d’importazione al Bellini’s English Goods, un negozio nella Galleria; i loro abiti erano fabbricati da Prandoni con materiali e stili importati ogni anno dall’Inghilterra. Prandoni era un famoso sarto che aveva imparato il mestiere a Londra, dove vi aveva lavorato sino alla fine dell’Ottocento; nelle sue stanze sopra il teatro Manzoni aveva i ritratti autografati dei suoi nobili clienti Inglesi in cappotti rosa, come per assicurare tutti coloro che venivano li che se ne sarebbero andati via con un un aspetto piu’ Inglese di prima. Luigi Albertini. l’editore del Corriere della Sera, andava da Prandoni per i suoi abiti, e cosi’ faceva l’amministratore Eugenio Balzan. L’interno delle case dei cotonieri non era decorato in stile art nouveau che era ritenuto uno stile frivolo e privo di tradizione, ma in uno stile piu’ “decoroso” chiamato “Stile Inglese”, legno chiaro, cotone stampato, chintz e cretonnes comprati da Liberty a Regent Street. Essi avevano maggiordomi che non parlavano mai (il personale di servizio degli aristocratici milanesi era allegro e amava chiacchierare con i loro “padroni”), e avevano stampe di caccia alla volpe e di gare a cavallo alle pareti di casa; bevevano the (con una goccia di latte freddo versata prima del the nella tazza); usavano pregiata carta da lettera con l’indirizzo all’angolo come a Bond Street; e avevano le collezioni rilegate di Illustrated London News e di Punch nelle loro librerie. Fino agli anni trenta Beppino de Montel, che non era un industriale del cotone, ma della seta, un’occupazione egualmente prestigiosa, possedeva stalle di cavalli da corsa (cosa c’era di piu’ Inglese che possedere cavalli da corsa?), era presidente del Clubino, il club dei giovani uomini, e mandava la sue camicie ad essere lavate e stirate a Londra, come i dandies del Secondo Impero. Era risaputo che solo gli Inglesi riuscivano a dare alle camicie inamidate la flessibile e morbida rigidezza considerata allora indispensabile. La maggior parte dei cotonieri erano liberali, allo stesso modo in cui lo era Albertini, il che significa conservatori, ma aperti alle nuove idee del ventesimo secolo. Il commercio, le banche, e le nuove industrie erano nelle mani di uomini tenaci e poco conosciuti, che stavano iniziando la loro ascesa nella societa’. Pochi di questi uomini erano gia’ conosciuti: i fratelli Bocconi, l’ingegnere Pirelli, i Broletti, i Falck. La maggior parte di questi uomini arrivavano dalle campagne circostanti o dai laghi, dove le prime industrie fiorivano utilizzando la corrente elettrica generata delle cascate d’acqua. Molte di queste nuove attivita’ erano supportate dalle nuove banche, la Commerciale in particolare, che era finanziata dal capitale e che era gestita da due Ebrei tedeschi: Toeplitz e Goldschmidt. Molti di questi piccoli industriali infatti parlavano tedesco, non il tedesco soffice degli Austriaci, che solo pochi aristocratici con parenti a Vienna ancora conoscevano, ma il tedesco piu’ duro e tecnico di Guglielmo II, o il tedesco gutturale degli Svizzeri; alcuni avevano studiato ingegneria e finanza nella zona del Reno o del Palatinato; altri avevano studiato ingegneria a Zurigo. Tecnici e capi d’azienda Tedeschi erano assunti nelle nuove imprese produttive e commerciali.

Molti dei negozi che vendevano apparecchiature, macchinari e fissaggi vari erano Tedeschi, cosi’ come quelli che vendevano strumenti musicali. Molti chimici erano tedeschi. Un rinomato macellaio veniva da Praga. Giovani uomini che avevano studiato in Svizzera ed in Germania, dove erano diventati duri, precisi, puntuali e meticolosi, erano diventati direttori d’azienda; appena potevano essi consegnavano i loro figli alle cure di governanti tedesche, di cui c’era abbondanza fino al 1914. Il gas nelle case, tuttavia, era fornito da una societa’ francese dal nome elegante: Union des Gaz Universelle, e gli addetti alla misurazione del gas portavano cappelli con visiere piatte come quelli dei conducenti di treno o come i fanti dell’esercito della Terza Repubblica Francese. La cultura degli intellettuali, dei giornalisti, dei commediografi era Francese e gli intellettuali si davano del “voi” alla Francese anziché’ darsi del “lei” all’Italiana. Due o tre commercianti di cotone ed un paio di dentisti erano Americani, visto che l’ortodonzia ed il cotone del Sud degli Stati Uniti erano due cose in cui a quell’epoca gli Americani eccellevano.”

“All’inizio del secolo Milano sembrava ancora quello che era, una vecchia citta‘ Europea, una citta‘ fatta di piccoli industriali, mercanti, artigiani e finanzieri. Vecchie case, vecchie strade, vecchi archi e chiese antiche; le ville erano circondate da vecchi giardini e da centinaia di giardini segreti nel mezzo della citta; il fiorire di hotels che aveva conosciuto Stendhal;, la Scala, i ristoranti che risplendevano di ottoni e di velluti rossi (uno di essi portava il nome di un cuoco Egiziano al seguito di Napoleone nel viaggio di ritorno da Alessandria verso Milano); la gentile onesta’ di persone bene educate; lo spirito pieno di risorse e piacevole delle classi operaie; buon cibo; cavalli ben curati; carrozze leggere; case ospitali; tutto indicava che Milano era una citta‘ commerciale, ma anche una citta‘ ricca, acculturata e civile. Le fabbriche fumose erano in periferia; le grandi strade simili a quelle di Berlino o dell’America non erano molte. Uomini d’affari affamati di successo vivevano in case nuove, in nuovi distretti separati, senza essere notati, e l’odio sociale correva come in un fiume sotterraneo per sprigionarsi in superficie nei momenti di crisi, quando i lavoratori scioperavano.

I vecchi membri del piu‘ vecchio club di Milano, l’Unione non si sentivano al sicuro. Spesso i suoni soffusi e distanti dei tumulti arrivavano alle finestre del club assieme al suono della tromba quando un Commissario di polizia, con fascia tricolore e bombetta disperdeva un assembramento di operai in protesta ed il suono degli zoccoli dei cavalli che correvano sulle strade simile a quello della grandine. I nobili proprietari di terre, case di campagna e di grandi case in citta‘, gli uomini del cotone e i banchieri, i grandi mercanti e gli industriali dell’elettricita‘, della chimica, del ferro e delle apparecchiature meccaniche si chiedevano chi fosse ad infiammare cosi’ il popolo. Era un fatto noto che se le classi operaie fossero lasciate a se stesse esse sarebbero state rimaste fedeli alla Chiesa, alla casa reale, fedeli a Sant’Ambrogio, il Santo patrono della citta‘, rispettose dei ricchi, nuovi e vecchi, attaccate alle migliori tradizioni, lavoratori indefessi al pari delle classi medie e anche degli aristocratici, per la verita‘ e sempre pronti a lasciare il passo ad una bella carrozza o a qualcuno con un aspetto autoritario. I ricchi si chiedevano cosa potesse indurre i poveri a dimenticare il loro tradizionale atteggiamento prudente di obbedienza alla legge, e invadere le strade sconfiggendo la cavalleria, cosi’ come avevano sconfitto la cavalleria ed i cannoni del Generale Bava Beccaris durante le rivolte del 1898.

Chi fossero questi agitatori era chiaro, essi non avevano fatto alcuno sforzo per nascondersi. Essi erano scrittori di scarso successo, avvocati senza clienti, giornalisti affamati e piccoli politici che arrivavano da non si sa dove con rasatura, cravatte allentata, cappelli a larghe tese e con idee radicali e di scarsa praticita‘. Si chiamavano radicali, repubblicani, democratici, positivisti, progressisti, socialisti, massoni, materialisti, atei. Pubblicavano piccoli giornali, pubblicavano manuali di scienza basati sul Darwinismo o traduzioni di testi rivoluzionari stranieri; organizzavano cooperative, societa’ di mutuo soccorso, e sindacati. Alcuni convivevano con emigrate Russe nichiliste senza contrarre matrimonio (Filippo Turati, il capo del Partito Socialista, convisse con Anna Kuliscioff, o Mussolini convisse piu‘ tardi con Angelica Balabanoff). C’erano anche alcuni preti in questa nuova Italia secolare, preti che sotto il dominio Austriaco sarebbero stati presi per pazzi e sospesi a divinis dall’arcivescovo, scomunicati senza alcun indugio e denunciati alle autorita‘ civili, ma che ora, nella confusione delle anime dopo la conquista di Roma da parte dei Savoia, non venivano toccati ne’ messi in discussione.

Anche se erano uniti di fronte alle rivolte e agli scioperi popolari, i nobili, i cotonieri, e i nuovi industriali rimanevano sospettosi gli uni degli altri. I nobili erano stanchi di vedere crescere a dismisura le fortune degli industriali; gli industriali di seconda e terza generazione rifiutavano di credere che la classe media, cosi’ svergognata ed aggressiva e pronta ad arricchirsi ovunque potesse, sarebbe durata a lungo. Ad esempio prendevano in giro i fratelli Bocconi, che avevano aperto un grande negozio a piu‘ piani in Via Santa Radegonda dove vendevano vestiti gia‘ confezionati e dicevano che si occupavano di “nastrini e lacci delle scarpe”; ridevano dei Pirelli, che facevano “tacchi di gomma”. Continuavano a vivere le loro vite separate, salutandosi per strada con freddezza, ritenendo che bastasse lasciare i nuovi ricchi fuori dall’uscio di casa, escluderli dai loro eleganti inchini, o dalla lista degli ospiti dei loro ricevimenti per cancellarli dalla storia. Si guardavano l’uno con l’altro con curiosita‘, i nuovi ricchi imitando le maniere dei vecchi ricchi la classe media imitando i ricchi, ognuno cercando lentamente di penetrare la classe superiore alla propria. Inevitabilmente vi erano infiltrazioni. Tra i pochi collegamenti vi erano le scuole tatali, che univano i giovani di classi diverse; a Milano (come in altre parti d’Italia) le scuole private all’inglese, dove le buone famiglie educavano i loro figli ad essere coscienti della loro superiorita‘ sociale, e attraverso ala quale gli uomini di ogni livello trovavano compagni di scuola piu‘ tardi nel corso della vita, non fu mai un successo. Poi c’erano gli affari, dietro i quali ognuno cercava di arricchirsi, senza preoccuparsi troppo da dove i compratori o i venditori venissero; e c’erano i matrimoni, che gradualmente mescolavano i vecchi e i nuovi ricchi, i nobili alle classi medie , in modo tale da tramandare i loro vizi e le loro virtu’ ai propri discendenti. Ad esempio, Giuseppe Visconti di Modrone sposo’ la nipote di Carlo Erba, fondatore di una grossa impresa chimica.”

Continua…

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Le metropoli piu’ grandi della storia

Posted by janejacobs su giugno 23, 2008

Questa tabella elenca le citta’ piu’ grandi del mondo nel corso della storia. Intuitivamente mi sembra ci sia una relazione fra sviluppo di una civilta’ e numero di abitanti della sua capitale.

Citta’  Anno Numero di abitanti
Menfi, Egitto 3100 a.C. 30,000
Babilonia, Iraq 612 a.C. Prima citta’ sopra 200,000
Changan, Cina 195 a.C. 400,000
Roma, Italia 25 a.C. 450,000
Istanbul, Turchia 340 d.C 400,000
Baghdad, Iraq 775 d.C. Prima citta’ con piu’ di un milione 
Cordova, Spagna 935 d.C.  
Kaifeng, Cina 1013 d.C. 400,000
Merv, Turkmenistan 1145 d.C. 200,000
Hangzhou, Cina 1180 d.C. 320,000
Cairo, Egitto 1315 d.C.  
Nanchino, Cina 1358 d.C. 487,000
Pechino, China 1710 d.C. 1.1  milione
Londra, Regno Unito 1825 d.C. Prima citta’ sopra i 5 milioni
New York, USA 1925 d.C. Prima citta’ sopra I 10 millioni
Tokyo, Giappone 1965 d.C. Prima citta’ sopra i 20 million

Fonte: about.com

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La ricchezza di Bilbao

Posted by janejacobs su giugno 22, 2008

Museo Guggenheim Bilbao

I verdi pascoli dei Paesi Baschi assomigliano piu’ ai pascoli della Baviera che alle aride distese della Spagna centro-meridionale. La somiglianza tra Paesi Baschi e Germania pero’ non finisce qui: dal punto di vista economico entrambe le regioni hanno alti costi di manodopera e imprese industriali ad alta tecnologia guidate dal settore privato.

Il segreto del successo dei Paesi Baschi sta nella capacita’ di queste citta’ di aver saputo rimpiazzare importazioni negli ultimi duecento anni. I Baschi hanno una mentalita’ imprenditoriale ed amano “scommettere” il proprio denaro sulla riuscita di un’impresa industriale.

Molti imprenditori Baschi vanno in Germania. Il fondatore di una societa’ Basca di componenti elettrici chiamata Ormazabal che fattura piu’ di 500 milioni di euro all’anno ricevette un sonoro rifiuto da una societa’ elettrica tedesca quando gli chiese un brevetto per produrre in Spagna i suoi componenti elettrici. Ma senza darsi pervinto, egli torno’ in Spagna, progetto’ la sua versione del componente elettrico utilizzando un’auto usata e torno’ in Germania dalla societa’ che lo aveva rifiutato. Il comoponente esplose, ma i Tedeschi rimasero cosi’ colpiti dalla sua abilita’ tecnica che gli concessero il brevetto.

I fondatori della Ingeteam, un’ altra societa’ di componenti elettrici di Bilbao, hanno anch’essi fatto esperienza nell’industria elettronica in Germania prima di tornare a casa. I quattro amici che iniziarono l’impresa nel 1970 ora impiegano 3.600 persone e fatturano cierca 600 milioni di euro all’anno. Questa societa’ compete con giganti europei come la Siemens, la ABB e la Areva, ma mantiene la sua competitiita’ grazie alla qualita’ dei suoi prodotti e dei suoi ingegneri.

L’industria dei Paesi Baschi, come quella della Baviera, risale al diciottesimo secolo. Gli Inglesi utilizzavano le miniere di carbone e di ferro basche creando la prima ondata di sviluppo industriale. Ma i Baschi non si limitarono a guardare gli Inglesi impiantare industrie nella loro terra. Essi andarono oltre e si chiesero: perche’ non possiamo produrre da noi le macchine per estrarre carbone e ferro anziche’ importarle da Manchester? Tale sforzo creativo, tale processo di rimpiazzo delle importazioni aiuto’ a creare una buona infrastruttura industriale, incluse le universita’ che provvedevano ingegneri tecnici competenti.

Le condizioni politiche sotto la dittatura di Franco resero difficile lo sviluppo delle citta’ Basche. Ma quando Franco se ne ando’ si riaprirono grandi opportunita’ per queste dinamiche citta’.

Oggi i Paesi Baschi generano il 30% della ricchezza Spagnola. E’ possibile competere con i beni prodotti nei Paesi Baschi con prezzi piu’ bassi, ma se la qualita’ dei prodotti Baschi e’ la migliore al mondo, i prezzi non sono poi cosi’ importanti.

Le industrie dei Paesi Baschi hanno anch’esse i loro problemi. Esiste un problema che nel lungo periodo potrebbe mettere in pericolo questa fase di sviluppo economico. I Paesi Baschi (cosi’ come la Baviera) hanno un bisogno disperato di ingegneri. Le societa’ Basche, cosi’ come quelle Bavaersi, stanno cercando di a ovviare questo problema attraendo ingegneri dall’estero .

Nonostante la forte crisi che la Spagna sta attraversando, dovuta allo scoppio della bolla imobiliare, Bilbao e i Paesi baschi continuano a essere un centro di produzione della ricchezza grazie alle sue citta’ dinamiche in grado di rimpiazzare le importazioni e grazie alle sue industrie fiorenti, particolarmente nel campo di attrezzature per l’industria energetica che sta diventando sempre piu’ visibile dal punto di vista internazionale.

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Quando le aree metropolitane declinano

Posted by janejacobs su aprile 2, 2008

Le aree metropolitane, cosi’ come le citta’ metropolitane, comprendono moltissima vita economica in aree relativamente ristrette. Copenhagen e la sua area metropolitana, occupa solo una piccola parte del territoio Danese, tuttavia produce la maggior parte della ricchezza della nazione, possiede in se’ la maggiore la specializzazione e diversificazione economica, ed e’ abitata da piu’ della meta’ della popolazione Danese. 

La parte Sud Orientale dell’Inghilterra ha una densita di popolazione molto maggiore al resto del paese, e questo non solo grazie a Londra e alla sua periferia, ma anche alla regione economica e produttiva che alimenta e viene alimentata da Londra.

Molti di voi probabilmente vivono in una citta’, nei sobborghi di una citta’ o in un’area metropolitana.

Quando il nucleo di una citta’ metropolitana, l’originario centro cittadino, non attraversa piu’ il processo di rimpiazzo delle importazioni, inevitabilmente declina. Gradualmente la crescita economica della citta’ si affievolisce, invecchia. Non riesce piu’ a compensare attraverso la perdita di importazioni con le sue esportazioni e quindi i propri mercati si impoveriscono. Le regioni metropolitane naturalmente ne risentono anch’esse. I problemi pratici della citta’ e della sua area metropolitana si acuiscono e diventano intrattabili. La gente diviene piu’ pigra e svogliata. I giovani dell’area metropolitana, mentre prima emigravano nella vicina citta’, ora iniziano ad emigrare in metropoli lontane.

Le imprese continuano a spostarsi in aree sempre piu’ periferiche, ma questo non avviene piu’ perche’ giovani imprenditori nelle citta’ inventano nuovi prodotti facendo concorrenza alle imprese meno agili, ma perche’ le imprese scappano dai problemi irrisolti delle citta’ e lasciano il vuoto dietro di se’. Alla fine anche la fuga dalla citta’ in declino cessa, perche’ la fonte si e’ prosciugata.

Le regioni metropolitane hanno molte caratteristiche di rimpazzo delle importazioni delle citta’ stese, ma non sono citta’.  Nel bene e nel male sono creature delle citta’.

Continua…

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La grande Tokyo ed il villaggio montano di Shinohata

Posted by janejacobs su aprile 2, 2008

Per vedere cosa succede quando le forze di espansione economica si riversano sulle aree circostanti, osserviamo un piccolo villaggio Giapponese che si trovava al di fuori dell’area metropolitana di Tokyo, e vediamo come e’ cambiato da quando, negli anni 50, Tokyo l’ha inglobata nella sua economia. Questo esempio e’ estremo proprio perche’ l’economia di Tokyo e’ potentissima, ma i cambiamenti di cui parleremo sono simili per tantissimi villaggi che vengono inclusi nell’orbita economie metropolitane.

L’esperienza di questo villaggio e’ descritta in un bellissimo libro di Ronald P. Dore, un autore Britannico considerato un’istituzione per la comprensione e al contemo uno specialista in politiche ed economie agricole. Le informazioni di cui parlero’ provengono dal suo splendido libro, Shinohata: Ritratto di un Villaggio Giapponese, ma daro’ un’interpretazione della sua storia nel quadro delle cinque forze che compongono l’espansione economica.

Antico villaggio Giapponese  

Dore visito’ per la prima volta il villaggio di Shinohata nel 1955, quano l’economia rurale del villaggio era ancora intatta. La gente allora era cosi’ candida nel fornirgli informazioni sul proprio il loro reddito, i loro successi e fallimenti economici che Dore, per proteggere la loro privacy dette al villaggio il nome fittizio di Shinohata. Il villaggio consiste di 49 famiglie con piccoli appezzamenti di terreno collocati a circa 50 miglia a Nordovest di Tokyo, molto oltre alle alte montagne che l’espansione di Tokyo ha raggiunto negli ultimi anni.

In un passato lontano, Shinohata era villaggio con un’economia di sussistenza fondato sull’agricoltura senza alcun commercio con le citta’, tuttavia, sin dai tempi antichi, ogni tanto passavano per il villaggio mercanti provenienti da Edo, il nome con cui Tokyo era conosciuta nell’antichita’. Gli abitanti del villaggio vendevano ai mercanti riso e bachi da seta e compravano dai mercanti te’ e carta. Inoltre, vendevano legname, carbone vegetale e, nella stagione autunnale, funghi. Per ottenere questi ultimi tre prodotti, gli abitanti del villagio setacciavano le montagne circostanti. Negli anni di carestia, gli abitanti del villaggio setacciavano le montagne con tale disperazione che ancora oggi,gli abitanti del villaggio chiamano  i lamponi, le radici e le erbe di montagna “cibo della disperazione”.

Tra il 1900 ed il 1955, i nuovi metodi agricoli aumentarono la resa della coltivazione di riso. Il tempo rispariato nella coltivazione del riso veniva impiegato per la produzione di bachi da seta, una produzione che costituiva una delle principali esportazioni Giapponesi agli inizi del 900. Ma per gli abitanti di Shinohata il guadagno proveniente dai bachi da seta era scarso. Nonostante alcune famiglie erano in grado di comprarsi beni “moderni” come le biciclette, il villaggio era ancora povero e la vita dura.

Ma talvolta, il destino porta a piccoli insediamenti rurali la forza economica delle citta’. Il cambiamento dei mercati cittadini avrebbero potuto portare poverta’ a Shinohata se avessero comportato un calo della domanda di grano. L’attrazione di lavori meno faticosi in citta’ avrebbe potuto spopolare il vilaggio come avvenne per il villaggio di Bardou. L’afflusso di nuove tecnologie avrebbe potuto togliere posti di lavoro alle fattorie e alle campagne, creando disoccupazione nel villaggio. Oppure, l’apertura di una fabbrica avvrebbe potuto fare di Shinohata un villaggio-fabbrica. Oppure avrebbe potuto trasformarsi in un villaggio che vive delle rimesse di figlie, figli o mariti che lavorano in citta’, o sotto qualche altra forma di rendita assistenziale.

Ma per fortuna , quando la forza dell’espansione dell’area metropolitana di Tokyo raggiunse Shinohata, tutte le cinque forze dell’espansione economica delle citta’ abbracciarono il villaggio contemporaneamente.

A Tokyo si aprirono mercati per nuovi prodotti agricoli. A partire dal 1950 gli abitanti di Shinohata si resero conto che potevano guadagnare di piu’ esportando nuovi prodotti agricoli: pesche, uva, pomodori, piante da giardino e alberi da piantare nei parchi delle citta’, e i “funghi della quercia”, una specialita’ culinaria Asiatica che puo’ essere venduta a prezzi molto alti, d’altro canto alcuni esperimenti come il luppolo, il tabacco e le pesche in scatola, furono fallimentari.La diversificazione ebbe effetti anche sulle diete degli abitanti del villaggio, i quali iniziarono a coltivare melanzane e nocciole, patate Irlandesi, rapanelli, zucche e cavoli. Dal momento che i cavalli non erano piu’ necessari, alcune famiglie avevano iniziato ad allevare mucche invece di cavalli. Solo 20 delle 49 famiglie lavoravano all’allevamento dei bachi da seta nel 1975, e anche quelle famiglie, avevano diversficato la loro attivita’. Ma 49 delle 49 famiglie erano ancora occupate nell’agricoltura e quasi tutte continuavano a coltivare riso. Le quantita’ prodotte di riso, assieme alle quantita’ di grano prodotte, aumentarono notevolmente.

Durante la fioritura agricola di Shinohata, i lavori cittadini iniziarono ad esercitare il loro fascino sugli abitanti del villaggio. A Shintohata, quasi nessuno era mai emigrato a Tokyo prima del 1956; fra le varie eccezioni, c’erano stati due maestri nella precedente generazione, uno divenne astronomo e l’altro medico. Ma a partire dal 1956, cosi’ tanti abitanti di Shinohata si erano trasferiti a Tokyo che nel 1975, 14 delle 49 famiglie avevano tutti i figli a lavorare a Tokyo, e nelle rimanenti 35, alcuni figli erano emigrati. Nel frattempo, nel villaggio si era aggiunta la cinquantesima famiglia, la famiglia di un professore di Tokyo e di sua moglie che amavano trascorrere i fine settimana fuori dal caos della grande citta’.

Con un numero crescente di giovani che volevano abbandonare l’agricoltura e con una crescente domanda di prodotti agricoli, qualcosa doveva cambiare. E quello che cambio’ fu il modo di lavorare la terra. Shinohata aveva sperimentato uno stallo che tipicamente accade nelle regioni vicine alle citta’. Gli abitanti del villaggio si affrettarono ad introdurre macchinari ed elettrodomestici per aumentare la produtivita’. Ad esempio, nel 1975 le ore necessarie per coltivare un chilo di riso erano circa la meta’ delle ore necessarie nel 1955.

L’esempio dell’aumento di produttivita’ piu’ impressionante riguarda i “funghi della quercia”, la specialita’ della cucina asiatica di cui Shinohata era ricca, paragonabile ai tartufi. Verso la meta’ degli anni 60 tre agricoltori iniziarono a sperimentare nuovi metodi per la produzione di questi funghi. Comprarono dei tronchi, con dei trapani li bucherellarono e li riempirono con terriccio e spore di funghi; poi lasciarono i tronchi a stagionare e dopo circa un anno furono in grado di raccogliere i funghi dai loro tronchi; una volta raccolti i funghi, gli agricoltori riempivano nuovamente i tronchi di terriccio e spore e ripetevano il processo. Nel 1975 questi agricoltori avevano 40-50 mila tronchi a testa e spedivano ogni giorno funghi a Tokyo, usando serre riscaldate durante l’inverno. Agricoltori dei villaggi vicini avevano iniziato ad imitare gli agricoltori di Shinohata.

Grazie anuovi macchinari e sistemi di produzione agricola, molti degli abitanti di Shinohata erano in grado di svolgere la loro attivita’ agricola part-time, assieme ad un lavoro da operai o dipendenti. Piu’ spesso, alcuni membri di una familia si dedicavano all’agricoltura, altri all’industria o al terziario. Generalmente, i piu’ anziani si occupavano della terra, mentre i giovani lavoravano nelle fabbriche. Nel 1975 sette vedove piuttosto anziane riuscivano a condurre le loro imprese agricole da sole, un compito che sarebbe stato impossibile per un uomo o una donna soli negli anni precedenti. In alcuni casi, l’acquisto di macchinari agricoli era finanziato dei loro figli che lavoravano a Tokyo.

Mentre avvenivano tutti questi cambiamenti, Tokyo iniziava a “trapiantare” le proprie fabbriche nei villaggi. Una grande societa’ agroalimentare decise di trasferire la sua produzione di cibo a Shinohata. L’immagine bucolica di Shinohata forni’ alla societa’ agroalimentare anche uno spunto per la propria campagna pubblicitaria. La grande societa’ agroalimentare era interessata al prezzo relativamente basso della terra del villaggio e alla vicinanza con i produttori. Gli agricoltori di Shinohata si spartirono i profitti della vendita della terra alla societa’ agroalimentare e continuarono a lavorare per conto proprio, trovando nella grande societa’ agroalimentare un canale aggiuntivo di vendita per i loro prodotti. Un abitante del paese che si era arricchito piu’ di altri perche’ possedeva una parte maggiore del terreno venduto aveva deciso di regalare alla comunita’ un impanto di filtraggio dell’acqua. Un esempio simile si ritrova nel villaggio di Bardou, dove si costrui’ un impianto fognario con i proventi della casa cinematografica.

La societa’ agroalimentare non aveva bisogno di molti dipendenti, perche’ il lavoro veniva fornito esternamente dagli agricoltori di Shinohata. Inoltre, in breve tempo, altre quattro imprese si trasferirono nel villaggio: un’impresa che comprava i rifiuti della societa’ agroalimentare e li riciclava per produrre mangimi per bestiame; un’impresa che fondeva pezzi di metallo riciclato dai macchinari in barre di acciaio; un’impresa di materiali da costruzioni; ed una piccola impresa che riparava centrifughe utilizzate nelle analisi mediche e chimiche. Quest’ultima impresa fu iniziata da un uomo che aveva lasciato Shinohata per Tokyo anni prima e aveva lavorato in una impresa di Tokyo che produceva simili macchinari. Volendo ritornare a Shinohata, persuase il suo datore di lavoro di dargli la concessione per la riparazione di tali macchinari in quella circoscrizione.

Il “trapianto” di lavori nell’antico villaggio agricolo di Shinohata dimostra come il villaggio si sia interconnesso con la vita della metropoli e di altre comunita; circostanti superando anche il limite dell’attivita’ agricola. Ad esempio. in una famiglia la moglie lavora in una fabbrica di biancheria intima recentemente “trapiantata” da Tokyo in un villaggio vicino a Shinohata; suo marito lavora in una tintoria tessile. In un’altra famiglia il marito lavorava nell’indotto della societa’ agroalimentare, sua moglie vendeva assicurazioni per la vita, mentre uno dei figli diventava apprendista cuoco in un grande albergo di Tokyo. Un altro uomo aveva un ufficio a Sano, una cittadina in fondo alla valle dove si trova Shinohata. Un altro era un autotrasportatore per una compagnia elettrica operante in una circoscrizione vicina; un altro lavora in una fabbrica di legname. un altro era diventato una guardia per una fabbrica che lui stesso aveva iniziato, ma che era fallita ed era poi stata comprata dai suoi attuali datori di lavoro. Acuni uomini erano fra i 35 dipendenti della la cooperativa agricola che raggruppava i villaggi della zona per un totale di 1,300 famiglie, 5,000 citta’. La divisione di questa cooperativa che si occupava di grano,  inizio’ attivita’ in proprio allo scopo di fornire lavoro part-time ai giovani agricoltori. Un uomo di Shinohata che prima lavorava in un centro di pesca commerciale, pote’ licenziarsi e lavorare part-time e occuparsi dei suoi studi di scienze naturali, quando suo moglie fu stata assunta in una vicina fabbrica di costruzioni ed poteva “guadagnare come un uomo”. Se sua moglie non avesse trovato quel lavoro, l’uomo non avrebbe potuto mantenersi con il suo lavoro part-time.

Nonostante Shinohata fosse un villaggio remoto, la nuova economia ha permesso ai suoi abitanti di ritagliarsi delle nicchie, un po’ come le nicchie ecologiche studiate dai professori di biologia, in una vita che altrimenti sarebbe stata molto povera e frustrante. Ad esempio, i proprietari delle foreste, che sono ora troppo occupati nelle loro occupazioni, hanno assunto un lavoratore a svolgere una nuova funzione: il guardiano dei confini delle foreste. Quest’uomo era il discendente della famiglia piu’ povera del villaggio, una famiglia che non aveva mai avuto successo, perche’ i suoi membri erano pigri e disonesti. Tuttavia, ques’uomo ebbe successo come “guardiano dei confini della foresta”, perche’ si interpone nelle controversie locali intermediando qua e la e chiedendo talvolta piccoli pagamenti in natura o piccole somme. In realta’, gli abitanti non avevano davvero bisogno dei servizi di quest’uomo, in parte perche’ troppo impegnati ad arricchirsi con le loro attivita’, in parte perche’ avevano cose piu’ interessanti da fare che litigare l’uno con l’altro, e con il benessere erano diventati piuttosto generosi. Anche se il lavoro del “guardiano della foresta” era diminuito, i suoi guadagni non diminuirono. Una giovane donna si poteva permettere di stare a casa a curare il proprio bambino. Altre giovani donne non erano interessate ad imitarla, ma le anziane del villaggio la invidiavano, ricordando i tempi di duro sacrificio di madri e contadine quando il lavoro agricolo non era meccanizzato. La foresta, che non veniva piu’ setacciata dagli abitanti per la ricerca di funghi e legna, era tornata selvaggia. Orsi e cinghiali sono tornarono ad abitarla. Anche per loro si apri’ una nuova nicchia nella nuova economia del villaggio.

Nel 1975, il villaggio derivava solo meta’ del suo reddito dall’agricoltura, ma questo non significava che il reddito agricolo fosse diminuito. Anzi, era aumentato.

Mentre il villagio attraversava tutti questi cambiamenti, la quinta grande forza delo sviluppo economico, il capitale, iniziava ad agire. La politica nel villaggio riguarda soprattutto le strade, i ponti, le scuole e i canali di irrigazione, e l’arte di persuadere il governo centrale ad inviare sussidi per tutte queste opere. In totale, le spese pubbliche erano finanziate per il 15% dal villaggio, per il 40% dalla prefettura locale sotto forma di contributi generici e per il 45% dalla prefettura attraverso contributi specifici. La societa’ agroalimentare aveva fornito la maggior parte del capital privato, ed i consumatori di riso di Tokyo avevano pagato i sussidi statali per favorire la produzione di riso.

Fra i contributi specifici, Shinohata aveva ricevuto fondi per le distruzioni causate da un tifone nel 1959. Nel 1814, una cronaca locale aveva definito il fiume che attraversa quella valle come una maledizione.

“Il fiume in piena porta con se talmente tanti detriti e tanta sabbia che il letto del fiume continua ad alzarsi. Gli argini devono continuamente essere rinforzati. In alcune zone, il livello del fiume si alza fino a 10 piedi sopra il livello dei campi coltivati, e speso rompe gli argini, riversando nei campi la sabbia e le rocce del letto del fiume. E ci vogliono anni per rimuovere dai campi tali detriti.”

Un tale disastro, generalmente accadeva una volta per ogni generazione e portava con se’ ditruzione e fame.

Quando questo questo disastro si ripete’ nel 1959, lo stato Giapponese verso’ fondi per portare al paese macchinari e lavoratori che rendessero i campi nuovamente produttivi, e verso’ fondi per ricostruire gli argini del fiume e dei suoi affluenti, questa volta in cemento armato. Inoltre, fece scavare il letto del fiume, recuperando il materiale per costruzione che venne acquistato dai costruttori di Tokyo (un’altra menifestazione dell’importanza della grande Tokyo per il villaggio di Shinohata).

Quando Dore torno’ a visitare Shinohata nel 1975, un gruppo di camion stava ancora trasportando metariale proveniente da letto del fiume, e questo flusso non sembrava diminuire. In realta’ la gente di Shinohata riusci’ a trasformare l’alluvione del 1959 in una risorsa.

Si potrebbe essere tentati di attribuire alla laboriosita’ degli abitanti di Shinohata il merito di queste trasformazioni economiche. Ma gli abitanti di Shinohata sono i primi a riconoscere che i loro avi lavoravano molto piu’ duramente di loro. Si potrebbe attribuire agli abitanti di Shinohata una innata capacita’ artigianale, ma gli abitanti di Shinohata, al contrario dei loro antenati, non intarsiano cappelli di paglia, ma li vanno a comprare. Considerato il poco che avevano, gli abitanti di Shinohata erano senz’altro creativi e laboriosi. Ma gli abitanti di oggi sono la stessa gente dei loro padri, alcuni di essi sono le stesse persone. Cio’ che e’ cambiato non sono le loro qualita’ degli individui, ma il fatto che i mercati delle citta’, i lavori, la tecnologia, l’apertura di nuove fabbriche e il capirale sono arrivati a Shinohata contemporaneamente, in larga misura e in proporzioni appropriate. Continua…

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Le aree metropolitane

Posted by janejacobs su aprile 1, 2008

Nei sobborghi di alcune citta’ si aggrovigliano luoghi di lavoro rurali, industriali e commmerciali. Questi sobborghi sono unici e sono le zone piu’ ricche, piu’ dense di costruzioni e piu’ intricate, ad eccezione delle citta’ stesse.

Le  Aree Metropolitane non sono definite da confini naturali, perche’ sono il prodotto della costruzione dell’uomo. Le citta’ costutituiscono il nucleo naturale di tali aree.

I confini si espandono o si fermano a seconda dell‘energia economica delle citta’. Oggi la piu’ grande area metropolitana al mondo e’ Tokyo. Tokyo e’ cresciuta negli anni fino a raggiungere montagne addirittura impervie che hanno richiesto capolavori di ingegneria civile per la cotruzione di strade e ferrovie.

 

Tokyo

La citta’ metropolitana di Toronto e’ confinata per un lato dai Grandi Laghi, ma in altre diriezioni si estende progressivamente sino a declinare per decine di chilometri nella pianura circostane.

Boston e’ una citta’ metropolitana che estende le sue attivita’ economiche nella parte meridionale dello stato del New Hampshire. Questo fatto esaspera gli amministratori locali del New Hampshire perche’ vorrebbero vedere un’attivita’ economica omogenea in tutto lo Stato del New Hampshire e non solo nell’area vicina a Boston. Gli amministratori del New Hampshire cercano continuamente di fornire incentivi agli imprenditori di Boston per spostarsi nella parte Nord del New Hampshire, dove c’e’ piu’ disoccupazione e cercano di scoraggiare le imprese ad operare nella parte meridionale del New Hampshire, che e’ gia’ prospera. Ma gli amministratori non capiscono il processo di energia delle citta’ e sperperano risorse economiche. Il New Hampshire del Sud e’ la zona piu’ a Nord che l’espansione di Boston riesce a raggiungere. Piu’ su non ce la fa.

Non tutte le citta’ generano aree metropolitane. Ad esempio. Glasgow non ha mai generato un’area metropolitana, nonostante alla fine dell’ottocento fosse una citta’ all’avanguardia nello sviluppo dell’industria e della tecnologia e nonostante i suoi ingegneri e i suoi macchinari fossero ricercati in tutto il mondo. Cinquanta miglia piu’ ad Est di Glasgow c’e’ Edimburgo, il centro culturale e commerciale della Scozia: Edimburgo ha avuto momenti di forte espansione economica, ma non e’ riuscita a generare una citta’ metropolitana. Nemmeno le economie sommate delle due citta’, che non sono poi cosi’ distanti, sono riuscite a creare un sistema denso e ricco di attivita’ economiche in grado di creare una citta’ metropolitana, ma il territorio fra le due piu’ importanti citta’ Scozzesi e’ rimasto agricolo.

Marsiglia e’ il porto piu’ importante della Francia e ha costruito importanti industrie oltre alle industrie legate all’attivita’ portuale. Ma Marsiglia non ha un’area metropolitana.

Napoli nel cinquecento era la piu’ grande citta’ di tutta la Cristianita’. Aveva una posizione di primo piano nell’esportazione di tessuti, in particolare seta , biancheria ed altri tessuti ricamati a mano. In quel periodo citta’ come Milano, Parigi, Londra e Amsterdam stavano ancora cercando di formare le loro aree metropolitane.

L’area attorno a Roma e’ increbilmente poco costruita considerate la dimensione delle citta’.

Copenhagen ha generato una area metropolitana, Dublino, Belfast e Cardiff, Liverpool, Madrid, Zagabria e Mosca no.

San Paolo ha un’area metropolitana, ma non Rio de Janeiro, Buenos Aires o Montevideo no.

Havana e Santiago de Cuba non hanno generato un’area metropolitana, ne’ prima o ne’ dopo il regime di Castro.

Nella parte centrale del Giappone, ci sono cosi’ tante aree metropolitane che molte sono ora intersecate tra loro; ma Sapporo, la capitale di Hokkaido, la piu’ grande isola del Giappone, non ha generato un’area metropolitana.

Atlanta, la citta’ di Grady non ha una rete di sobborghi attorno ad essa; al contrario, Los Angeles e San Francisco hanno fiorenti aree metropolitane, cosi’ come Boston e New York.

Le citta’ del Pacifico si sono rapidamente sviluppate e hanno creato regioni circostanti dense ed intricate: Singapore, Seoul, Taipei e Hong Kong. Ma Manila nelle Filippine non ha generato tale sviluppo. La citta’ metropolitana di Hong Kong si e’ allargata all’interno delle provincia adiacente di Guandong in Cina, ma la citta’ di Canton, antico nucleo di quella provincia, non ha generato da se’ un’area metropolitana.

Shanghai ha generato una regione metropolitana cosi’ come anche le citta’ della province di Hubei, Hangkow, Hanyang e Wuhan, ora accomunate dal nome Wuhan nella parte inferiore del fiume Yangtze.

Hankou, one of the 3 towns that compose Wuhan

Wuhan, Cina

Ovviamente, le citta’ che sanno produrre beni da esportare, o che sanno attrarre visitatori o che svolgono funzioni politiche, culturali o religiose non sempre generano aree metropolitane. Non basta esportare, non basta essere sede di importanti amministrazioni politiche. Ci vuole la capacita’ della citta’ di rimpiazzare continuamente e ripetitivamente le importazioni. Le citta’ che generano aree metropolitane sono in grado di rimpiazzare le importazioni. Le cinque forze che generano citta’ metropolitane sono:

(1)  espansione dei mercati cittadini per nuove e diverse importazioni;

(2) espansione delle competenze dei lavoratori;

(3) espansione delle unita’ produttive al di fuori dei confini cittadini;

(4) espansione tecnologica per aumentare produzione e produttivita’;

(5) espansione del capitale

Continua…

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