Le cittá sono la ricchezza delle nazioni

Un nuovo modo di vedere l’economia

Archive for aprile 2008

Genova: l’umiliazione della “Superba”

Posted by janejacobs su aprile 29, 2008

Un’ orribile sopraelevata taglia il centro della citta’ di Genova dal suo porto

Per ottocento anni, Genova e’ stata la più grande città marittima d’Europa, Genova e’ stata una repubblica indipendente, prospera, fiera. La sua potenza era tale che la città veniva definita “la Superba”.

Ma dov’e’ oggi la traccia di tale superbia? Oggi Genova e’ ridotta in cenere, e’ vecchia, fragile, isterica, spaventata da ogni cambiamento, incapace di proiettarsi verso il futuro, schiacciata fra la rabbia dei suoi
camalli precari, fra un’amministrazione portuale corrotta, e fra i famelici appetiti delle lobbies politiche che ormai si scannano per le carcasse di ciò che e’ rimasto di Genova. In questa immobile confusione, l’unica
organizzazione che ne beneficia e’ la criminalità organizzata.

Il fulcro della grandezza di Genova e’ sempre stato il suo porto. Fino a che Genova ha mantenuto un porto attivo e vigoroso, fino a che e’ stata lasciata libera di commerciare, i Genovesi sono stati in grado di mantenere un primato commerciale, nonostante il periodico avvicendamento di potenti stati nazionali. In tali avvicendamenti, Genova non solo riusciva a mantenere il suo primato di potenza marittima e commerciale, ma grazie alla sua politica di neutralità’, approfittava delle guerre fra le grandi nazioni Europee
accrescendo il suo potere. Fino alla fine del settecento Genova era l’equivalente di quello che oggi sono il miglio d’oro di Londra, la Svizzera, e il porto di Rotterdam. Genova era tutte queste cose in una.

Il simbolo di Genova: la croce di San Giorgio

Nel Medioevo, i Genovesi erano i padroni del Mediterraneo e del Mar Nero. Genova controllava le rotte commerciali che la collegavano a Marsiglia, Barcellona alle Fiandre all’Inghilterra, alla Turchia e alla Russia. Quello che oggi e’ il Mar Nero era chiamato il mare dei Genovesi. Durante la prima crociata, la croce di San Giorgio, simbolo di Genova, fu usata dai crociati Inglesi in viaggio per Gerusalemme. Gli Inglesi dovettero pagare per il privilegio di usare la protezione dei Genovesi. Agli Inglesi la croce di San Giorgio dovette piacere, visto che finirono per usarla come bandiera nazionale.

Espansione di Genova.png

L’espansione di Genova, metropoli del mare

Genova era libera e prospera. I ricchi ed i governanti erano caritatevoli con i poveri poveri. Genova possedeva una organizzazione ospedaliera e assistenziale che non aveva confronti in Europa ed uno stato sociale in
grado di assicurare anche ai più poveri un tenore di vita sicuro. Nessun Genovese, finché la città rimase indipendente, soffri’ mai la fame, una bestia nera, che ripetutamente colpiva i poveri di tutta Europa, m non i
poveri di Genova.

Fino al settecento, i banchieri Genovesi erano in grado di influenzare le campagne militari di Spagna, di Francia e degli Asburgo. Le famiglie di banchieri dei Centurione e degli Spinola, dei Grimaldi rimpiazzarono i
Fugger e si impossessarono dell’oro proveniente dalle Americhe. I palazzi di Genova erano presi a modello dal grande pittore Rubens come sfondo dei suoi capolavori commissionati dai piu’ grandi sovrani Europei.

Il declino di Genova inizio’ con l’invasione da parte di Napoleone. Quel farabutto e’ generalmente ritratto dai nostri libri di storia come il portatore degli ideali di democrazia della Rivoluzione Francese. A Genova
invece, Napoleone porto’ solo saccheggio e fame, comportandosi piu’ come un dittatore che come un liberatore. I Genovesi la democrazia ce l’avevano già, se l’erano costruita da se’ era fatta apposta per loro, su misura. Napoleone defini’ Genova una “turgida vacca da mungere” e si premuro’ di mungere tutto il suo latte. Napoleone rubo’ a Genova tutte le sue riserve auree, le piu’ grandi riserve auree di ogni citta’ Europea e
utilizzo’ l’oro di Genova per finanziare i suoi famelici eserciti che distrussero mezza Europa.

Con la sconfitta di Napoleone del 1815, Genova fu tradita dai vincitori Inglesi i quali anziché riconsegnarle l’indipendenza dovutale dai trattati internazionali, preferirono impossessarsi delle sue rotte marittime e darla in pasto ai rozzi Savoia, una mediocre casata di agricoltori, che non avevano niente a che fare la grandezza della repubblica Genovese. Incapaci di sfruttare le qualità’ commerciali dei Genovesi, i Piemontesi preferirono imporre dazi protezionistici per favorire la loro agricoltura a vantaggio dei propri proprietari terrieri.

L’odio dei Genovesi contro i Piemontesi non fu mai sopito ed esplose nella Rivoluzione die Genova del 1849, repressa con violenza dal generale La Marmora che bombardo’ la città uccidendo rivoluzionari e civili. Anche
questo non e’ evidenziato nei nostri libri di storia, ma si sa, la storia la scrivono i vincitori.

Dopo l’unificazione Italiana, Genova vide fasi alterne di sviluppo, ma il suo sviluppo era lento, stentato, diretto da forze esterne. Il porto non riusci’ mai a decollare, ne’ tanto meno a raggiungere il primato del suo
passato glorioso.

Il Porto di Genova era diventato il punto di partenza per i poveri Italiani verso il sogno Americano, verso l’Argentina, il Brasile, l’Uruguay, gli Stati Uniti.

Gli Italiani impiantarono a Genova l’industria pesante, credendo che per sviluppare una regione ormai in decadenza, bastasse qualche impresa siderurgica e qualche cantiere navale. Ma l’industria pesante conobbe
sporadici momenti di successo a Genova, principalmente nei periodi bellici.

Finite le guerre, la riconversione era sempre difficile, problematica. Lo stato Italiano dovette salvare dal fallimento prima l’Ansaldo e poi le fabbriche di armi Genovesi che entrarono a far parte della Finmeccanica. Lo sviluppo di Genova era quindi diretto dal governo di Roma.

Gli impianti industriali dell’industria di Stato rese i Genovesi dipendenti dagli aiuti pubblici. Genova dipendeva dalla carita’ di Roma ed il suo porto languiva, non riusciva piu’ ad esprimere le sue potenzialita’. Arrancava sempre in ritardo in termini di crescita infrastrutturale, e quindi di lavoro e crescita economica.

La fase di industrializzazione del paese durante il boom economico degli anni 50 e 60, non miglioro’ le condizioni di vita dei suoi lavoratori portuali, i suoi camalli. Gli armatori ed i direttori del Porto di Genova non erano piu’ ormai all’avanguardia e cercavano di aumentare i loro profitti a scapito dei salari e della sicurezza dei camalli. Genova vedeva i suoi traffici affievolirsi sempre piu’ in favore di altri porti come Marsiglia, il Pireo, ma soprattutto Rotterdam ed Amburgo.

Negli anni ‘70 e ‘80 i camalli, fecero esplodere la loro rabbia, ma le lotte sindacali non portarono il porto di Genova ad espandersi. I camalli si illusero di poter migliorare le proprie condizioni di lavoro impossessandosi della gestione portuale, ma non avevano ne’ le capacita’ imprenditoriali per
stare al passo con gli altri porti d’Europa, ne’ i capitali necessari ad avviare tale sviluppo.

Intanto l’Italia, sotto spinta della Fiat, aveva sviluppato una fitta rete di autostrade che faceva concorrenza al movimento merci del porto, perche’ le autostrade erano collegate ai valichi Alpini da cui transitavano le merci provenienti dai porti del Nord Europa. Le merci oggi attraversano la Germania, la Svizzera e l’Austria, arricchendo i concessionari delle strade ed i camionisti Lombardi, Veneti e del centro Europa. Questo non danneggia solo i Genovesi, ma tutto il tradizionale bacino di utenza del porto di Genova: Torino, Milano, Ginevra, Parma e tutte le citta’ vicine. Questo sistema di trasporti non solo e’ piu’ costoso per i consumatori di queste citta’, ma e’ anche piu’ dannoso per danneggia l’ambiente.

I camalli non solo non seppero sviluppare il porto, ma negli ultimi 30 anni non seppero nemmeno fornire ai loro lavoratori condizioni minime di sicurezza. I recenti morti sul lavoro nel porto hanno tristemente portato alla ribalta il fallimento delle lotte dei camalli.

Recentemente il Presidente del Porto di Genova e’ stato arrestato per un giro di tangenti che coinvolge politici, armatori e camalli. Il piano di rilancio del Porto ideato da Renzo Piano, uno dei piu’ illustri Genovesi
viventi, langue nel cassetto e forse non vedra’ la luce per altre generazioni.

I Genovesi sono non riescono a creare ricchezza dal loro porto in maniera minimamente comparabile a quanto avevano fatto i loro avi. La citta’ e’ pervasa da distruttivi odi faziosi che sono sfociati nei recenti episodi di violenza del G8.

Genova e’ incapace di venire a capo della sua vocazione marittima, la sua classe dirigente e’ mediocre e corrotta stupidita’ della sua classe dirigente. I Genovesi preferiscono attaccarsi a quel poco che hanno,
impauriti di guardare al mare, rinnegando cosi’ la loro storia, la loro vocazione, il loro orgoglio passato.

Rotterdam, Anversa, Marsiglia, Barcellona e Valencia, un tempo colonie di Genova, ora hanno porti piu’ efficienti, moderni e prosperi. Il trasporto di merci da regioni lontane su gomma o su rotaia, crea piu’
inquinamento di quanto non ne creerebbe se le merci all’Italia centro settentrionale e alle regioni Alpine di Francia e Svizzera arrivassero invece direttamente da Genova.

Il porto di Rotterdam

La popolazione locale fa referendum contro qualsiasi cosa, non ha fiducia nel progresso, non innova, lascia che i camalli blocchino ancora il porto una settimana si’ e una no, anche se quando muoiono gli operai sul posto di lavoro, la societa’ gestita da loro e’ la prima a trascurare le norme di sicurezza.

Chi ci guadagna da questa decadenza del porto? Non i Genovesi, che ormai guardano al porto con orrore, con l’eccezione del porto vecchio restaurato recentemente da Renzo Piano, ma che non e’ piu’ un porto, ma un centro commerciale. Non i camalli, che lavorano in una situazione molto piu’ precaria dei loro genitori negli anni ‘70 e ‘80. Posso ipotizzare che la criminalita’ organizzata abbia molta convenienza a lasciare le cose come sono. La Mafia prospera nell’infefficienza e nella corruzione. Tra un molo bloccato ed un terminale in subbuglio, il porto di Genova potrebbe essere ideale per far arrivare entrare la droga nel cuore d’Europa.

Continua…

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Gli impianti industriali del Portorico

Posted by janejacobs su aprile 27, 2008

 

Perche’ nuovi impianti industriali non hanno arricchito il Portorico?

  Il Portorico ha cercato di attrarre impianti da regioni lontane da molto meno tempo della Georgia , ma ha avuto molto piu’ successo. Per quarantacinque anni, il Governo del Portorico ha attratto industrie che richiedessero molta manodopera per fornire lavoro agli abitanti dell’isola e salari alla propria economia. Oltre al basso costo della manodopera, il Portrico poteva offrire porti efficienti, sconti fiscali, corsi di formazione finanziati dal governo e prestiti a tassi agevolati che potessero aiutare le imprese che volessero impiantarsi in Portorico per sopperire ai costi di trasferimento. Il territorio dell’isola ora e’ punteggiato da stabilimenti e fabbriche di grandi multinazionali e di produttori di magliette , giocattoli, microprocessori e altri prodotti dell’industria cosidetta “leggera”.

Ma quando questi impianti lascianorono il Porto Rico in cerca di manodopera ancora meno cara, come hanno fatto all’inizio degli anni ’70, lasciano dietro di se’ il vuoto, cosi’ come lo avevano lasciato in Georgia.

Tale vuoto e’ stato cosi’ descritto dal direttore del direttore del programma antipoverta’ della citta’ Portoricana di Ponce: “Non rimane alcun sistema di relazioni simbiotiche simile a quelli che si sviluppano nelle citta’ e nelle aree metropolitane quando alcune delle loro industrie si impiantano, si trasferiscono in posti lontani come il Portorico”.  Continua…

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Le imprese iniziano nelle citta’

Posted by janejacobs su aprile 24, 2008

Impianti della Lockheed 

La Lockheed Aircraft, un’impresa produttrice di aerei originaria di Los Angeles, costrui’ una fabbrica nella città di Marietta, Georgia. Questa fabbrica era di dimensioni notevoli. Senz’altro lo era per la parte Sud Orientale degli Stati Uniti.

 In precedenza, negli anni in cui la Lockheed era stata fondata e negli anni immediatamente successivi, la Lockheed aveva bisogno di un’economia cittadina costituita da un’intricata rete di produttori, fornitori e consumatori interconnessi fra loro. La città di Atlanta, che era la citta’ piu’ grande del Sud degli Stati Uniti,  non avrebbe permesso lo sviluppo di una impresa come la Lockheed, ancora meno Marietta. Il fondatore della Lockheed, Allen Loughead, disegno’ il suo primo aeroplano nel 1920 e dovette arrangiarsi a trovare le centinaia di componenti per la produzione del suo aereo nel’economia cittadina di Los Angeles: vari tipi di attrezzi, lamiere di alluminio, cavi elettrici, ruote, raggiere, impianti elettrici e cosi’ via. La maggior parte dei componenti dell’aereo erano prodotti a Los Angeles: e per i componenti che non erano prodotti a Los Angeles Loughead poteva fare affidamento su vari importatori, distributori e agenti che operavano a Los Angeles. E se alcuni componenti non esistevano, le imprese di Los Angeles erano in grado di produrle in base alle specifiche tecniche fornite dal Signor Loughead, cosi’ succedeva anche per i produttori del Nord Italia che avevano meravigliato il Professor Sabel. Loughead dovette anche darsi da fare per cercare personale qualificato con le competenze necessarie a costruire un aereo: disegnatori, meccanici, progettisti, collaudatori, e cosi’ via. Non sorprenderà che Loughead dovesse dipendere dai consumatori di Los Angeles: in fatti Loughead fu in grado di mantenersi mentre lavorava al suo primo progetto, vendendo voli  turistici agli abitanti di Los Angeles e a turisti che si trovavano a Los Angeles. Nessun prestito, per quanto generoso avrebbe potuto superare gli sprechi di energia, il tempo perso, gli errori e i ritardi derivati da una progettazione effettuata fuori da un’economia vibrante come quella di Los Angeles o di un’altra grande città. Anche nella fase di espansione la Lockheed aveva sempre bisogno di una grande città. Poteva muoversi in periferia, ma non poteva spostarsi troppo lontano; necessitava delle relazioni con gli altri produttori di beni e servizi di cui aveva bisogno. Nel frattempo, mentre la Lockheed cresceva, aiutava altri produttori a ramificare le proprie competenze e ad aumentare la loro versatilità.

Il motivo per cui la Lockeed si trasferi’ ad un certo punto in una fabbrica nella lontana Georgia era che era diventata una compagnia auto-sufficiente; la Lockheed era diventata in grado di produrre internamente molti dei componenti di cui aveva bisogno, aveva al suo interno competenze e servizi che prima aveva ricevuto da fornitori esterni, ed era diventata abbastanza grande da poter rifornirsi in maniera efficiente dai suoi fornitori indipendentemente da quanto tali fornitori fossero distanti. La sede principale era rimasta a Los Angeles, una sede che svolgeva ancora una buona parte del lavoro, ma molte operazioni potevano essere svolte nella lontana Georgia a costi più bassi.

Un recente modello di un aeroplano Lockheed

A Marietta, la Lockheed aveva bisogno dell’intricata rete di fornitori di beni e servizi di cui aveva bisogno a Los Angeles; se cosi’ fosse stato, la Lockheed non si sarebbe trasferita a Marietta. Pertanto, a Marietta la Lockheed non riprodusse tale rete di fornitori, perché semplicemente non poteva farlo, nemmeno in piccolo, perché quell’economia non lo consentiva.

Le speranze dei Georgiani di una regione che producesse beni diversificati in un’economia fiorente per il proprio popolo e per le fabbriche della Georgia non potevano essere soddisfatte dal semplice trasferimento dell’impianto della Lockheed. Tuttavia, con la Lockheed, si creava lavoro e si creavano nuovi salari per gli abitanti di Marietta. Ma i salari andavano ad aumentare i beni importati da città lontane e non prodotti in quella regione. Per quanto riguardava i beni che Marietta invece produceva, essi venivano esportati in mercati di città lontane o in basi militari in altre zone degli Stati Uniti o in nazioni straniere. In breve, questi impianti provenienti da città distanti avevano creato in quella regione della Georgia una regione che produceva beni per mercati lontani, non dissimile ai beni prodotto dall’Uruguay.

La fragilità dell’economia della Georgia apparve evidente negli anni ’70 quanto gli stabilimenti tessili iniziarono a chiudere perché andavano alla ricerca di manodopera che costasse meno di quella della Georgia e alla ricerca di minore regolamentazione. Se tali stabilimenti fossero rimasti in Georgia, non avrebbero più potuto competere con i produttori stranieri, per cui le alternative erano il fallimento o il trasferimento degli stabilimenti altrove; entrambe le alternative volevano dire per la Georgia la chiusura di impianti industriali. La chiusura degli stabilimenti lasciava dietro di se’ il vuoto. Gli stabilimenti impiantati da città lontane si rivelarono un fallimento per coloro che avevano sperato che l’apertura di fabbriche nella regione sarebbe stato il seme dello sviluppo industriale. Quanto la Lockheed chiuse i suoi impianti in Georgia non lascio’ nulla dietro di se’.

Gli intellettuali come Grady avevano sperato che la regione avesse potuto svilupparsi come un’area metropolitana, ma tale caratteristica dipendeva da industrie che sono autosufficienti e versatili. Quando le imprese cittadine si trasferiscono nelle regioni attorno alle città, riescono a bilanciare la relativa lontananza dalle città con un minore costo degli affitti degli immobili. Questo fenomeno si riflette anche fisicamente sui tratti fisici del territorio di una regione metropolitana industrializzata. Molte delle imprese generate dalle città si possono trasferire, ma non possono trasferirsi troppo lontano, se dipendono da costanti relazioni con fornitori e consumatori. Questo e’ il motivo per cui le aree metropolitane non solo producono ampiamente e per le loro popolazioni e per altre regioni, ma riescono anche a diversificare i la produzione in modo tale da evitare il collasso economico se alcune condizioni di mercato vengono meno. Continua…

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Impiantare industrie in regioni lontane

Posted by janejacobs su aprile 22, 2008

La tipica diagnosi del problema delle regioni che forniscono materie prime , delle regioni spopolate e delle città con economie stagnanti e’ che “non c’e’ abbastanza industria”; e quindi la cura standard e’ quella di “attrarre nuove industrie”. Cosa sono queste industrie da attrarre? E da dove vengono? La maggior parte delle industrie si e’ originariamente sviluppata nelle città e nelle aree metropolitane, ma con il tempo sono state in grado di lasciare la loro “casa” originaria per trasferirsi in regioni distanti prive città in grado di rimpiazzare le importazioni . Queste industrie sono diverse dalle industrie cittadine e non hanno effetti positivi sulla vita economica o sullo sviluppo delle regioni in cui si vanno ad impiantare.

Per capire questo, torniamo al luogo della Georgia che Henry Grady descrisse nel 1889 rivolgendosi ad un pubblico di industriali e banchieri di New York e Boston. Nel suo discorso, alla scena del funerale, Grady faceva seguire un racconto giubilante di cambiamenti e di meraviglie. Grady raccontava che, tornato dopo qualche tempo al cimitero, trovava una grande cava di marmi a pochi chilometri di distanza. Le colline di ferro brulicavano di minatori e risuonavano del brulichio e degli ingranaggi meccanici per la sua estrazione. Probabilmente il ferro era destinato alle acciaierie di Birmingham, Alabama , trapiantato nel 1879 da Pittsburgh. Nella zona si erano impiantati quaranta fabbriche per la filatura del cotone e vi eran numerose tessiture che rifornivano le numerosissime camicerie della regione. Poi vi erano molte fabbriche di scarpe, macchinari, vestiti e utensili che si sarebbero potute trapiantare nella zona. Qui, si potrebbe sospettare, stava trasformando delle possibilità in fatti. Tuttavia, torno’ con maggiore specificità a descrivere le fabbriche di bare a poca distanza dal cimitero.

La descrizione del funerale era la descrizione di una regione prima che arrivassero innesti industriali; a quel tempo, la regione era solo in grado di importare prodotti finiti da città lontane, perché non era in grado di produrli da se’. Le importazioni non venivano da Atlanta, la città più vicina, ma da città lontane del Nord e dell’Ovest del Paese.

Grady pensava che l’impianto di nuove fabbriche nella sua regione potessero diminuire la povertà della sua regione e portare benessere. Grady si appellava ai ricchi industriali del Nord di portare al Sud il potere produttivo delle loro armoniose economie.

Gli impianti industriali di città lontane arrivarono in Georgia, soprattutto in veste di fabbriche tessili provenienti dal New England, camicerie, provenienti da New York; tali impianti industriali erano attratti in Georgia dal basso costo del lavoro. Più’ tardi arrivarono in Georgia fabbriche collegate alla produzione militare, attratte dal potere politico dei senatori della Georgia. Continua…

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Banca Mondiale e Paesi Poveri

Posted by janejacobs su aprile 20, 2008

 

 Disastri come la Rivoluzione Verde o come gli schemi per l’industrializzazione promossi negli anni ’50 e ’60, portarono i burocrati della Banca Mondiale a ripensare le loro politiche assistenzialiste e il sistema con cui fornivano prestiti ai Paesi Poveri. A partire dal 1968, la Banca Mondiale utilizzo’ un nuovo approccio. Prima di allora la Banca Mondiale preferiva finanziare dighe, generatori elettrici, strade ed altre simili infrastrutture. Queste infrastrutture dovevano essere, nelle intenzioni della Banca Mondiale, il fondamento dell’industrializzazione, perché ad esse sarebbe seguito il processo di trapianto di fabbriche ed impianti di multinazionali. Tali progetti non comprendevano che l’industrializzazione si può generare solo con il processo di rimpiazzo delle importazioni, non con il trapianto di fabbriche ed impianti, ovvero di cattedrali nel deserto simili a quelle di cui abbiamo parlati in precedenza, ad esempio, nel caso del collasso dell’Uruguay. Infatti, dopo la costruzione di queste grandi infrastrutture, le industrie non si materializzavano: venivano costruiti i forni, ma il pane non c’era. E anche quando il pane si materializzava, il lavoro ed i redditi erano bassissimi rispetto ai bisogni, e la popolazione locale non avevano niente a che fare con quello che succedeva nelle economie in grado di produrre per se’ numerosi e diversi beni .

Dopo questi fallimenti, la Banca Mondiale riconsidero’ il suo approccio. Robert McNamara, il Segretario della difesa Americano fu nominato presidente della Banca Mondiale nel 1968. McNamara volle concentrarsi sui miglioramenti della vita agricola con l’obiettivo di trattenere gli agricoltori nei villaggi anziché di farli emigrare nelle città. Questo approccio era stato difeso anche da Gunnar Myrdal, il famoso esperto Svedese di poverta’ delle nazioni del Terzo Mondo. Myrdal sperava che ci potesse essere qualche espediente per migliorare il rendimento dei raccolti dei poveri villaggi agricoli e, allo stesso tempo, mantenere un’elevata ocupazione nell’agricoltura. Ma ne’ Myrdal, ne’ nessun altro esperto riusci’ a trovare un sistema per raggiungere questo obiettivo. Tale politica era un sogno senza una soluzione.

La Banca Mondiale pote’ introdurre gradualmente innovazioni per migliorare il rendimento dei raccolti; ma il passo di tale gradualità era cosi’ lento che di fatto non genero’ nessun visibile miglioramento nei rendimenti dei raccolti. Questo naturalmente fini’ per generare una forte delusione.

La soluzione di McNamara fu quella di evitare l’annoso problema dei rendimenti e della produttività dei raccolti. Egli decise, invece, che il miglioramento dei raccolti non era alla alla base della poverta’ dei Paesi Poveri. McNamara decise che le basi di tale poverta’ erano l’insufficienza di salute, educazione, nutrizione, alloggi e di un numero di figli troppo elevato. Sotto una dottrina chiamata delle ” necessita’ basilari”, la Banca Mondiale inizio’ a fare una serie di prestiti a tassi agevolati o addirittura a tasso zero ai paesi poveri, affinché finanziassero salute, educazione, nutrizione, alloggi e riduzione del numero di figli. Nel corso degli anni, l’aumento delle condizioni di vita dei Paesi Poveri avrebbero creato ricchezza e quindi tali nazioni sarebbero riuscite a ripagare i prestiti. L’ipotizzata ricchezza che questi investimenti avrebbero generato giustificavo l’obiettivo della banca in qualità di fornitore di prestiti e non di ente caritatevole.

Il costo del tentato soddisfacimento di queste necessita’ basilari fu elevatissimo. Nel 1968, l’anno in cui la Banca Mondiale fece questo mutamento di indirizzo, i prestiti della Banca Mondiale ammontavano a un miliardo di dollari. Nel 1980, l’anno in cui McNamara lascio’ la Banca Mondiale, i prestiti ammontavano a undici miliardi e mezzo di dollari. Non tutti i prestiti finirono in investimenti in salute, educazione, nutrizione, alloggi e in controlli delle nascite. Quasi un terzo dei fondi erogati dalla Banca Mondiale continuarono ad investire in progetti per la generazione di elettricita’ e altri programmi classificati come industriali, ma furono i nuovi prestiti alle comunita’ rurali che fecero aumentare l’indebitamento in misura maggiore. La cosa piu’ sconcertante e’ che oltre ai prestiti della Banca Mondiale si aggiunsero anche i prestiti di banche commerciali private per circa novanta miliardi di dollari nel corso degli anni ’70. Nel 1980 la Banca Mondiale andò dai suoi azionisti (i cinque piu’ grandi azionisti sono: Francia, Giappone, Germania, Regno Unito e Stati Uniti) a chiedere nuovi fondi; gli azionisti decisero di fare un aumento di capitale di 25 miliardi di dollari.

Questi prestiti potevano venire ripagati se e solo se i rendimenti nei paesi poveri e prevalentemente agricoli fossero aumentati in maniera significativa e se quei paesi avessero trovato dei mercati liquidi in grado di acquistare i prodotti agricoli che esportavano. E questo fenomeno ci riporta indietro al problema delle “necessita’ basilari”, la domanda su come aumentare i rendimenti dei raccolti ed evitare che gli agricoltori dei paesi poveri perdano il loro lavoro.

I prestiti della Banca Mondiale non furono mai ripagati. Questa politica ha convertito paesi poveri, ma relativamente autosufficienti in paesi mendicanti. Mentre questa azione si potrebbe o meno definire filantropica, senza dubbio non e’ una azione che ha portato i paesi poveri a svilupparsi economicamente. Ne’ tanto meno questa era l’intenzione originaria della Banca Mondiale, la quale aveva illuso i Paesi Poveri che i suoi programmi sarebbero serviti a  raggiungere lo sviluppo economico, non la carita’.

La dura realtà e’ che non esiste un modo semplice per superare la poverta’ rurale dove la gente non ha accesso a lavori cittadini piu’ produttivi. Questo era vero ai tempi dello spopolamento delle Highlands Scozzesi  ed e’ ugualmente vero per i poveri clienti della Banca Mondiale. Una semplice iniezione di tecnologia e’ sufficiente a sradicare milioni di contadini. Ma cio’ che non e’ disponibile a piacimento dei governanti della Banca Mondiale, sono citta’ adattabili, vigorose, in grado di rimpiazzare le importazioni. In loro assenza, la tecnologia che arriva come per magia da citta’ lontane, non diventa un’opporunita’ di progresso, ma una maledizione, ed il benessere economico che tali innovazioni tecnologiche portano, e’ per lo piu’ illusorio.

 

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La rivoluzione verde

Posted by janejacobs su aprile 17, 2008

 
Prima della rivoluzione verde

  Nei paesi poveri ad economia prevalentemente rurale la connessione fra disponibilità di lavori cittadini e  città’ in grado di rimpiazzare le importazioni non e’ compresa molto bene. Nemmeno le organizzazioni inernzionali come il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale hanno compreso bene questa connessione. Pertanto, la ricerca di soluzioni per le economie di questi paesi poveri ha sempre generato aspre controversie. In superficie, puo’ sembrare ragionevole sostenere che la poverta’ e la fame dei paesi poveri possano essere migliorate con il miglioramento della produttività dell’agricoltura dei paesi poveri.

Non sembrerebbe una soluzione ragionevole?

Questa e’ la teoria che sta dietro alla Rivoluzione Verde degli anni ’70, che ha portato migliori metodi di coltivazione, migliori sementi e migliori tecnologie in molte povere regioni agricole del mondo. A suo modo, la Rivoluzione Verde ebbe successo, cosi’ come ebbe successo lo spopolamento delle Highlands Scozzesi e la rivoluzione agricola del Sud America. Ma siccome esiste un forte legame fra il miglioramento dei rendimenti agricoli e la riduzione della manodopera agricola, la Rivoluzione Verde ha dislocato milioni di persone, senza procurare loro in compenso lavori nelle citta’.

Come gli Highlanders sfrattati dalle loro terre si riversarono a Edimburgo e a Glasgow e trovarono solo disoccupazione e poverta’, cosi’ i popoli del Terzo mondo furono sfrattati dalla rivoluzione verde e raggiunsero citta’ che non potevano offrire loro lavoro.

Alcune volte, invece di affollare le periferie delle città del Terzo Mondo, gli agricoltori senza lavoro cercano di restare nelle loro terre; e questo puo’ essere anche peggio. Nell’isola Indonesiana di Giava, i migliori rendimenti dei raccolti iniziarono grazie a due miglioramenti relativamente tecnologici relativamente insignificanti: la pompa azionata dala bicicletta e l’aratro meccanico.

A Giava, era sufficiente una pompa azionata da una bicicletta ed un aratro meccanico per rendere di quattordici agricoltori obsoleti e disoccupati, mentre allo stesso tempo, perche’ la produttivita’ del lavoro aumentava. Gli agricoltori di Giava sono rimasti nelle campagne, spostandosi nelle colline piu’ in alto ed estendendo l’agricoltura nelle foreste ad alta quota. L’uso agricolo di quelle terre e’ stato un disastro; la deforestazione ha causato l’erosione della terra  e ha causato alluvioni nelle stagioni della pioggia e siccità nelle stagioni secche, perche’ la distruzione delle foreste distruggeva anche la loro funzione di “spugne”. Quando le colline senza foreste e campi fertili divennero inutili per gli agricoltori, questi si spostarono ancora piu’ ad alta quota deforestando ancora piu’ terre.

Dopo la rivoluzione verde

In Africa, la Rivoluzione Verde ha prodotto un aumento della produttivita’ dei prodotti agricoli destinati alla vendita e all’esportazione come le arachidi nell’Africa Occidentale e il caffe’ ed il the nell’Africa Orientale; ma il risultato piu’ eclatante di questa Rivoluzione Verde e’ stato la malnutrizione dell’Africa. Le donne, che erano i tradizionali agricoltori della gran parte dell”Africa, erano di troppo nelle nuove agricolture meccanizzate. Continua…

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Il tracollo economico dell’Unione Sovietica

Posted by janejacobs su aprile 16, 2008

 

Nel’Unione Sovietica, il redimendo dell’agricoltura era scandalosamente basso. Regioni che avrebbero potuto essere i granai del mondo, non erano nemmeno in grado di nutrire la propria popolazione. Anno dopo anno, l’Unione Sovietica comprava tonnellate di grano dal Canada, un paese dal clima simile a molte aree dell’Unione Sovietica. Di più, l’Unione Sovietica addirittura importava grano dagli Stati Uniti. L’Unione Sovietica non era in grado di produrre abbastanza carne, verdure, frutta, pollame e latte in misura sufficiente per sfamare il proprio popolo. La produzione rurale nell’Unione Sovietica era bassissima e i tentativi di migliorarla avevano richiesto uno sforzo economico sproporzionato rispetto ai risultati ottenuti; l’Unione Sovietica per decenni continuo’ a distruggere circa un quarto dei suoi investimenti annuali in investimenti agricoli. Gli scarsi risultati furono imputati all’inabilita’ di programmare efficientemente l’economia, alla burocrazia corrotta, alle infrastrutture di trasporto carenti, all’indolenza dei lavoratori, al clima, e al fatto che i lavoratori delle fattorie socializzate non guadagnavano e non rischiavano in proprio se la qualità dei loro prodotti era eccellente o pessima e quindi non investivano e non lavoravano duramente. Queste ultime considerazioni sono senz’altro importanti fattori che hanno contribuito al tracollo dell’Unione Sovietica, e cio’ e dimostrato dal fatto che i pochi appezzamenti privati consentiti dall’Unione Sovietica avevano rendimenti molto maggiori di quelli collettivizzati. Ogni economista Sovietico o straniero che abbia studiato le fattorie collettivizzate ha raccontato storie orribili: fertilizzante che non arrivava nella stagione in cui andava applicato ai raccolti; macchine per la distribuzione di fertilizzanti che si rompevano facilmente o che non arrivavano in tempo per la raccolta anche se il fertilizzante era arrivato in tempo; mandrie che aumentavano di numero proprio quando veniva a mancare il cibo per allevarle; lavoratori che venivano assegnati a compiti per cui non era richiesto maggior lavoro, mentre c’erano altre mansioni alla che erano disperatamente richieste; servizi di trasporto inefficienti che lasciavano che i raccolti marcivano prima di arrivare a destinazione; e cosi’ via.

 

Pero’, possiamo guardare a questa orribile situazione anche da un punto di vista leggermente diverso. Supponiamo che le politiche dell’Unione Sovietia fossero state in grado di aumentare notevolmente il rendimento dei raccolti. Con tale miglioramento decine di milioni di lavoratori dei Soviet sarebbero stati automaticamente in esubero. Pertanto, se i tassi di rendimento dei raccolti fosse aumentato notevolmente, un numero immenso di emigranti, specialmente di giovane eta’, si sarebbe riversato sulle citta’. Anche se la produttivita’ fosse aumentata della meta’ di quanto era aumentata negli Stati Uniti in quello stesso periodo, circa 40 milioni di contadini Sovietici si sarebbero ritrovata senza lavoro. Considerando che il numero totale di abitanti dell’Unione Sovietica era di 100 milioni, dove se ne sarebbero potuti andare?

L’Unione Sovietica aveva poche citta’, nessuna di esse in grado di rimpiazzare vigorosamente le importazioni, ne’ tanto meno aveva vigorose aree metropolitane. L’aumento della produttivita’ avrebbe causato un numero troppo elevato di immigrati per le citta’ Russe, relativamente piccole e poco dinamiche dal punto di vista economico.

 Non sto insinuando che le autorita’ Sovietiche abbiano mantenuto i tassi di produttivita’ agricola deliberatamente bassi. Una simile affermazione non avrebbe senso alla luce delle enormi somme di denaro che il Governo Sovietico tento’ di investire per migliorare i rendimenti dei raccolti e la produttivita’ agricola. Dubito che i politici Sovietici capissero meglio dei loro colleghi americani la connesione vitale fra rendimenti dell’agricoltura e produttivita’, tra disponibilita’ di lavori cittadini connessa al ruolo delle citta’ in grado di rimpiazzare le importazioni .

Tuttavia, dal momento che tali connessioni esistono, ne consegue che in ogni nazione dove manchi lavoro nelle citta’, l’agricoltura e le campagne devnono mantenere rendimenti e produttivita’ basse. Non c’e’ alternativa. Questo e’ stato dimostrato sia dagli Stati Uniti, che hanno sviluppato molte grandi citta’ in grado di rimpiazzare le importazioni e un’agricoltura avanzata, sia dall’Unione Sovietica, che in mancanza di citta’ vigorose in grado di rimpiazzare le esportazioni, ha manetnuto un’agricoltura arretrata.

 

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Regioni di emigrazione e regioni spopolate

Posted by janejacobs su aprile 14, 2008

Raccoglitrice di cotone o creatrice di disoccupazione?

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La situazione nelle zone di spopolamento e’ diversa da quella delle regioni abbandonate dai lavoratori in cerca di lavori cittadini , perche’ hanno cause ed effetti diversi. Quando la tecnologia che arriva dalle lontane citta’ causa lo spopolamento di buona parte di una regione , le persone che devono lasciare la terra spesso stanno peggio di prima, ma quelli che rimangono stanno meglio. Le regioni dove la gente semplicemente emigra alla ricerca di lavori cittadini, presenta un’immagine speculare: quelli che partono migliorano la loro situazione, mentre queli che restano stanno peggio.

Questa differenza che per migliorare le condizioni di coloro che restano e coloro che emigrano, sia l’abbandono che lo spopolamento, dovrebbero avvenire allo stesso tempo e nello stesso posto. Questo avviene nelle citta’ regioni dove alcune persone emigrano alla ricerca di lavori cittadini mentre al contempo arrivano nuove tecnologie che rimpiazzano quelle vecchie. Questo e’ avvenuto nel paese Giapponese di Shinohata di cui abbiamo parlato in precedenza. Ma in altri tipi di regioni, le forze economiche provenienti dalle citta’, non sempre si dispiegano con regolarita’ ed armonia. Se la gente delle campagne che ha abbandonato le proprie terre lasciando il Galles , la vecchia Bardou avessero dovuto aspettare il giorno in cui nuove tecnologie avessero causato il loro spopolamento, quei cittadini sarebbero ancora li’ ad aspettare dopo generazioni e generazioni.

Sir John Sinclair ed il suo piano di portare un cambiamento graduale nelle Highlands ricorda l’inventore della macchina raccoglitrice di cotone negli Stati Uniti. Quest’ultimo non volle rivelare la sua invenzione fino a che la Grande Depressione degli anni 1930 non fosse finita, e anche allora, autorizzo’ l’introduzione di tale macchina in misura controllata e graduale. Tuttavia, tale macchina realizzo’ comunque lo spopolamento delle terre agricole del Sud.

Il miglioramento della produttività delle campagne e il miglioramento dei raccolti, non sono la stessa cosa, ma dal punto di vista pratico potrebbero anche esserlo. Alti rendimenti e poca manodopera sono due componenti fondamentali delle moderne imprese agricole. Cio’ significa che le zone agricole dove fino all’80% delle persone lavorano la terra, sono generalmente le zone piu’ affamate, e cio’ spiega perche’ le zone in cui una piccola parte della popolazione si occupa di agricoltura sono generalmente quelle dove le persone sono meglio nutrite. In pratica, sembra che ogni misura per aumentare il rendimento dell’agricoltura riduce anche il bisogno di lavoratori agricoli, o, per dirla in un altro modo, ogni misura per risparmiare sul costo del lavoro degli agricoltori aumenta il rendimento dell’agricoltura. Uno strumento semplice e rudimentale come la pompa ad acqua azionata da una bicicletta e da muscoli umani, puo’ aumentare il rendimento agricolo di campi dove l’irrigazione era prima fatta a mano; ma una singola pompa rimpiazza circa duemila giorni di lavoro all’anno, ovvero, elimina circa sette lavoratori. Questo vale per ogni altra misura che aumenta il rendimento, perche’ riduce il bisogno di lavoratori. Continua…

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Povero Sud

Posted by janejacobs su aprile 14, 2008

Povera Georgia

Anche gli Stati Uniti hanno avuto un grande processo di spopolamento al Sud, che fino agli anni ’30 fu la parte piu’ arretrata della nazione. L’ex presidente Jimmy Carter, descrivendo la sua infanzia nella Georgia, diceva: ” la vita dei contadini della Georgia assomigliava piu’ alla vita dei contadini di 2,000 anni fa che alla vita dei contadini di oggi”. Questo potrebbe sembrare un’esagerazione, ma non piu’ di tanto se si pensa ad una fattoria Italiana di 2,000 anni fa. Quello che Carter voleva dire era che quasi tutto il lavoro nella sua giuoventu’ doveva essere svolto da animali e bestie anziche’ da macchinari. Muli, uomini, donne e bambini erano indispensabili. Dal momento che la produttivita’ era bassa, per quanto i contadini lavorassero duramente, rimanevano poveri; e dal momento che erano poveri, non potevano permettersi di aumentare la loro produttivita’.

Per rompere questo circolo vizioso, il governo nazionale forniva denaro e cercava di migliorare i metodi agricoli delle fattorie del Sud. Le citta’ distanti giocarono la loro parte grazie al loro sviluppo economico: esse producevano i macchinari necessari e, grazie alle tasse che pagavano al governo centrale, fornivano il denaro necessario per l’acquisto di tali macchinari. I sussidi a molti beni agricoli, fornirono agli agricoltori del Sud un prezzo minimo a cui vendere i loro raccolti; essi ricevevano sussidi per ridurre i loro raccolti dalle loro terre, ricevevano prestiti a tassi agevolati per installare elettricità’ e assistenza da esperti assunti dallo stato sul controllo dell’erosione dei terreni, sull’erosione e la diversificazione dei raccolti. I sussidi erano automaticamente collegati alla dimensione dei fondi e fornivano maggiori benefici ai grandi proprietari terrieri; questi erano anche gli agricoltori capaci di fare un uso piu’ rapido e piu’ produttivo dei loro fondi, grazie a maggior capitale a loro disposizione che permetteva loro di acquistare moderni macchinari e assumere meno manodopera. Pertanto, i proprietari terrieri, e soprattutto i grandi proprietari terrieri potevano finalmente permettersi i macchinari di cui fino ad ora avevano fatto a meno.

La tecnologia che inizio’ a rivoluzionare la vita contadina per i membri della famiglia del Presidente Carter e per le altre migliaia di braccianti nel Sud non era rivoluzionaria, non era particolarmente innovativa o senza precedenti. Le macchine che permettevano la coltivazione, l’inseminazione, la disinfestazione automatica, le pompe, le seghe meccaniche,  i nastri meccanici, i ventilatori industriali, le gru, i sistemi refrigeranti, i trattori, i camion, le riviste specializzate di agricoltura, e tutti quei piccoli e grandi articoli che trasformarono l’agricoltura del Sud negli anni seguenti consistevano in macchinari, materiali e metodi che erano stati sviluppati prima negli Stati del Nord. Tali strumenti erano gia’ stati estesi alle regioni del Far West, ma nel periodo in cui i coltivatori di grano delle praterie e i coltivatori di frutta e verdura nelle valli del Far West iniziavano a possedere trattori, camion, macchine per l’aratoria e la disinfestazione, le vigorose economie delle citta’ dell’Ovest e del Nord erano in grado di alterare la vita di persone di cui tali regioni  fornitrici di materie prime non avevano bisogno.

Quando infine la tecnologia fu messa al lavoro dell’agricoltura del sud, il rendimento dei raccolti aumento’ prodigiosamente. Certo, anche la produttivita; degli agricoltori e dei loro aiutanti aumento’ prodigiosamente e quindi non c’era piu’ bisogno di molti braccianti. Coloro che lavoravano terre in affitto o che possedevano piccoli appezzamenti furono incorporati dai grandi proprietari terrieri. In Georgia, lo Stato di Henry Grady  e di Jimmy Carter, negli anni 1930 c’erano circa 1.5 milioni di lavoratori agricoli. Cinquant’anni dopo ce n’erano 225 mila e piu’ di 300 mila fattorie si erano consolidate in 70 mila fattorie. L’agricoltura oggi occupa solo il 4% dei lavoratori nello stato della Georgia, mentre ai tempi della Georgia di Carter, ne occupava circa il 50%. Mentre avvenivano questi cambiamenti in Georgia, simili cambiamenti avvenivano in Texas, nella Luisiana, nel Missouri, nell’Arkansas, nel Mississipi, nell’Alabama, nella Florida, nel Tennessee, nel Kentuky nella Carolina e nella Virginia. Su tutti questi territori, i lavoratori agricoli e le loro famiglie venivano spodestati della propria terra per via dell’aumento della produttivita’ dell’agricoltura.

Dove andarono a finire tutte queste famiglie? Dal momento che questo spopolamento era iniziato agli albori della Seconda Guerra Mondiale, i primi ad emigrare erano i primi ad essere assorbiti. I giovani agricoltori che non venivano arruolati nell’esercito trovavano facilmente lavoro nelle industrie della Guerra e nell’industria dei servizi a San Francisco, Oakland, Los Angeles, Chicago, Cleveland, Cincinnati, Pittsburgh, Philadelphia, Baltimora, Detroit, Boston e New Tork.

I lavoratori di colore, che rappresentavano una grossa percentuale dei lavoratori costretti ad emigrare, anche se prima venivano discriminati, venivano assimilati nell’economia della guerra.  Ma quando la Guerra fini’ i nuovi lavori, specialmente quelli dei lavoratori di colore, non aumentarono proporzionalmente ai lavori persi nell’agricoltura; e molti lavoratori che avevano trovato lavoro durante l’economia di Guerra venivano licenziati, specialmente se erano di colore.

Nonostante questo, lo spopolamento delle campagne, non solo continuo’, ma accelero’, particolarmente fra il 1945 ed il 1960. Alcuni di coloro che si ritrovavano senza lavoro rimanevano nel Sud in piccoli appezzamenti di terreno improduttivi in cui riuscivano a sopravvivere solo grazie a sussidi provenienti dal governo centrale. Alcuni trovarono lavori in citta’ del Sud che erano riuscite ad attrare il “trapianto” di fabbriche del Nord al Sud. Ma le fabbriche del Sud non erano in grado di fornire impiego a tutti i lavoratori agricoli che perdevano il lavoro per colpa delle innovazioni tecnologiche nell’agricoltura. Molti di loro continuarono ad emigrare nelle citta’ – e dove altro potevano emigrare? – particolarmente nelle citta’ del Nord e dl Far West che potevano offrire lavoro a nuovi emigrati provenienti dall’America e dall”Estero.

Ma in quel periodo qualcosa di straordinario stava accadendo in America. Le citta’non erano in grado di generare nuovo lavoro sufficiente per le persone che lasciavano le campagne. Anzi, proprio nel momento in cui le campagne Americane si spopolavano, molte citta’ si ritrovavano in stagnazione ed in recessione economica. Pertanto, a tutt’oggi nessun nuovo lavoro si e’ materializzato per i milioni di emigrati provenienti dalle campagne del Sud e per i loro discendenti. Dal loro punto di vista, sono rimasti in disgrazia per generazioni a lavorare duramente, mal pagati e con una agricoltura meccanizzata che non aveva piu’ bisogno di loro. Dal punto di vista delle citta’ in cui cercavano lavoro, gli immigrati rappresentavano un grosso fardello. E’ un fardello trovare per loro case, e’ un fardello educarli, fornire servizi di polizia, di assistenza e di sanita’.

Cio’ che incomincio’ come un miglioramento delle condizioni agricole porto’ ad effetti indesiderati perche’, come nello spopolamento delle Highlands Scozzesi il cambiamento non era correlato alla completo ed armonioso dispiegamento delle cinque forze delle citta’ (link). Invece, alcune forze sbilanciate – la tecnologia delle citta’ accompagnata al capitale – hanno raggiunto zone lontane ed inaspettate. Molta della maggiore produttivita’ e ricchezza provenienti da questa rivoluzione tecnologica si e’ rivelata illusoria a livello nazionale. Il costo dell’avere persone spostate dalle loro terre che sono disoccupate ed improduttive, povere e demoralizzate, violente e drogate, sono impossibili da calcolare, ma sono enormi.

Nel Sud, coloro che lavorano nell’agricoltura mecanizzata, ora stanno molto meglio di prima, cosi’ come gli Scozzesi  rimasti ad allevare pecore Cheviot in Scozia, stavano meglio degli agricoltori Scozzesi prima che le questa nuova razza di pecore fosse importata dall’Inghilterra. Gli agricoltori lavorano meno ore e hanno lavori meno faticosi. La raccolta del cotone e’ un lavoro miserabile, se fatto a mano; guidare una macchina raccoglitrice di cotone, invece, e’ un mestiere molto meno faticoso. Se non fosse per la conseguenza dei molti lavoratori sconfitti dalle nuove tecnologie, questa sarebbe una storia a lieto fine. Ma la rivoluzione tecnologica nell’agricoltura del Sud fu generata dall’esterno e fu vulnerabile a forze esterne che generarono conseguenze impreviste. Continua…

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Lo spopolamento delle Highlands Scozzesi

Posted by janejacobs su aprile 10, 2008

Una minaccia per l’uomo delle Highlands

Nelle aree metropolitane, l’aumento della produttività dei lavoratori agricoli dipende dal fatto che tali lavoratori abbandonano la terra per altre occupazioni. Nelle regioni agricole lontane dalle aree metropolitane e che mancano di economie in grado di rimpiazzare le importazioni, l’aumento della produttività non ha nulla a che vedere con la ricerca di nuove occupazioni, ma ha a che fare con un aumento della poverta’ causata dalla disoccupazione.

I principi economici che operano in queste economie bizzarre e sbilanciate possono essere illustrati dallo Spopolamento delle Highlands Scozzesi, che inizio’ nel 1792, duro’ circa mezzo secolo e trasformo’ una regione poverissima che forniva agricoltura per la sussistenza in una regione meno povera che forniva beni primari destinati all’esportazione. Lo strumento che porto’ a questo cambiamento fu una nuova razza di pecora.

Prima che le campagne scozzesi venissero spopolate per far posto a queste nuove pecore, gli Scozzesi allevavano nelle loro fattorie pecore poco piu’ grandi di cani, con una lana sottile di poco uso per le industrie tessili delle citta’. Le pecore erano magre e non avevano cibo a sufficienza, perche’ gli Scozzesi utilizzavano di ogni metro quadro della loro arida terra per produrre cibo per se’ stessi. Le creature che finirono per rimpiazzare queste pecore, e gran parte degli abitanti delle Highlands Scozzesi, erano state create attraverso una serie di incroci da un allevatore Inglese.

Il prodotto di tali incroci si chiamava Cheviot; nel 1790 la Cheviot fu introdotta in via sperimentale nelle Highlands per vedere se sarebbero sopravvissute al rigido clima scozzese. L’esperimento ebbe successo. Ne risulto’ che la Societa’ della Lana Britannica, un’organizzazione dominata dai mercanti di lana di Londra e dai grandi allevatori Inglesi, offri’ di fornire greggi di Cheviot a un prezzo di favore a tutti i pastori Scozzesi “che avessero un carattere attivo e intelligente”. Secondo John Prebble uno storico Canadese di origine Scozzese, c’erano “abbastanza pastori Scozzesi, che vedevano se stessi in questa descrizione”. Inoltre, molti di questi pastori erano talmente poveri da non poter dire di no ad un’offerta cosi’ vantaggiosa.

L’allevamento delle Cheviot richiedeva molta manodopera in meno rispetto all’allevamento delle tradizionali pecore scozzesi. Pertanto, i pastori scozzesi dediti all’allevamento delle pecore tradizionali e le loro famiglie, che traevano sostentamento da esse, non solo non erano piu’ necessari all’allevamento delle Cheviot, ma davano fastidio. Gli Inglesi pertanto decisero di spopolare tali terre, e lo fecero con metodi brutali, cacciando dalle loro terre uomini, donne e bambini utilizzando forze di polizia e soldati. Dove fosse necessario, gli Inglesi usarono manganelli, baionette, arrivando ad appiccare fuoco alle case dei pastori. Anche se tali nefandezze sono lontane nel tempo, le colline tutt’oggi restano deserte e Edimburgo e Glasgow restano le capitali di spopolate.

Sir John Sinclair, il primo Scozzese a portare la Cheviot nelle Highlands Scozzesi, imploro’ le autorita’ di non procedere allo spopolamento delle Highlands con tale brutalita’. Egli aveva previsto uno spopolamento piu’ graduale e gentile. Il suo piano era di incoraggiare i piccoli proprietari terrieri ad unire le loro terre, formare cooperative di acquisto ed allevamento delle nuove pecore. Lo storico Canadese Prebble sostiene che questa alternativa venne ignorata vista l’ignoranza e la disorganizzazione degli uomini dei clan delle Highlands, e visto il morale degli stessi pastori, che erano gia’ stati sconfitti nelle rivolte del 1745 e che avevano in seguito subito una brutale occupazione nella loro economia povera e obsoleta.

Se il piano di Sir John Sinclair fosse stato adottato, lo spopolamento delle Higlands Scozzesi sarebbe avvenuto probabilmente in maniera piu’ graduale e piu’ umana. Ma tale spopolamento sarebbe comunque avvenuto. Le cooperative di allevamento delle nuove pecore avrebbero comunque avuto bisogno di meno manodopera e avrebbero avuto bisogno dipiu’ terre per i pascoli. La nuova razza di pecore richiedeva lo spopolamento delle Highlands, indipendentemente da chi possedesse le nuove pecore e indipendentemente da chi ricevesse i profitti di tale allevamento. La poca gente rimasta nelle Highlands se la passo’ meglio di quelli che vi abitarono prima dello spopolamento. I pastori ricevevano maggiori profitti, avevano redditi piu’  sicuri e non vivevano costantemente con la minaccia delle fame. Se focalizziamo la nostra attenzione sull’economia della regione, possiamo concludere che tutto sommato la regione ne ha guadagnato, perche’ la produttivita’ e’ aumentata e con essa la ricchezza.

Ma se pensiamo alle disgrazie causate alle persone che abitavano le Highland sprima dello spopolamento, la loro ricchezza non era aumentata, ma era diminuita. Molti morirono di fame, malattie e altre disgrazie che accompagnarono lo sfratto dalle loro case. Alcuni Highlanders emigrarono nelle citta’ piu’ vicine, Glasgow ed Edimburgo, ma Glasgow ed Edimburgo erano anch’esse citta’ piuttosto povere con un’economia stagnante. Esse potevano offrire solo poverta’ e disoccupazione nei loro poveri sobborghi, dove i tassi di tubercolosi, a quell’epoca, erano i piu’ alti del mondo. Alcuni emigrarono a Londra. Altri emigrarono nell’Ulster, nell’Irlanda del Nord, aggiungendosi agli Scozzesi che erano stati deportati dalle autorita’ Inglesi durante le deportazioni del diciassettesimo secolo, spodestando le terre degli Irlandesi. Altri ancora furono assorbiti dai reggimenti degli Highlanders nell’esercito Britannico, in cui si distinsero per le conquiste in India. Alcuni furono venduti dai loro clan come servi nelle piantagioni di cotone delle Indie Occidentali e della Carolina del Sud, dove gli Scozzesi erano apprezzarti come supervisori di schiavi Africani. Molti emigrarono in Canada, specialmente nelle Nuova Scozia (nomen omen), dove in quelle terre iniziarono un’agricoltura di sussistenza e dove aggiunsero in breve tempo l’allevamento delle pecore alla coltivazione del grano.Nel tempo, gli Scozzesi e gli immigrati Tory del New England che abbandonarono le colonie Americane dopo la Rivoluzione aiutarono ad espropriare delle loro terre gli Acadi Francesi, i quali naturalmente avevano precedentemente espropriato gli Indiani d’America. In tutte queste emigrazioni e dislocazioni, i lavori cittadini non ebbero alcun ruolo.

L’enorme differenza tra lo spopolamento di una nazione povera come la Scozia e una nazione ricca come gli Stati Uniti d’America e’ questa:

Le nazioni ricche possono permettersi di fare l’elemosina.

Ma a parte questa differenza, le conseguenze del bizzarro sbilanciamento  tra il miglioramento della produttivita’ agricola e la disponibilita’ di stili di vita alternativi nelle citta’ non sono molto diverse fra regioni ricche e regioni povere. Continua…

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Pane e cioccolata

Posted by janejacobs su aprile 8, 2008

Il film Pane e Cioccolata descrive la solitudine, la discriminazione, lo sfruttamento, i lavori umili e i traumi culturali a cui andavano incontro gli emigrati Italiani nelle citta’ Svizzere. Ad un certo punto del film, uno dei protagonisti Italiani, arrabbiato per la sua condizione, inveisce contro la propria vita, ma non ce l’ha Svizzera, bensi’ contro l’Italia che costringe i propri cittadini ad emigrare. Tuttavia per molte generazioni, le citta’ di Milano, Firenze, Bologna e le grandi reti di citta’ e cittadine che si sovrappongono l’una con l’altra hanno saputo attrarre un gran numero di emigrati meridionali e Siciliani che cercavano di sfuggire alla poverta’ delle loro terre e hanno fornito loro delle opportunita’ che non avevano nelle loro terre.

Questo problema non puo’ essere descritto in termini nazionali, o come una carenza dell’economia nazionale Italiana, ne’ tanto meno come un problema che l’Unione Europea possa risolvere. Pensare a questo problema in chiave nazionale offusca semplicemente la realta’ che il Mezzogiorno e la Sicilia, cosi’ come il Galles e la Vallonia, mancano di citta’ vigorose che sappiano rimpiazzare le importazioni da se’.

Quando comprenderemo questo fenomeno in un numero sufficiente di persone faremo un passo avanti indispensabile per la sua risoluzione, anche se una simile risoluzione non e’ semplice ed immediata. Sapremo almeno capire quali sono i rimedi che non risolvono il problema e come non si debba perdere tempo ad affrontare tali problemi in una prospettiva nazionale che e’ completamente sbagliata. Il tempo scorre e le economie in profonda stagnazione continuano a peggiorare.

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E’ difficile tornarsene a casa

Posted by janejacobs su aprile 8, 2008

I lavoratori emigrati di molte regioni povere sognano di aprire delle imprese una volta tornati al loro paese d’origine. Raramente simili progetti vengono messi in atto, quasi sempre falliscono. Un Egiziano che lavorava in un ufficio di inserimento sociale per immigrati a Rotterdam e che segue appassionatamente le vicende degli immigrati stranieri in quella citta’, dice che anche imprese piuttosto semplici come guidare un taxi o aprire un piccolo negozio di verdure nel Paese d’origine si tramuta spesso in un’esperienza fallimentare.

Il taxi, comprato con i risparmi accumulati in una vita di lavoro a Rotterdam, inizia ad operare nei villaggi del Sud Europa o dell’Africa Settentrionale dai quali gli emigranti provengono, l’emigrato inizia a lavorare. Poi ad un certo punto, l’auto si rompe ed ha bisogno di un pezzo di ricambio e di essere riparato, e al momento della rottura, il taxista non ha guadagnato abbastanza per pagarsi la riparazione. Il negozio di verdure fallisce. Il problema e’ che le economie rurali da cui questi ambiziosi emigranti provengono e alle quali ritornano con nuove idee, sono spesso troppo stagnanti ed inflessibili per far posto a nuove imprese e a nuove attivita’. Le forze che causano l’espansione economica non toccano questi posti.

I soli sogni che riescono a realizzarsi, dice il nostro amico Egiziano, sono i sogni degli agricoltori che vogliono lavorare la terra con nuove macchine, ad esempio con i trattori. Gli emigranti che tornano a casa e che hanno comprato trattori con i loro risparmi spesso guadagnano abbastanza per giustificare il loro investimento coltivando prodotti agricoli per i lontatni mercati cittadini. Ma i trattori creano disoccupazione per i contadini che usano vecchi metodi manuali e li portano a cercare lavori in citta’ lontane come Rotterdam.

Continua…

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Napizaro

Posted by janejacobs su aprile 8, 2008

Nel Nord del Messico, a circa 400 miglia da Citta’ del Messico, si trova un paese chiamato Napizaro. Per circa quarant’anni, Napizaro riceveva sussidi dai suoi emigranti. Quasi tutti gli abitanti di Napizaro lavoravano nel settore agricolo, e molti di loro lavorano ancora nei campi; per lo piu’, i prodotti agricoli servono a sostentare gli abitanti del villaggio. Le famiglie dei contadini erano chiamati in quella zona morosos, i senza speranza. Per loro, la vita e’ davvero dura. Ma circa un paio di generazioni fa, nella vita del villaggio di Napizaro, e’ arrivata una novita’: la promessa di un nuovo lavoro negli Stati Uniti. Anche se al lavoro negli USA ci si arriva per vie illegali, le prospettive di una vita meno dura sono troppo promettenti. Cosi’ molti abitanti di Napizaro si sono trasferiti a Houston e a Los Angeles; oggi, l’economia di Napizaro dipende da quella di Los Angeles.

Napizaro e’ diventato un villaggio prospero, come lo sono diventati altri villaggi nella zona. I milleduecento abitanti del villaggio vivono per la maggior parte in comode casette in mattoni con graziosi giardini e antenne per la televisione. Le strade del paese hanno illuminazione elettrica, una piccola infermeria, un centro comunale ed una piccola arena per i tori chiamata il North Hollywood in onore dell’area industriale di Los Angeles che si trova a piu’ di mille miglia di distanza e da cui dipende il benessere di Napizaro.

Piu’ di tre quarti degli uomini del villaggio lavorano a North Hollywood. Nonostante le sue comodita’, Napizaro e’ un paese triste dove i mariti lasciano le mogli per lunghi anni a vivere vite sole e desolate. Dal momento che gli uomini di Napizaro non possono permettersi di lasciare il lavoro per lungo tempo e non possono permettersi i soldi per il viaggio, i lavoratori di Napizaro sono lontani dal loro villaggio per anni interi. I soldi che inviano a casa hanno un potere d’acquisto molto maggiore di quello che avrebbero a Los Angeles. Nel 1980, una casa in mattoni costa circa $6,000 e comprende per lo piu’ i costi dei materiali importati perche’ gli abitanti si costruiscono da se’ le case e perche’ la manodopera costa poco. A Los Angeles, una casa del genere costerebbe dieci volte tanto, senza contare il costo del terreno su cui costruire la casa. L’illuminazione di Napizaro, l’infermeria e l’arena del villaggio venivano finanziate dagli uomini di North Hollywood, che si auto-tassavano i loro salari per costruire queste opere pubbliche. Quando la piccola arena fu terminata, gli uomini misero parte dei loro salari in un fondo per comprare tubature, pompe e altre attrezzature per fornire il villaggio di un sistema fognario.

Quando i giovani maschi di Napizaro raggiungono i 16 anni, gli viene loro fornito un corso di orientamento su cosa li aspetta nelle fabbriche di Los Angeles. Il corso viene impartito da un uomo anziano in pensione, che ha lavorato a Los Angeles per decenni. Gli emigrati si preoccupano di trovare lavoro ai loro figli, fratelli e compaesani nella grande citta’. Una delle imprese che assume il maggior numero di loro e’ stata fondata da un emigrante di Napizaro.

Naturalmente, gli uomini di Napizaro hanno pensato di fondare fattorie nel loro paese d’origine, un’idea che ha senso viste le capacita’ degli abitanti del villaggio nel produrre, gestire, organizzare formare nuovi operai e curare i rapporti con i clienti in un’impresa tessile. Ma hanno, loro malgrado, dovuto abbandonare l’idea, perche’ un’impresa tessile non potrebbe sopravvivere. Le competenze e l’esperienza che gli uomini di Napizaro hanno conquistato a Los Angeles sono utili solo nel contesto di una dinamica economia cittadina con i suoi nidi simbiotici di fornitori, con i suoi mercati, non nella terra isolata di Napizaro. Tale isolamento fa si’ che i lavoratori di Napizaro se ne vadano cosi’ lontano a cercare lavoro , perche’ e’ per loro impossibile trovare lavoro vicino a casa.

Citta’ del Messico, sebbene piu’ vicina di Los Angeles non e’ abbastanza vicina da attrarre gli abitanti di Napizaro. Pertanto, Citta’ del Messico e’ come se fosse piu’ lontana di Los Angeles, perche’ la sua energia economica.

Dopo che per quarant’anni i lavoratori di North Hollywood provenienti da Napizaro hanno inviato soldi a casa, il villaggio e’ fiorito, e’ diventato prospero ed i soldi sono stati usati con parsimonia ed intelligenza; tuttavia, se il flusso di rimesse dei lavoratori emigrati dovesse interrompersi, Napizaro tornerebbe alla condizione di estrema poverta’ in cui si trovava prima che i suoi abitanti iniziassero ad emigrare e a inviare soldi al paese. Piu’ probabilmente, sarebbe la gente del paese che abbandonerebbe del tutto il villaggio. Nonostante i soldi inviati da Los Angeles e le televisioni e gli altri beni di consumo importati dagli Stati Uniti, la vita economica della regione resta immobile, come nel paese di Bardou.  Continua…

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Emigranti

Posted by janejacobs su aprile 8, 2008

 

Dal 1921, il Galles ha perduto un terzo della sua popolazione. La campagna del Galles e’ punteggiata da fattorie; i campi non vengono piu’ utilizzati, anche se un tempo i giardini e i cereali crescevano e le pecore pascolavano. Interi villaggi erano svaniti, gli edifici crollavano, bruciavano o si afflosciavano, mangiati dalle tarme e dai topi, le loro tracce potrebbero essere utili agli archeologi del futuro che riscopriranno la zona e si si chiederanno cosa accadde alle campagne del Galles. La campagna del Galles si svuoto’ perche’ si nutriva della poverta’ e della struttura di mercato produttore di beni agricoli. Cardiff, la capitale del Galles era una citta’ inerte, non offriva molte opportunita’, e cosi’ la maggior parte dei gallesi che voleva una vita migliore lasciava il Galles.
Allo stesso modo, buona parte della Sicilia  della Spagna  che avevano un tempo aree densamente popolate, ora sono semi-deserte. Anche molte zone del Canada e degli Stati Uniti hanno zone di emigrazione, in particolare il Nord dello Stato del New Jeresey, hanno avuto nella loro storia molti giovani che lasciavano la loro terra in cerca di una vita migliore, il piu’ della volte a Manhattan.
La differenza tra regioni stagnanti che perdono popolazione e regioni stagnanti dove la gente rimane e’ che certe persone pensano di poter trovare una vita migliore, sta nella possibilita’ della gente di andarsene dal Paese d’origine.
Se e’ stato possibile per i Gallesi, per i Siciliani, per gli Spagnoli e gli abitanti del New Jersey abbandonare la propria terra per Londra, Milano, Madrid e Manhattan, non e’ stato lo stesso per gli abitanti di Haiti o dell’Etiopia. Ad Haiti, la gente non riesce ad andarsene. In Etiopia, uno dei Paesi piu’ poveri al mondo, quasi nessuno lascia il Paese, perche’ i poveri non hanno posti dove andare. e non hanno i mezzi per andarsene. Lo stesso vale per la gente di tutte quelle regioni che non ha i mezzi per andarsene in molte parti dell’America Latina, dell’India, del Medio Oriente e dell’Africa. Se la gente di tutte le regioni povere del mondo avesse accesso ai lavori delle citta’, vi si trasferirebbero in massa, non importa quanto distanti siano le citta’.
Questo non vuol dire che le persone che vivono in regioni con economie stagnanti abbiano poco attaccamento alla loro terra o che amino emigrare. Lasciare una cultura familiare per una cultura straniera e lontana dovendo lasciare famiglia e persone care e’ sempre difficile. Ma spesso si prende questo rischio per sfuggire alla poverta’e alla mancanza di opportunita’ di lavoro nella propria terra d’origine.
Quello che mi interessa in questa sezione, non e’ la destinazione degli emigranti, ma le regioni da cui provengono e cosa ha spinto gli emigranti a lasciare tali regioni. Il fatto piu’ sconvolgente e’ che l’abbandono non ha particolari effetti sulle economie stagnanti – se non il ridurre la loro dimensione. Prendiamo il vecchio esempio del villaggio di Bardou. Per quasi settant’anni la gente se ne e’ andata da questo piccolo villaggio per emigrare a Parigi. Mentre la popolazione diminuiva, cosi’ diminuiva anche la dimensione dell’economia di Bardou, ma null’altro mutava. Naturalmente, la gente che arrivo’ a Parigi muto’ radicalmente la propria condizione economica, ma quelli che restavano al villaggio rimanevano nella solita e familiare condizione di poverta’.
Anche nel Galles agricolo, quelli che rimanevano restavano poveri, indipendentemente da quello che facessero i loro vicini; i vicini che se ne andavano non creavano maggiori opportunita’, ma lasciavano una minore crescita economica dietro di se’ per un futuro migliore. Ecco perche’ continuavano ad andarsene. La Sicilia, per tutte le fattorie ed i villaggi spopolati, rimane povera e con un’alta disoccupazione. Quando le regioni abbandonate dagli emigranti tornano a rifiorire economicamente, lo si deve a ragioni diverse dallo spopolamento, ragioni come quelle che hanno portato gli attuali abitanti del vilaggio di Bardou.
Ritengo che le sole forze in grado di trasformare un’economia regionale siano le cinque forze di cui ho parlato in precedenza che hanno origine nelle citta; in grado di rimpiazzare le importazioni: i i mercati, il lavoro, la tecnologi, gli impianti produttivi ed il capitale; ed e’ quando una di queste zone raggiunge una forza sporoporzionata in regioni distanti quella mancanza di citta’ che rimpiazzano le importazioni, che si raggiungono risultati sbilanciati e bizzarri. Nel caso delle regioni di emigrazione, la forza sproporzionata e’ quella dell’attrazione dei lavori della citta’. Questa forza puo’ spopolare una regione, ma non puo’ trasformarne l’economia.
Gli emigranti di regioni abbandonate spesso mandano soldi a casa dai loro lontani lavori cittadini, e gli emigranti a tempo determinato, quando tornano, spesso riportano a casa i loro risparmi. Negli ultimi trent’anni (*). decine di milioni di lavoratori hanno lasciato poveri villaggi nelle economie stagnanti di Egitto, Turchia, Italia, Grecia, Iugoslavia, Marocco, Algeria, Spagna, Portogallo e delle Azzore per lavorare a contratto nelle citta’ e nelle aree metropolitane delle regioni del Nord Europa. Molti hanno famiglia nel paese d’origine. In totale, le rimesse che spediscono a casa sono ingenti. In Turchia ed in Yugoslavia, ad esempio, gli emigranti hanno contribuito con le loro rimesse a tal punto da essere stati la principale fonte di valuta straniera, eccedendo quello che quei paesi guadagnavano dalle esportazioni e dal turismo. Tuttavia, quando i lavoratori tornavano al paese d’origine, non trovavano una situazione economica migliore. Nel 1974, quando la disoccupazione aumento’ in maniera notevole in tutto il Nord Europa per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, e un gran numero di immigrati furono licenziati e tornarono ai loro paesi d’origine – mezzo milione solo nella Germania Occidentale – i lavoratori che tornavano al paesello trovavano la medesima disoccupazione e poverta’ da cui erano scappati. La stessa situazione la trovarono quando un’altra crisi colpi’ i Paesi del Nord Europa sei anni dopo.
Si potrebbe pensare che almento i redditi ricevuti dalle rimesse avrebbe cambiato le loro economie, forse le avrebbe rimesse sulla rotta dello sviluppo, ma questo non avviene nella vita reale. Le rimesse alleviano la poverta’ delle regioni abbandonate, cosi; come ogni trasferimento dalle regioni ricche alle regioni povere. I soldi vengono usati per comprare beni importati di cui si potrebbe forse fare a meno, questo e’ tutto quello che le rimesse generano.La perdita delle rimesse dei lavoratori lontani ha imposta austerità in Iugoslavia (*)e ha anche giocato un ruolo fondamentale nella sua crisi finanziaria. Tuttavia, anche se le rimesse erano abbastanza grandi da fare tali differenze, non fecero nulla per convertire la stagnazione in sviluppo. Continua…

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Imperialismo e sussidi

Posted by janejacobs su aprile 7, 2008

La struttura economica della Sardegna e della Nuova Zelanda stanno dietro ai loro problemi attuali, ma fra i paesi moderni, la piaga maggiore si e’ sviluppata in Francia. Anche se la Francia sembrerebbe avere molte citta’, in reata’ ne ha solo una che e’ in grado di rimpiazzare le importazioni: Parigi. La maggior parte delle campagne Francesi consiste in regioni produttrici di beni primari incapaci di realizzare una crescita economica autonoma. Per proteggere le regioni agricole Francesi (e di altre regioni Europee), l’Unione Europea ha introdotto dazi per evitare che la competizione internazionale li spazzi via. Se l’Unione Europea non proteggesse queste regioni, dovrebbe fornire aiuti economici ancora maggiori. I sussidi agricoli rappresentano circa un terzo del budget dell’Unione Europea. L’Uruguay  fu una delle prime vittime delle tariffe dell’Unione Europea e degli accordi di mercato che favorivano le regioni agricole della Francia. La Nuova Zelanda e’ stata vitima dell’Unione Europea in seguito perche’ il suo mercato principale per la carne era la Gran Bretagna e la Gran Bretagna si uni’ all’Unione Europea nel 1973. Il fatto che tali accordi politici avessero degli effetti cosi’ devastanti su ralcune egioni agricole dimostra che troppe regioni agricole sono alla ricerca degli stessi vigorosi (ma scarsi) mercati  cittadini.

Negli Stati Uniti, il piu’ grande mercato di esportazioni agricole e’ quello dela soia, un bene per lo piu’ destinato ai mercati delle citta’ Giapponesi. Nel 1970, il Governo Americano noto’ che che il consumo Americano di olii vegetali negli Stati Uniti stava crollando e che gli Stati Uniti importavano olio di palma. Pertanto, il Governo USA restrisse le importazioni di olio di palma proveniente dalla Malesia dall’Africa, e minaccio’ tali paesi di interrompere i prestiti al Terzo Mondo se avessero promosso sussidi all’olio di palma. Nel riportare questa situazione, il Wall Street Journal commento’: “Ma se i produttori di semi di soia sono preoccupati della concorrenza estera, dovrebbero diversificare la loro produzione producendo semi di soia.”

“I Paesi Poveri“, continuava il Journal, “dipendono dalle esportazioni di al massimo tre beni primari per la maggior parte delle loro esportazioni, e hanno bisogno di queste esportazioni per pagare per le loro importazioni, ma questo ragionamento non viene apprezzato negli Stani Uniti.” Al contrario, questo ragionamento era apprezzato negli Stati Uniti. Questo era esattamente il ragionamento degli agricoltori delle regioni Americane produttrici di cotone, mais, frumento quando diversificavano la loro produzione di olii vegetali aggiungevano la produzione della soia. Di solito, tendiamo a non accomunare il ruolo di regioni produttrici di beni primari nelle nazioni ricche a quelli delle nazioni povere, ma qualche volta, queste similitudini vengono alla luce e non possiamo trascurare il fatto che tutte le regioni produttrici di beni agricoli hanno le stesse esigenze, sia che esse siano nei confini dell’Unione Europea o degli USA o dell’Africa.

Se aggiungiamo le minacce a cui le economie scarsamente diversificate delle regioni fornitrici di beni primari sono soggette, possiamo parlare di “poverta’ comparativa”. Nel corso della storia, con lo svilupparsi di citta’ e produttori distanti, le importazioni per le regioni produttrici di beni primari diventano piu’ complesse, diversificate e costose. Le esportazioni delle regioni fornitrici di beni primari che bastavano per comprare semplici utensili, aratri o articoli artigianali e decorativi non bastano a comprare  computer, camion ed ascensori meccanici. Questo tipo di poverta’ comparativa striscia insidiosamente anche nelle regioni produttrici di beni primari di Europa e Stati Uniti.

Le regioni produttrici di beni primari sono state definite anche economie coloniali. Le potenze coloniali hanno generalmente modellato le economie dei territori conquistati in regioni produttrici di beni primari. Spesso pero’, hanno anche instillato fabbriche produttrici di beni con l’intenzione di forzare tali mercati a comprare materie prime provenienti da altre regioni controllate dalle stesse potenze coloniali.

Qui sotto forniro’ un esempio di trasformazione economica operata dalla Francia in Indocina, come venne descritto da Frances Fitzgerald in Fuoco nel Lago:

La Francia dovette dapprima trasformare un’economia di sussitenza per i contadini ed i proprietari terrieri Vietnamiti in un’economia che produceva beni per esportazioni nei mercati internazionali. Data la particolare geografia del Paese, le nuove imprese fondate dai Francesi erano per lo piu’ grandi piantagioni e miniere per estrarre i ricchi depositi di carbone, zinco e latta. Per incoraggiare e supportare l’emigrazione in Vietnam di colonialisti ed imprenditori Francesi, l’amministrazione Francese costrui’ strade, canali, ferrovie che collegassero l’entroterra del Vietnam ai porti delle grandi rotte navali asiateiche. Queste infrastrutture beneficiavano quasi esclusivamente i Francesi, ma gli ufficiali Francesi le finanziavano con un aumento delle tasse sulla popolazione locale.

Le tasse venivano estratte secondo i metodi del fisco Francese in moneta anziche’ econdo la tradizione Vietnamita che esigeva imposte pagate in prodotti agricoli. I Francesi avevano anche stabilito monopoli sul commercio di fiammiferi, alcool, oppio, ed i prezzi di questi beni erano aumentati fino a sei volte. La combinazione dell’aumento dei prezzi e delle tasse aumento’ notevolmente il numero di disoccupati in cerca di lavoro malpagato nei terreni agricoli e nelle miniere.

Quando i minatori Canadesi nelle regioni minerarie si lamentano di venire trattati come in “un’economia coloniale”, non vogliono dire dire che sono dissanguati come i Vietnamiti sotto i Francesi. Essi non finanziano le grandi infrastrutture del Canada; al contrario sono le citta’ Canadesi e non le regioni minerarie ed agricole a pagare la grande maggioranza delle spese infrastrutturali. Ne’ tantomeno i minatori vogliono dire che vedono un pericolo per le loro esportazioni in mercati lontani. Al contrario questo e’ il motivo per cui i lavoratori si rammaricano maggiormente quando pensano ad un’economia “colonialista”.

Il problema nel chiamare “colonie” tutte le regioni produttrici di beni primari rende il termine troppo generico e troppo “ottimistico”. L’ottimismo della parola “colonie” implica che se un ipotetico dominatore coloniale venisse cacciato, un’economia non diversificata si diversificherebbe, migliorerebbe e diventerebbe capace di produrre piu’ beni e di diversificarsi senza importare tali beni dagli altri.

A dire il vero, ci sono spesso ottime ragioni per cacciare dominatori coloniali: queste ragioni sono politiche, sociali, culturali ed emotive e qualche volta sono anche economiche. Tuttavia, la debolezza delle regioni produttrici di beni primari non puo’ semplicemente essere corretta eliminando l’aggettivo “coloniale”.

Quando Fidel Castro libero’ Cuba dagli Americani, non libero’ Cuba dalla servitu’ dei mercati della canna da zucchero.

Molte regioni fornitrici di beni primari, scivolano lentamente verso il collasso finanziario.

I giornali locali di Grand Cache, una cittadina di minatori dell’Alberta esultavano perche’ dieci imprese Giapponesi decisero di importare carbone da quelle miniere e il contratto avrebbe dato a quella citta’ altri due anni di vita, altrimenti i 4,000 abitanti di quella citta’ avrebbero dovuto emigrare in massa.

Nelle economie produttrici di beni primari, ci sono sempre consulenti del lavoro ed altri simili intellettuali pronti a suddividere il lavoro su scala regionale o internazionale. Essi sostengono che la specializzazione del lavoro migliori le condizioni di arretratezza di un’economia. Questo ragionamento implica che il risultato di essere efficienti e’ causa di se’ stesso. E’ come dire che la pioggia fa bene alle piante ed e’ per questo che piove. Le forze economiche che causano il rimpiazzo delle importazioni modellano la vita economica delle citta’ e quando le importazoni non vengono rimpiazzate ne risultano regioni specializzate. Le regioni produttrici di beni primari continuano ad esistere perche’ le cinque forze delle citta’ non sono armoniose.

Lo storico Tunisino Ibn Khaldun racconta che nel 1381i Beduini del deserto vendevano animali e granaglie alla gente delle citta’ costiere della Tunisia e ne diventavano economicamente dipendenti. Secondo Khaldun, questo fenomeno avveniva perche’ i Beduini restavano nel deserto e non raggiungevano il controllo delle citta’. Questo a mio avviso e’ vero fino a un certo punto. Infatti, i Beduini avrebbero potuto risolvere i loro probemi creando una citta’ da se’.

Le economie fornitrici di beni primari non sono mai autosufficienti. Questo e’ il motivo per cui sono povere e perche’ ricevono sussidi. I beni primari spesso sono prodotti in modo efficiente. Ma questo non significa che tali economie sono efficienti.

Un’economia che contiene solo poche nicchie di persone con diverse competenze, interessi ed idee non e’ efficiente.

Un’economia che non ha risorse e che non si adatta non e’ efficiente.

Un’economia che soddisfa solo pochi dei bisogni della propria gente e delle proprie imprese non e’ efficiente.

Anche quando le regioni produttrici di materie prime diventano efficientissime, le citta’ spesso sono troppo distanti e non hanno abbastanza potere per “raddrizzarle”. Storicamente, molte regioni produttrici di beni primari sono state in grado di rimpiazzare le importazioni. Hong Kong, Seoul e Singapore – non Montevideo e Havana – sono riuscite a superare le loro funzioni precedentemente limitate di centri amministrativi e distributivi di beni primari e diventare delle vere e proprie citta’.

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Dai formaggi Sardi alle pecore della Nuova Zelanda

Posted by janejacobs su aprile 4, 2008

Nella storia, i mercati cittadini hanno da sempre attinto forniture da regioni lontane che fornivano beni primari. Tale caratteristica era presente anche prima delle moderne forme di trasporto, di industria e di prodotti di conumo.

Ad esempio, nel tardo Medio Evo, la Sardegna esportava il suo formaggio in tutte le citta’ d’Europa: nient’altro che formaggio. Ovviamente, le lontane citta’ Europee erano molto selettive ed esigenti nel saggiare la qualita’ dei formaggi Sardi. Nel periodo rinascimentale, molte regioni della Polonia fornivano frumento, segale e legname a moltissime citta’ dell’Europa Centro Settentrionale, ma non fornivano null’altro. Le Isole Canarie fornivano canna da zucchero a tutte le citta’ Europee, ma null’altro. Le Canarie erano il prototipo delle Isole dello Zucchero dei Caraibi delle Indie Occidentali. Piu’ indietro nel tempo, le citta’ Etrusche dell’Italia Settentrionale, e dopo di loro la Repubblica di Roma, non volevano altro dall’Isola d’Elba se non il suo ferro. Alcuni ricorderanno il villaggio di Bardou al quale i mercati dell’antichita’ richiedevano solo ferro e nient’altro che ferro e lo volevano con tale insistenza da costruire splendide strade che sono durate per duemila anni. Non sto elencando questi esempi perche’ sono delle curiosita’, ma perche’ rappresentano con precisione esempi storici dei regioni fornitrici di beni primari.

Negli anni piu’ recenti, la Zambia fornisce rame a moltissimi mercati lontani, ma non fornisce altro che rame. La Nuova Zelanda fornisce formaggio, burro, carne e lana, ma poco altro. Lo stesso vale per alcune regioni del Canada (New Brunswick e Saskatchewan) e  dell’Inghilterra (Galles). Negli Stati Uniti, l’Appalachia ha fornito poco altro che carbone anche se da poco il mercato di Hong Kong ha iniziato ad interessarsi del ginseng prodotto in Appalachia, un mercato che vale $30 milioni all’anno (*), niente male per un paese poverissimo di minatori che si spaccano la schiena in miniera. Ma Hong Kong vuole solo in ginseng dell’Appalachia e nient’altro. Tutto il mondo compra petrolio dll’Arabia Saudita e dal Kuwait e nient’altro che petrolio. Non c’e’ altro che le citta’ del mondo vogliono da questi paesi, cosi’ come dal Centro e dal Sud della Scozia non vogliono altro che Whiskey.

Spesso l’azione unita di molti mercati di sbocco per le nazioni che producono matere prime, agendo come un unico mercato, e’ nascosto dietro il potere politico o commerciale di una singola citta’; ma quando tante citta’ vogliono da una regione una cosa sola, e’ come se il mercato di sbocco fosse quello di una sola citta’. Hong Kong non consuma tutto il ginseng che importa. Anche se il frumento, la segale ed il legname della vecchia Polonia venivano distribuiti a decine di citta’ Europee, la maggior parte delle vendite veniva fatta ad Amsterdam. Quello era dovuto al fatto che i prezzi erano fissati ad Amsterdam e molte delle consegne venivano organizzate ad Amsterdam, e questo era dovuto al fatto che i mercanti di Amsterdam avevano creato questo commercio e avevano mantenuto la loro presa su di esso quando si aprivano nuovi mercati.I mercanti di Lisbona maneggiavano tutto il commercio di zucchero proveniente dalle isole canarie, ma cio’ non vuoleva dire che gli abitanti di Lisbona consumasseo tutto lo zucchero delle Canarie o confezionassero caramelle per tutta l’Europa. Quando la Francia possedeva il Vietnam, la maggior parte del commercio dei beni esportati dal Vietnam era controllata da Parigi, ma lo zinco, la latta e la cannella del Vietnam arrivavano anche ai porti di Baltimora ed Amburgo.

Il fatto che la gente di Shinohata vendessero i loro bachi da seta a Tokyo – al tempo in cui Shinohata era solo una economia di esportazione di beni primari – non deve farci trascurare che i bachi arrivavano a Shinohata, Lione, New York e in molti altri posti che causavano la specializzazione degli abitanti di Shinohata nella produzione di bachi da seta. Il comercio di banane era controllato dal governo Spagnolo. “Dobbiamo vendere tutte le nostre banane a Madrid” dicevano i raccoglitori di banane dei Caraibi; Madrid poi procedeva a smistarle.

L’estrema specializzazione delle regioni fornitrici di beni primari fa si che l’esportazione in prototti a maggior valore aggiunto zoppichi. Le esportazioni del Canada, ad esempio, sono molto varie; ma tra le differenti vastissime regioni fornitrici di beni primari nel Canada, alcune sono iper specializzate. In Canada, le nuove regioni che offrono beni primari sono le piu’ prospere. Le regioni Atlantiche sono diventate povere nel corso del tempo e sarebbero anch’esse slittate in condizioni di paesi del Terzo Mondo , se non avessero ricevuto i sussidi dalle regioni ricche di Toronto e dalle altre citta’.

Con il passare del tempo le regioni che forniscono beni primari finiscono per impoverirsi. Una causa comune di tale imporverimento e’ lo sfruttamento eccessivo delle risorse: la Nuova Scozia ha subito uno sfruttamento eccessivo delle foreste e ha subito perdite irreversibile nella popolazione marina per la troppa pesca. La Sicilia, a causa dello sfruttamento eccessivo del suolo e della competizione con l’America, ha perso il suo ruolo di principale produttore Europeo di grano, un disastro dal quale non si e’ mai piu’ ripresa.

Nuovi prodotti sostitutivi sono una delle minacce che hanno contribuito al declino dell’Uruguay. Quando i produttori Americani hanno iniziato ad impacchettare il cemento in sacchetti di carta rinforzati con fibre artificiali anziche’ fibre naturali, e fertilizzanti e plastica, la Tanzania soffri’ enormemente per il declino dell’esportazioni di sisal, una fibra estratta dalle foglie dell’agave sisalana, il Bangladesh soffri’ per la cessazione del mercato della juta, e le Filippine per la perdita di esportazioni di canapa. Il nascere di nuovi prodotti e’ assolutamente necessaria alla vita’ economica; altrimenti il pianeta sarebbe stato distrutto dallo sfruttamento continuativo delle medesime risorse. Tuttavia, la sostituzione e’ un processo difficile per i produttori di pelli di balena, zinco, latta, lino, carbome, rame, ecc…

A patire dal 1970 la Nuova Zelanda ha perso mercati allo stesso modo in cui l’Uruguay  li perse nel 1950. Nel 1980, (*) le esportazioni della Nuova Zelanda compravano solo due terzi delle importazioni del 19730, e il reddito proveniente dall’agricoltura, su cui regge tutta l’economica della Nuova Zelanda, e’ scesa del 40%. Anche se la Nuova Zelanda e’ uno dei paesi con minore densita’ di popolazione, i Neo Zelandesi hanno incominciato ad emigrare. Lo slogan della Nuova Zelanda e’: “La fattoria piu’ efficiente del mondo”. Magari questo e’ vero, pero’ i Neo Zelandesi dovrebbero tener presente che l’Uruguay era stato la fattoria piu’ efficiente nel mondo negli anni 50, ma la sua economia e’ poi collassata. Continua…

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Il collasso dell’Uruguay

Posted by janejacobs su aprile 2, 2008

Mandria di vacche in Uruguay 

Le forze economiche di una citta’ si manifestano e si equilibrano all’interno delle aree metropolitane di cui abbiamo parlato in precendeza. Tali forze non i manifestano con pari forza ed equilibrio nelle regioni distanti. Quando le cinque forze economiche che definiscono una citta’ -mercati, lavoro, tecnologia, trasferimenti e capitale – si separano l’una dall’altra prendendo direzioni diverse,  le citta’ generano economie zoppicanti e bizzarre in ragioni distanti.

Le piu’ grottesche fra queste economie sono le regioni produttrici di beni primari. Queste regioni sono modellate in maniera sproporzionata da citta’ distanti. Le regioni produttrici di beni primari sono spesso povere , e quindi l’azzoppamento delle loro economie e’ spesso attribuito alla loro poverta’. Ma le mancanze di queste regioni vanno ricercate piu’ in profondita’ che nella semplice poverta’. In realta’ sono le mancanze di queste regioni a determinarne la poverta’.

L’Uruguay, ad esempio, era una regione produttrice di beni primari particolarmente ricca per molte generazioni. L’Uruguay fu per molto tempo un grande successo nel campo dell’allevamento di bestiame. Forniva carne, lana e cuoio a molte citta’ in Europa e produceva poco altro oltre a carne, lana e cuoio. Tuttavia, il Paese non mancava di nulla perche’ tutto quello che non produceva lo importava. L’Uruguay non era una citta’ di miseri paesani dominati da latifondisti. La maggior parte della popolazione era immigrata dall’Europa nella seconda meta’ del diciannovesimo secolo. Il Paese fu fondato da agricoltori che lavoravano duramente e con intelligenza su terreni fertili , utilizzando pochi dipendenti perche’ la manodopera era moto cara. A partire dal 1911 l’Uruguay costrui’ quello che probabilmente era lo stato sociale piu’ generoso dell’epoca, piu’ generoso della Scandinavia. In Uruguay non c’erano ricchezza e poverta’ estreme; l’educazione era accessibile a tutti fino all’Universita’; Montevideo, la capitale dell’Uruguay era una citta’ prospera dal punto di vista amministrativo, educativo, culturale ed era anche un centro di distribuzione ed un centro portuale. In Uruguay era facile trovare lavoro, si era ben pagati e si lavorava poco. Coloro che non raggiungevano l’educazione universitaria, potevano trovare lavoro negli uffici governativi, che assumevano piu’ personale di quanto ne avessero bisogno o nei centri di produzione della carne, nelle concerie, nell’edilizia o nei vari settori collegati all’importazione di prodotti importati dall’Europa.

L’Uruguay era definito la “Svizzera del Sud America“, un confronto che evocava le piccole dimensioni della nazione, le sue belle montagne, la sua stabilita’ e la sua democrazia. Naturalmente, tale sentimento patriottico non doveva essere proprio preso alla lettera, ma questo confronto e’ interessante perche’ e’ quanto di piu’ lontano dalla realta’ economica di quello che si possa immaginare. Basta riflettere un attimo su quanto limitata sarebbe stata l’economia Svizzera se gli Svizzeri si fossero limitati ad allevare vacche per esportarle in paesi lontani e avessero trascurato di sviluppare la loro economia in altre direzioni.

Negli anni 40 e 50, l’economia dell’Uruguay era in boom economico e le importazioni arrivavano in maniera sempre crescente. Per la maggior parte le importazioni erano beni di consumo. Fra i beni importati c’erano anche frigoriferi per il refrigeramento delle carni, impianti per il sollevamento delle carcasse delle vacche al’interno delle macellerie, coltelli, turbine, macchine a raggi x, posate e piatti per i ristoranti, carta, telefoni e le migliaia di altri beni che mantengono operativo il sistema di comunicazioni e trasporti, assieme agli ospedali, alle scuole, agli uffici governativi, ai teatri, alle fattorie e agli impianti di macellazione della carne.

Verso il 1953, le cose iniziarono ad andare storte per l’Uruguay. La produzione di carne e di lana nelle aree Europee travolte dalla guerra erano rifiorite. I paesi Europei, e in particolare la Francia volevano proteggere la loro economia dalla competizione, mentre gli allevatori dell’Australia e della Nuova Zelanda,  fra gli altri, cercavano di allrgare i propri mercati di sbocco con successo. Nel frattempo, prodotti sostitutivi della lana iniziavano a fare il loro ingresso sui mercati Europei e Americani.

I lontani mercati di sbocco per la carne, la lana e il cuoio dell’Uruguay, stavano riduendosi pericolosamente. L’Uruguay non poteva piu’ permettersi le importazioni che si era concesso negli anni precedenti. L’Uruguay doveva fare a meno di molti prodotti che fino ad ora aveva importato o doveva ottenere tali prodotti in modi diversi. Per ottenerli l’Uruguay avrebbe potuto sviluppare altri prodotti da esportare o rimpiazzare le importazioni, anziche’ importare praticamente ogni cosa. Dal momento che l’Uruguay non produceva praticamente nulla, era molto piu’ semplice per l’Uruguay spingere su esportazioni alternative che potevano essere richieste in mercati lontani. Il governo dell’Uruguay decise invece di spingere un programma di industrializzazione forzata, basato sulla costruzione di fabbriche che producessero dall’acciaio, ai tessuti, alle scarpe, all’elettronica.

Ne risulto’ un fiasco.

Quando queste fabbriche potevano produrre, i loro prodotti costavano molto di piu’ dei prodotti importati e la gente comprava comprava i prodotti importati perche’ non era poteva permettersi i prodotti domestici. Nel frattempo, la costruzione e la messa in opera delle fabbriche richiedeva ulteriori costose importazioni di macchinari e semilavorati. Il programma del governo dapprima esauri’ le proprie risorse, poi acquisto’ a credito i prodotti necessari per le fabbriche, poi divenne insolvente.

L’Uruguay fece bancarotta.

I governatori dell’Uruguay, non sapendo che il processo di rimpiazzo delle importazioni e’ un processo delle citta’, colloco’ le industrie nei luoghi in cui vi era maggiore disoccupazione. Questa decisione avrebbe decretato il fallimento di questa politica in ogni Paese, ma in un Paese come l’Uruguay, non avrebbe comunque fatto alcuna differenza. Anche se tutte le fabbriche si fossero collocate nei pressi di Montevideo, il progetto non avrebbe funzionato, perche’ la cita; mancava delle competenze, del sistema simbiotico di produttori di beni e servizi, e delle pratiche di improvvisazione e adattamento necessarie a nutrire il processo di rimpiazzo dele importazioni. Montevideo, non avendo mai prodotto quasi nulla, non era in grado di generare quel lavoro versatile di cui aveva disperatamente bisogno.

Il paese non poteva piu’ sopportare la spesa del suo generoso stato sociale, ma ci provo’ ugualmente, e per sostenere lo stato sociale, inizo’ a stampare moneta. L’inflazione schizzo’ a livelli mai visti. E mentre i prezzi e la disoccupazione crearono una forte stagflazione, la poverta’ e la miseria aumentarono, creando forti tensioni politiche, incluse rivolte popolari. Mezzo milione di cittadini, circa un sesto della popolazione,  abbandonarono il paese. Sui cittadini rimasti si instauro’ una brutale dittatura, che porto’ la pace e l’ordine tipiche di un “cimitero economico”.

Nel 1980, il potere di acquisto degli abitanti dell’Uruguay era circa la meta’ del potere d’acquisto che avevano nel 1968, l’anno in cui il Paese tento l’industrializzazione forzata. Nel 1968, il potere di acquisto si era gia’ dimezzato rispetto al 1950.

L’Uruguay di oggi e’ allo sbando e sta cercando di ricostruire un’economia basata sulle esportazioni di beni primari  (cuoio e lana) con salari da miseria. Anche se queste patetiche esportazioni producono miseri proventi, essi non bastano a mantenere il tenore di vita dei lavoratori; un terzo dei guadagni viene mangiato dal pagamento degli interessi sul debito pubblico che il governo e’ riuscito a rinegoziare a piu’ lunghe scadenze e il resto e’ usato per importare gas e petrolio.

L’Uruguay ha sempre avuto un’economia da “Terzo Mondo” anche quando era un paese prospero, perche’ era arretrato e sottosviluppato. L’Uruguay ha semplicemente avuto un periodo di ricchezza, e la differenza tra un’economia arretrata ricca e un’economia arretrata povera non e’ cosi’ grande come si creda. Ricca o povera, una regione che fornisce esclusivamente beni primari subisce una specializzazione eccessiva e un’economia sproporzionata, quindi fragile e insicura, che dipende da mercati di sbocco lontani.

I disastri che sono capitati all’Uruguay non fanno dormire sonni tranquilli ai governanti di regioni ricche di petrolio.

Sarebbe semplice subire la tentazione di addossare agli abitanti e ai governanti dell’Uruguay l’accusa di incompetenza, mancanza di programmare l’economia, superficialita’, pigrizia. Ma in realta’ gli abitanti dell’Uruguay facevano funzionare la loro regione esportatrice di beni primari in maniera efficente ed solidale. Quello che facevano. lo facevano bene. La cosa che non fecero, fu di creare citta’ produttiva, una citta’ che rimpiazzasse le importazioni nei periodi di crescita, e che quindi generasse quella complessa rete economica che genera una area metropolitana e che produce beni per la propria gente, per i propri produttori e per gli altri.

Il motivo per cui queste regioni rimangono povere e’ che producono essenzialmente per altre citta’ e regioni, ma non per se stesse.

Lo sbilancio di quest’economia era particolarmente rilevante per due ragioni. La prima era che i lontani mercati Europei erano selettivi nelle loro importazioni dall’Uruguay. La seconda era che, tutti i mercati in cui l’Uruguay esportava, anche se si trovavano in citta’ e Paesi diversi, volevano tutti lo stesso prodotto, e quindi agivano di fatto come un unico mercato di sbocco. Questa circostanza rendeva i mercati di sbocco dell’Uruguay enormemente potenti nel determinarne la sua ricchezza o la sua poverta’. Continua…

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Quando le aree metropolitane declinano

Posted by janejacobs su aprile 2, 2008

Le aree metropolitane, cosi’ come le citta’ metropolitane, comprendono moltissima vita economica in aree relativamente ristrette. Copenhagen e la sua area metropolitana, occupa solo una piccola parte del territoio Danese, tuttavia produce la maggior parte della ricchezza della nazione, possiede in se’ la maggiore la specializzazione e diversificazione economica, ed e’ abitata da piu’ della meta’ della popolazione Danese. 

La parte Sud Orientale dell’Inghilterra ha una densita di popolazione molto maggiore al resto del paese, e questo non solo grazie a Londra e alla sua periferia, ma anche alla regione economica e produttiva che alimenta e viene alimentata da Londra.

Molti di voi probabilmente vivono in una citta’, nei sobborghi di una citta’ o in un’area metropolitana.

Quando il nucleo di una citta’ metropolitana, l’originario centro cittadino, non attraversa piu’ il processo di rimpiazzo delle importazioni, inevitabilmente declina. Gradualmente la crescita economica della citta’ si affievolisce, invecchia. Non riesce piu’ a compensare attraverso la perdita di importazioni con le sue esportazioni e quindi i propri mercati si impoveriscono. Le regioni metropolitane naturalmente ne risentono anch’esse. I problemi pratici della citta’ e della sua area metropolitana si acuiscono e diventano intrattabili. La gente diviene piu’ pigra e svogliata. I giovani dell’area metropolitana, mentre prima emigravano nella vicina citta’, ora iniziano ad emigrare in metropoli lontane.

Le imprese continuano a spostarsi in aree sempre piu’ periferiche, ma questo non avviene piu’ perche’ giovani imprenditori nelle citta’ inventano nuovi prodotti facendo concorrenza alle imprese meno agili, ma perche’ le imprese scappano dai problemi irrisolti delle citta’ e lasciano il vuoto dietro di se’. Alla fine anche la fuga dalla citta’ in declino cessa, perche’ la fonte si e’ prosciugata.

Le regioni metropolitane hanno molte caratteristiche di rimpazzo delle importazioni delle citta’ stese, ma non sono citta’.  Nel bene e nel male sono creature delle citta’.

Continua…

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La grande Tokyo ed il villaggio montano di Shinohata

Posted by janejacobs su aprile 2, 2008

Per vedere cosa succede quando le forze di espansione economica si riversano sulle aree circostanti, osserviamo un piccolo villaggio Giapponese che si trovava al di fuori dell’area metropolitana di Tokyo, e vediamo come e’ cambiato da quando, negli anni 50, Tokyo l’ha inglobata nella sua economia. Questo esempio e’ estremo proprio perche’ l’economia di Tokyo e’ potentissima, ma i cambiamenti di cui parleremo sono simili per tantissimi villaggi che vengono inclusi nell’orbita economie metropolitane.

L’esperienza di questo villaggio e’ descritta in un bellissimo libro di Ronald P. Dore, un autore Britannico considerato un’istituzione per la comprensione e al contemo uno specialista in politiche ed economie agricole. Le informazioni di cui parlero’ provengono dal suo splendido libro, Shinohata: Ritratto di un Villaggio Giapponese, ma daro’ un’interpretazione della sua storia nel quadro delle cinque forze che compongono l’espansione economica.

Antico villaggio Giapponese  

Dore visito’ per la prima volta il villaggio di Shinohata nel 1955, quano l’economia rurale del villaggio era ancora intatta. La gente allora era cosi’ candida nel fornirgli informazioni sul proprio il loro reddito, i loro successi e fallimenti economici che Dore, per proteggere la loro privacy dette al villaggio il nome fittizio di Shinohata. Il villaggio consiste di 49 famiglie con piccoli appezzamenti di terreno collocati a circa 50 miglia a Nordovest di Tokyo, molto oltre alle alte montagne che l’espansione di Tokyo ha raggiunto negli ultimi anni.

In un passato lontano, Shinohata era villaggio con un’economia di sussistenza fondato sull’agricoltura senza alcun commercio con le citta’, tuttavia, sin dai tempi antichi, ogni tanto passavano per il villaggio mercanti provenienti da Edo, il nome con cui Tokyo era conosciuta nell’antichita’. Gli abitanti del villaggio vendevano ai mercanti riso e bachi da seta e compravano dai mercanti te’ e carta. Inoltre, vendevano legname, carbone vegetale e, nella stagione autunnale, funghi. Per ottenere questi ultimi tre prodotti, gli abitanti del villagio setacciavano le montagne circostanti. Negli anni di carestia, gli abitanti del villaggio setacciavano le montagne con tale disperazione che ancora oggi,gli abitanti del villaggio chiamano  i lamponi, le radici e le erbe di montagna “cibo della disperazione”.

Tra il 1900 ed il 1955, i nuovi metodi agricoli aumentarono la resa della coltivazione di riso. Il tempo rispariato nella coltivazione del riso veniva impiegato per la produzione di bachi da seta, una produzione che costituiva una delle principali esportazioni Giapponesi agli inizi del 900. Ma per gli abitanti di Shinohata il guadagno proveniente dai bachi da seta era scarso. Nonostante alcune famiglie erano in grado di comprarsi beni “moderni” come le biciclette, il villaggio era ancora povero e la vita dura.

Ma talvolta, il destino porta a piccoli insediamenti rurali la forza economica delle citta’. Il cambiamento dei mercati cittadini avrebbero potuto portare poverta’ a Shinohata se avessero comportato un calo della domanda di grano. L’attrazione di lavori meno faticosi in citta’ avrebbe potuto spopolare il vilaggio come avvenne per il villaggio di Bardou. L’afflusso di nuove tecnologie avrebbe potuto togliere posti di lavoro alle fattorie e alle campagne, creando disoccupazione nel villaggio. Oppure, l’apertura di una fabbrica avvrebbe potuto fare di Shinohata un villaggio-fabbrica. Oppure avrebbe potuto trasformarsi in un villaggio che vive delle rimesse di figlie, figli o mariti che lavorano in citta’, o sotto qualche altra forma di rendita assistenziale.

Ma per fortuna , quando la forza dell’espansione dell’area metropolitana di Tokyo raggiunse Shinohata, tutte le cinque forze dell’espansione economica delle citta’ abbracciarono il villaggio contemporaneamente.

A Tokyo si aprirono mercati per nuovi prodotti agricoli. A partire dal 1950 gli abitanti di Shinohata si resero conto che potevano guadagnare di piu’ esportando nuovi prodotti agricoli: pesche, uva, pomodori, piante da giardino e alberi da piantare nei parchi delle citta’, e i “funghi della quercia”, una specialita’ culinaria Asiatica che puo’ essere venduta a prezzi molto alti, d’altro canto alcuni esperimenti come il luppolo, il tabacco e le pesche in scatola, furono fallimentari.La diversificazione ebbe effetti anche sulle diete degli abitanti del villaggio, i quali iniziarono a coltivare melanzane e nocciole, patate Irlandesi, rapanelli, zucche e cavoli. Dal momento che i cavalli non erano piu’ necessari, alcune famiglie avevano iniziato ad allevare mucche invece di cavalli. Solo 20 delle 49 famiglie lavoravano all’allevamento dei bachi da seta nel 1975, e anche quelle famiglie, avevano diversficato la loro attivita’. Ma 49 delle 49 famiglie erano ancora occupate nell’agricoltura e quasi tutte continuavano a coltivare riso. Le quantita’ prodotte di riso, assieme alle quantita’ di grano prodotte, aumentarono notevolmente.

Durante la fioritura agricola di Shinohata, i lavori cittadini iniziarono ad esercitare il loro fascino sugli abitanti del villaggio. A Shintohata, quasi nessuno era mai emigrato a Tokyo prima del 1956; fra le varie eccezioni, c’erano stati due maestri nella precedente generazione, uno divenne astronomo e l’altro medico. Ma a partire dal 1956, cosi’ tanti abitanti di Shinohata si erano trasferiti a Tokyo che nel 1975, 14 delle 49 famiglie avevano tutti i figli a lavorare a Tokyo, e nelle rimanenti 35, alcuni figli erano emigrati. Nel frattempo, nel villaggio si era aggiunta la cinquantesima famiglia, la famiglia di un professore di Tokyo e di sua moglie che amavano trascorrere i fine settimana fuori dal caos della grande citta’.

Con un numero crescente di giovani che volevano abbandonare l’agricoltura e con una crescente domanda di prodotti agricoli, qualcosa doveva cambiare. E quello che cambio’ fu il modo di lavorare la terra. Shinohata aveva sperimentato uno stallo che tipicamente accade nelle regioni vicine alle citta’. Gli abitanti del villaggio si affrettarono ad introdurre macchinari ed elettrodomestici per aumentare la produtivita’. Ad esempio, nel 1975 le ore necessarie per coltivare un chilo di riso erano circa la meta’ delle ore necessarie nel 1955.

L’esempio dell’aumento di produttivita’ piu’ impressionante riguarda i “funghi della quercia”, la specialita’ della cucina asiatica di cui Shinohata era ricca, paragonabile ai tartufi. Verso la meta’ degli anni 60 tre agricoltori iniziarono a sperimentare nuovi metodi per la produzione di questi funghi. Comprarono dei tronchi, con dei trapani li bucherellarono e li riempirono con terriccio e spore di funghi; poi lasciarono i tronchi a stagionare e dopo circa un anno furono in grado di raccogliere i funghi dai loro tronchi; una volta raccolti i funghi, gli agricoltori riempivano nuovamente i tronchi di terriccio e spore e ripetevano il processo. Nel 1975 questi agricoltori avevano 40-50 mila tronchi a testa e spedivano ogni giorno funghi a Tokyo, usando serre riscaldate durante l’inverno. Agricoltori dei villaggi vicini avevano iniziato ad imitare gli agricoltori di Shinohata.

Grazie anuovi macchinari e sistemi di produzione agricola, molti degli abitanti di Shinohata erano in grado di svolgere la loro attivita’ agricola part-time, assieme ad un lavoro da operai o dipendenti. Piu’ spesso, alcuni membri di una familia si dedicavano all’agricoltura, altri all’industria o al terziario. Generalmente, i piu’ anziani si occupavano della terra, mentre i giovani lavoravano nelle fabbriche. Nel 1975 sette vedove piuttosto anziane riuscivano a condurre le loro imprese agricole da sole, un compito che sarebbe stato impossibile per un uomo o una donna soli negli anni precedenti. In alcuni casi, l’acquisto di macchinari agricoli era finanziato dei loro figli che lavoravano a Tokyo.

Mentre avvenivano tutti questi cambiamenti, Tokyo iniziava a “trapiantare” le proprie fabbriche nei villaggi. Una grande societa’ agroalimentare decise di trasferire la sua produzione di cibo a Shinohata. L’immagine bucolica di Shinohata forni’ alla societa’ agroalimentare anche uno spunto per la propria campagna pubblicitaria. La grande societa’ agroalimentare era interessata al prezzo relativamente basso della terra del villaggio e alla vicinanza con i produttori. Gli agricoltori di Shinohata si spartirono i profitti della vendita della terra alla societa’ agroalimentare e continuarono a lavorare per conto proprio, trovando nella grande societa’ agroalimentare un canale aggiuntivo di vendita per i loro prodotti. Un abitante del paese che si era arricchito piu’ di altri perche’ possedeva una parte maggiore del terreno venduto aveva deciso di regalare alla comunita’ un impanto di filtraggio dell’acqua. Un esempio simile si ritrova nel villaggio di Bardou, dove si costrui’ un impianto fognario con i proventi della casa cinematografica.

La societa’ agroalimentare non aveva bisogno di molti dipendenti, perche’ il lavoro veniva fornito esternamente dagli agricoltori di Shinohata. Inoltre, in breve tempo, altre quattro imprese si trasferirono nel villaggio: un’impresa che comprava i rifiuti della societa’ agroalimentare e li riciclava per produrre mangimi per bestiame; un’impresa che fondeva pezzi di metallo riciclato dai macchinari in barre di acciaio; un’impresa di materiali da costruzioni; ed una piccola impresa che riparava centrifughe utilizzate nelle analisi mediche e chimiche. Quest’ultima impresa fu iniziata da un uomo che aveva lasciato Shinohata per Tokyo anni prima e aveva lavorato in una impresa di Tokyo che produceva simili macchinari. Volendo ritornare a Shinohata, persuase il suo datore di lavoro di dargli la concessione per la riparazione di tali macchinari in quella circoscrizione.

Il “trapianto” di lavori nell’antico villaggio agricolo di Shinohata dimostra come il villaggio si sia interconnesso con la vita della metropoli e di altre comunita; circostanti superando anche il limite dell’attivita’ agricola. Ad esempio. in una famiglia la moglie lavora in una fabbrica di biancheria intima recentemente “trapiantata” da Tokyo in un villaggio vicino a Shinohata; suo marito lavora in una tintoria tessile. In un’altra famiglia il marito lavorava nell’indotto della societa’ agroalimentare, sua moglie vendeva assicurazioni per la vita, mentre uno dei figli diventava apprendista cuoco in un grande albergo di Tokyo. Un altro uomo aveva un ufficio a Sano, una cittadina in fondo alla valle dove si trova Shinohata. Un altro era un autotrasportatore per una compagnia elettrica operante in una circoscrizione vicina; un altro lavora in una fabbrica di legname. un altro era diventato una guardia per una fabbrica che lui stesso aveva iniziato, ma che era fallita ed era poi stata comprata dai suoi attuali datori di lavoro. Acuni uomini erano fra i 35 dipendenti della la cooperativa agricola che raggruppava i villaggi della zona per un totale di 1,300 famiglie, 5,000 citta’. La divisione di questa cooperativa che si occupava di grano,  inizio’ attivita’ in proprio allo scopo di fornire lavoro part-time ai giovani agricoltori. Un uomo di Shinohata che prima lavorava in un centro di pesca commerciale, pote’ licenziarsi e lavorare part-time e occuparsi dei suoi studi di scienze naturali, quando suo moglie fu stata assunta in una vicina fabbrica di costruzioni ed poteva “guadagnare come un uomo”. Se sua moglie non avesse trovato quel lavoro, l’uomo non avrebbe potuto mantenersi con il suo lavoro part-time.

Nonostante Shinohata fosse un villaggio remoto, la nuova economia ha permesso ai suoi abitanti di ritagliarsi delle nicchie, un po’ come le nicchie ecologiche studiate dai professori di biologia, in una vita che altrimenti sarebbe stata molto povera e frustrante. Ad esempio, i proprietari delle foreste, che sono ora troppo occupati nelle loro occupazioni, hanno assunto un lavoratore a svolgere una nuova funzione: il guardiano dei confini delle foreste. Quest’uomo era il discendente della famiglia piu’ povera del villaggio, una famiglia che non aveva mai avuto successo, perche’ i suoi membri erano pigri e disonesti. Tuttavia, ques’uomo ebbe successo come “guardiano dei confini della foresta”, perche’ si interpone nelle controversie locali intermediando qua e la e chiedendo talvolta piccoli pagamenti in natura o piccole somme. In realta’, gli abitanti non avevano davvero bisogno dei servizi di quest’uomo, in parte perche’ troppo impegnati ad arricchirsi con le loro attivita’, in parte perche’ avevano cose piu’ interessanti da fare che litigare l’uno con l’altro, e con il benessere erano diventati piuttosto generosi. Anche se il lavoro del “guardiano della foresta” era diminuito, i suoi guadagni non diminuirono. Una giovane donna si poteva permettere di stare a casa a curare il proprio bambino. Altre giovani donne non erano interessate ad imitarla, ma le anziane del villaggio la invidiavano, ricordando i tempi di duro sacrificio di madri e contadine quando il lavoro agricolo non era meccanizzato. La foresta, che non veniva piu’ setacciata dagli abitanti per la ricerca di funghi e legna, era tornata selvaggia. Orsi e cinghiali sono tornarono ad abitarla. Anche per loro si apri’ una nuova nicchia nella nuova economia del villaggio.

Nel 1975, il villaggio derivava solo meta’ del suo reddito dall’agricoltura, ma questo non significava che il reddito agricolo fosse diminuito. Anzi, era aumentato.

Mentre il villagio attraversava tutti questi cambiamenti, la quinta grande forza delo sviluppo economico, il capitale, iniziava ad agire. La politica nel villaggio riguarda soprattutto le strade, i ponti, le scuole e i canali di irrigazione, e l’arte di persuadere il governo centrale ad inviare sussidi per tutte queste opere. In totale, le spese pubbliche erano finanziate per il 15% dal villaggio, per il 40% dalla prefettura locale sotto forma di contributi generici e per il 45% dalla prefettura attraverso contributi specifici. La societa’ agroalimentare aveva fornito la maggior parte del capital privato, ed i consumatori di riso di Tokyo avevano pagato i sussidi statali per favorire la produzione di riso.

Fra i contributi specifici, Shinohata aveva ricevuto fondi per le distruzioni causate da un tifone nel 1959. Nel 1814, una cronaca locale aveva definito il fiume che attraversa quella valle come una maledizione.

“Il fiume in piena porta con se talmente tanti detriti e tanta sabbia che il letto del fiume continua ad alzarsi. Gli argini devono continuamente essere rinforzati. In alcune zone, il livello del fiume si alza fino a 10 piedi sopra il livello dei campi coltivati, e speso rompe gli argini, riversando nei campi la sabbia e le rocce del letto del fiume. E ci vogliono anni per rimuovere dai campi tali detriti.”

Un tale disastro, generalmente accadeva una volta per ogni generazione e portava con se’ ditruzione e fame.

Quando questo questo disastro si ripete’ nel 1959, lo stato Giapponese verso’ fondi per portare al paese macchinari e lavoratori che rendessero i campi nuovamente produttivi, e verso’ fondi per ricostruire gli argini del fiume e dei suoi affluenti, questa volta in cemento armato. Inoltre, fece scavare il letto del fiume, recuperando il materiale per costruzione che venne acquistato dai costruttori di Tokyo (un’altra menifestazione dell’importanza della grande Tokyo per il villaggio di Shinohata).

Quando Dore torno’ a visitare Shinohata nel 1975, un gruppo di camion stava ancora trasportando metariale proveniente da letto del fiume, e questo flusso non sembrava diminuire. In realta’ la gente di Shinohata riusci’ a trasformare l’alluvione del 1959 in una risorsa.

Si potrebbe essere tentati di attribuire alla laboriosita’ degli abitanti di Shinohata il merito di queste trasformazioni economiche. Ma gli abitanti di Shinohata sono i primi a riconoscere che i loro avi lavoravano molto piu’ duramente di loro. Si potrebbe attribuire agli abitanti di Shinohata una innata capacita’ artigianale, ma gli abitanti di Shinohata, al contrario dei loro antenati, non intarsiano cappelli di paglia, ma li vanno a comprare. Considerato il poco che avevano, gli abitanti di Shinohata erano senz’altro creativi e laboriosi. Ma gli abitanti di oggi sono la stessa gente dei loro padri, alcuni di essi sono le stesse persone. Cio’ che e’ cambiato non sono le loro qualita’ degli individui, ma il fatto che i mercati delle citta’, i lavori, la tecnologia, l’apertura di nuove fabbriche e il capirale sono arrivati a Shinohata contemporaneamente, in larga misura e in proporzioni appropriate. Continua…

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Le aree metropolitane

Posted by janejacobs su aprile 1, 2008

Nei sobborghi di alcune citta’ si aggrovigliano luoghi di lavoro rurali, industriali e commmerciali. Questi sobborghi sono unici e sono le zone piu’ ricche, piu’ dense di costruzioni e piu’ intricate, ad eccezione delle citta’ stesse.

Le  Aree Metropolitane non sono definite da confini naturali, perche’ sono il prodotto della costruzione dell’uomo. Le citta’ costutituiscono il nucleo naturale di tali aree.

I confini si espandono o si fermano a seconda dell‘energia economica delle citta’. Oggi la piu’ grande area metropolitana al mondo e’ Tokyo. Tokyo e’ cresciuta negli anni fino a raggiungere montagne addirittura impervie che hanno richiesto capolavori di ingegneria civile per la cotruzione di strade e ferrovie.

 

Tokyo

La citta’ metropolitana di Toronto e’ confinata per un lato dai Grandi Laghi, ma in altre diriezioni si estende progressivamente sino a declinare per decine di chilometri nella pianura circostane.

Boston e’ una citta’ metropolitana che estende le sue attivita’ economiche nella parte meridionale dello stato del New Hampshire. Questo fatto esaspera gli amministratori locali del New Hampshire perche’ vorrebbero vedere un’attivita’ economica omogenea in tutto lo Stato del New Hampshire e non solo nell’area vicina a Boston. Gli amministratori del New Hampshire cercano continuamente di fornire incentivi agli imprenditori di Boston per spostarsi nella parte Nord del New Hampshire, dove c’e’ piu’ disoccupazione e cercano di scoraggiare le imprese ad operare nella parte meridionale del New Hampshire, che e’ gia’ prospera. Ma gli amministratori non capiscono il processo di energia delle citta’ e sperperano risorse economiche. Il New Hampshire del Sud e’ la zona piu’ a Nord che l’espansione di Boston riesce a raggiungere. Piu’ su non ce la fa.

Non tutte le citta’ generano aree metropolitane. Ad esempio. Glasgow non ha mai generato un’area metropolitana, nonostante alla fine dell’ottocento fosse una citta’ all’avanguardia nello sviluppo dell’industria e della tecnologia e nonostante i suoi ingegneri e i suoi macchinari fossero ricercati in tutto il mondo. Cinquanta miglia piu’ ad Est di Glasgow c’e’ Edimburgo, il centro culturale e commerciale della Scozia: Edimburgo ha avuto momenti di forte espansione economica, ma non e’ riuscita a generare una citta’ metropolitana. Nemmeno le economie sommate delle due citta’, che non sono poi cosi’ distanti, sono riuscite a creare un sistema denso e ricco di attivita’ economiche in grado di creare una citta’ metropolitana, ma il territorio fra le due piu’ importanti citta’ Scozzesi e’ rimasto agricolo.

Marsiglia e’ il porto piu’ importante della Francia e ha costruito importanti industrie oltre alle industrie legate all’attivita’ portuale. Ma Marsiglia non ha un’area metropolitana.

Napoli nel cinquecento era la piu’ grande citta’ di tutta la Cristianita’. Aveva una posizione di primo piano nell’esportazione di tessuti, in particolare seta , biancheria ed altri tessuti ricamati a mano. In quel periodo citta’ come Milano, Parigi, Londra e Amsterdam stavano ancora cercando di formare le loro aree metropolitane.

L’area attorno a Roma e’ increbilmente poco costruita considerate la dimensione delle citta’.

Copenhagen ha generato una area metropolitana, Dublino, Belfast e Cardiff, Liverpool, Madrid, Zagabria e Mosca no.

San Paolo ha un’area metropolitana, ma non Rio de Janeiro, Buenos Aires o Montevideo no.

Havana e Santiago de Cuba non hanno generato un’area metropolitana, ne’ prima o ne’ dopo il regime di Castro.

Nella parte centrale del Giappone, ci sono cosi’ tante aree metropolitane che molte sono ora intersecate tra loro; ma Sapporo, la capitale di Hokkaido, la piu’ grande isola del Giappone, non ha generato un’area metropolitana.

Atlanta, la citta’ di Grady non ha una rete di sobborghi attorno ad essa; al contrario, Los Angeles e San Francisco hanno fiorenti aree metropolitane, cosi’ come Boston e New York.

Le citta’ del Pacifico si sono rapidamente sviluppate e hanno creato regioni circostanti dense ed intricate: Singapore, Seoul, Taipei e Hong Kong. Ma Manila nelle Filippine non ha generato tale sviluppo. La citta’ metropolitana di Hong Kong si e’ allargata all’interno delle provincia adiacente di Guandong in Cina, ma la citta’ di Canton, antico nucleo di quella provincia, non ha generato da se’ un’area metropolitana.

Shanghai ha generato una regione metropolitana cosi’ come anche le citta’ della province di Hubei, Hangkow, Hanyang e Wuhan, ora accomunate dal nome Wuhan nella parte inferiore del fiume Yangtze.

Hankou, one of the 3 towns that compose Wuhan

Wuhan, Cina

Ovviamente, le citta’ che sanno produrre beni da esportare, o che sanno attrarre visitatori o che svolgono funzioni politiche, culturali o religiose non sempre generano aree metropolitane. Non basta esportare, non basta essere sede di importanti amministrazioni politiche. Ci vuole la capacita’ della citta’ di rimpiazzare continuamente e ripetitivamente le importazioni. Le citta’ che generano aree metropolitane sono in grado di rimpiazzare le importazioni. Le cinque forze che generano citta’ metropolitane sono:

(1)  espansione dei mercati cittadini per nuove e diverse importazioni;

(2) espansione delle competenze dei lavoratori;

(3) espansione delle unita’ produttive al di fuori dei confini cittadini;

(4) espansione tecnologica per aumentare produzione e produttivita’;

(5) espansione del capitale

Continua…

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