Un’ orribile sopraelevata taglia il centro della citta’ di Genova dal suo porto
Per ottocento anni, Genova e’ stata la più grande città marittima d’Europa, Genova e’ stata una repubblica indipendente, prospera, fiera. La sua potenza era tale che la città veniva definita “la Superba”.
Ma dov’e’ oggi la traccia di tale superbia? Oggi Genova e’ ridotta in cenere, e’ vecchia, fragile, isterica, spaventata da ogni cambiamento, incapace di proiettarsi verso il futuro, schiacciata fra la rabbia dei suoi
camalli precari, fra un’amministrazione portuale corrotta, e fra i famelici appetiti delle lobbies politiche che ormai si scannano per le carcasse di ciò che e’ rimasto di Genova. In questa immobile confusione, l’unica
organizzazione che ne beneficia e’ la criminalità organizzata.
Il fulcro della grandezza di Genova e’ sempre stato il suo porto. Fino a che Genova ha mantenuto un porto attivo e vigoroso, fino a che e’ stata lasciata libera di commerciare, i Genovesi sono stati in grado di mantenere un primato commerciale, nonostante il periodico avvicendamento di potenti stati nazionali. In tali avvicendamenti, Genova non solo riusciva a mantenere il suo primato di potenza marittima e commerciale, ma grazie alla sua politica di neutralità’, approfittava delle guerre fra le grandi nazioni Europee
accrescendo il suo potere. Fino alla fine del settecento Genova era l’equivalente di quello che oggi sono il miglio d’oro di Londra, la Svizzera, e il porto di Rotterdam. Genova era tutte queste cose in una.
Il simbolo di Genova: la croce di San Giorgio
Nel Medioevo, i Genovesi erano i padroni del Mediterraneo e del Mar Nero. Genova controllava le rotte commerciali che la collegavano a Marsiglia, Barcellona alle Fiandre all’Inghilterra, alla Turchia e alla Russia. Quello che oggi e’ il Mar Nero era chiamato il mare dei Genovesi. Durante la prima crociata, la croce di San Giorgio, simbolo di Genova, fu usata dai crociati Inglesi in viaggio per Gerusalemme. Gli Inglesi dovettero pagare per il privilegio di usare la protezione dei Genovesi. Agli Inglesi la croce di San Giorgio dovette piacere, visto che finirono per usarla come bandiera nazionale.
L’espansione di Genova, metropoli del mare
Genova era libera e prospera. I ricchi ed i governanti erano caritatevoli con i poveri poveri. Genova possedeva una organizzazione ospedaliera e assistenziale che non aveva confronti in Europa ed uno stato sociale in
grado di assicurare anche ai più poveri un tenore di vita sicuro. Nessun Genovese, finché la città rimase indipendente, soffri’ mai la fame, una bestia nera, che ripetutamente colpiva i poveri di tutta Europa, m non i
poveri di Genova.
Fino al settecento, i banchieri Genovesi erano in grado di influenzare le campagne militari di Spagna, di Francia e degli Asburgo. Le famiglie di banchieri dei Centurione e degli Spinola, dei Grimaldi rimpiazzarono i
Fugger e si impossessarono dell’oro proveniente dalle Americhe. I palazzi di Genova erano presi a modello dal grande pittore Rubens come sfondo dei suoi capolavori commissionati dai piu’ grandi sovrani Europei.
Il declino di Genova inizio’ con l’invasione da parte di Napoleone. Quel farabutto e’ generalmente ritratto dai nostri libri di storia come il portatore degli ideali di democrazia della Rivoluzione Francese. A Genova
invece, Napoleone porto’ solo saccheggio e fame, comportandosi piu’ come un dittatore che come un liberatore. I Genovesi la democrazia ce l’avevano già, se l’erano costruita da se’ era fatta apposta per loro, su misura. Napoleone defini’ Genova una “turgida vacca da mungere” e si premuro’ di mungere tutto il suo latte. Napoleone rubo’ a Genova tutte le sue riserve auree, le piu’ grandi riserve auree di ogni citta’ Europea e
utilizzo’ l’oro di Genova per finanziare i suoi famelici eserciti che distrussero mezza Europa.
Con la sconfitta di Napoleone del 1815, Genova fu tradita dai vincitori Inglesi i quali anziché riconsegnarle l’indipendenza dovutale dai trattati internazionali, preferirono impossessarsi delle sue rotte marittime e darla in pasto ai rozzi Savoia, una mediocre casata di agricoltori, che non avevano niente a che fare la grandezza della repubblica Genovese. Incapaci di sfruttare le qualità’ commerciali dei Genovesi, i Piemontesi preferirono imporre dazi protezionistici per favorire la loro agricoltura a vantaggio dei propri proprietari terrieri.
L’odio dei Genovesi contro i Piemontesi non fu mai sopito ed esplose nella Rivoluzione die Genova del 1849, repressa con violenza dal generale La Marmora che bombardo’ la città uccidendo rivoluzionari e civili. Anche
questo non e’ evidenziato nei nostri libri di storia, ma si sa, la storia la scrivono i vincitori.
Dopo l’unificazione Italiana, Genova vide fasi alterne di sviluppo, ma il suo sviluppo era lento, stentato, diretto da forze esterne. Il porto non riusci’ mai a decollare, ne’ tanto meno a raggiungere il primato del suo
passato glorioso.
Il Porto di Genova era diventato il punto di partenza per i poveri Italiani verso il sogno Americano, verso l’Argentina, il Brasile, l’Uruguay, gli Stati Uniti.
Gli Italiani impiantarono a Genova l’industria pesante, credendo che per sviluppare una regione ormai in decadenza, bastasse qualche impresa siderurgica e qualche cantiere navale. Ma l’industria pesante conobbe
sporadici momenti di successo a Genova, principalmente nei periodi bellici.
Finite le guerre, la riconversione era sempre difficile, problematica. Lo stato Italiano dovette salvare dal fallimento prima l’Ansaldo e poi le fabbriche di armi Genovesi che entrarono a far parte della Finmeccanica. Lo sviluppo di Genova era quindi diretto dal governo di Roma.
Gli impianti industriali dell’industria di Stato rese i Genovesi dipendenti dagli aiuti pubblici. Genova dipendeva dalla carita’ di Roma ed il suo porto languiva, non riusciva piu’ ad esprimere le sue potenzialita’. Arrancava sempre in ritardo in termini di crescita infrastrutturale, e quindi di lavoro e crescita economica.
La fase di industrializzazione del paese durante il boom economico degli anni 50 e 60, non miglioro’ le condizioni di vita dei suoi lavoratori portuali, i suoi camalli. Gli armatori ed i direttori del Porto di Genova non erano piu’ ormai all’avanguardia e cercavano di aumentare i loro profitti a scapito dei salari e della sicurezza dei camalli. Genova vedeva i suoi traffici affievolirsi sempre piu’ in favore di altri porti come Marsiglia, il Pireo, ma soprattutto Rotterdam ed Amburgo.
Negli anni ‘70 e ‘80 i camalli, fecero esplodere la loro rabbia, ma le lotte sindacali non portarono il porto di Genova ad espandersi. I camalli si illusero di poter migliorare le proprie condizioni di lavoro impossessandosi della gestione portuale, ma non avevano ne’ le capacita’ imprenditoriali per
stare al passo con gli altri porti d’Europa, ne’ i capitali necessari ad avviare tale sviluppo.
Intanto l’Italia, sotto spinta della Fiat, aveva sviluppato una fitta rete di autostrade che faceva concorrenza al movimento merci del porto, perche’ le autostrade erano collegate ai valichi Alpini da cui transitavano le merci provenienti dai porti del Nord Europa. Le merci oggi attraversano la Germania, la Svizzera e l’Austria, arricchendo i concessionari delle strade ed i camionisti Lombardi, Veneti e del centro Europa. Questo non danneggia solo i Genovesi, ma tutto il tradizionale bacino di utenza del porto di Genova: Torino, Milano, Ginevra, Parma e tutte le citta’ vicine. Questo sistema di trasporti non solo e’ piu’ costoso per i consumatori di queste citta’, ma e’ anche piu’ dannoso per danneggia l’ambiente.
I camalli non solo non seppero sviluppare il porto, ma negli ultimi 30 anni non seppero nemmeno fornire ai loro lavoratori condizioni minime di sicurezza. I recenti morti sul lavoro nel porto hanno tristemente portato alla ribalta il fallimento delle lotte dei camalli.
Recentemente il Presidente del Porto di Genova e’ stato arrestato per un giro di tangenti che coinvolge politici, armatori e camalli. Il piano di rilancio del Porto ideato da Renzo Piano, uno dei piu’ illustri Genovesi
viventi, langue nel cassetto e forse non vedra’ la luce per altre generazioni.
I Genovesi sono non riescono a creare ricchezza dal loro porto in maniera minimamente comparabile a quanto avevano fatto i loro avi. La citta’ e’ pervasa da distruttivi odi faziosi che sono sfociati nei recenti episodi di violenza del G8.
Genova e’ incapace di venire a capo della sua vocazione marittima, la sua classe dirigente e’ mediocre e corrotta stupidita’ della sua classe dirigente. I Genovesi preferiscono attaccarsi a quel poco che hanno,
impauriti di guardare al mare, rinnegando cosi’ la loro storia, la loro vocazione, il loro orgoglio passato.
Rotterdam, Anversa, Marsiglia, Barcellona e Valencia, un tempo colonie di Genova, ora hanno porti piu’ efficienti, moderni e prosperi. Il trasporto di merci da regioni lontane su gomma o su rotaia, crea piu’
inquinamento di quanto non ne creerebbe se le merci all’Italia centro settentrionale e alle regioni Alpine di Francia e Svizzera arrivassero invece direttamente da Genova.
Il porto di Rotterdam
La popolazione locale fa referendum contro qualsiasi cosa, non ha fiducia nel progresso, non innova, lascia che i camalli blocchino ancora il porto una settimana si’ e una no, anche se quando muoiono gli operai sul posto di lavoro, la societa’ gestita da loro e’ la prima a trascurare le norme di sicurezza.
Chi ci guadagna da questa decadenza del porto? Non i Genovesi, che ormai guardano al porto con orrore, con l’eccezione del porto vecchio restaurato recentemente da Renzo Piano, ma che non e’ piu’ un porto, ma un centro commerciale. Non i camalli, che lavorano in una situazione molto piu’ precaria dei loro genitori negli anni ‘70 e ‘80. Posso ipotizzare che la criminalita’ organizzata abbia molta convenienza a lasciare le cose come sono. La Mafia prospera nell’infefficienza e nella corruzione. Tra un molo bloccato ed un terminale in subbuglio, il porto di Genova potrebbe essere ideale per far arrivare entrare la droga nel cuore d’Europa.