Le cittá sono la ricchezza delle nazioni

Un nuovo modo di vedere l’economia

Archive for marzo 2008

Tra Bologna e Venezia

Posted by janejacobs su marzo 31, 2008

Crespi d'Adda fabbrica.JPG

Capannoni industriali

La vita economica si sviluppa grazie all’innovazione e si espande grazie al rimpiazzo delle importazioni. Questi due fenomeni sono strettamente legati ed entrambi sono parte integrante delle economie delle citta’. Quando il rimpiazzo delle importazioni avviene con successo, spesso implica adattamenti della progettazione, dei materiali o dei metodi di produzione, processi che richiedono innovazione e improvvisazione da parte degli imprenditori e dei lavoratori.

Nel 1982 Charles F Sabel, un professore del Massachussetts Institue of Technology, descrisse uno straodinario proliferare di “innumerevoli piccole imprese” nel decennio precedente nei distretti industriali fra Bologna e Venezia. Secondo il professore, tale proliferazione era dovuta a continue improvvisazioni ed innovazioni. In una piccola fabbrica che produceva meccanismi di trasmisione per trattori si adattava il progetto anche per trebbiatrici automatiche. In un’altra piccola fabbrica, una macchina impacchettatrice veniva progettata e modificata varie volte, per riposizionarsi in diverse fasi della catena di montaggio automatica. In un’altra fabbrica, un telaio per il cotone veniva aggiustato per lavorare anche tessuti sintetici.

Sabel si meravigliava della piccola dimensione e del successo di queste imprese innovative, molte delle quali impiegavano “dai 5 ai 50 addetti, alcune 10 addetti e pochissime impiegano piu’ di 250 addetti“, e che nel complesso “si specializzavano in ogni fase della produzione del tessile, macchine automatiche, macchine di precisione, automobili, bus e macchine agricole”, ed era sorpreso dalla qualita’ del lavoro svolto nella poduzione di ceramiche, scarpe, mobili di plastica, motociclette, macchine per la lavorazione del legno, macchine per la lavorazione del metallo, macchine per la produzione di ceramiche. Sabel racconta della facilita’ con cui queste imprese spesso sono fondate da ex operai che si sono staccati dai loro ex datori di lavoro e sono diventati imprenditori loro stessi, e racconta delle incredibili economie di scala che sono state ottenute non, come generalmente si riteneva, all’interno di grandi organizzazioni, ma attraverso grandi distretti industriali fatti di piccole imprese.

“La capacita’ innovativa di questo tipo di azienda” spiega Sabel “dipende dall’uso flessibile che si fa della tecnologia; dalle relazioni di fiducia e vicinanza con altre imprese ugualmente innovative in settori adiacenti; e soprattutto dalla collaborazione stretta con lavoratori che hanno competenze complementari fra loro. Queste imprese praticano con coraggio l’innovazione in maniera spontanea attraverso la fusione dei processi di concettualizzazione ed esecuzione, conoscenza astratta e pratica, che solo poche grandi imprese sono state capaci di praticare.”

Tutto questo suggerisce “modi radicalmente nuovi di organizzare la societa’ industriale” in linea con i primi segno di una ridefinizione epocale di mercati, tecnologie e gerarchie industriali“.

Le meraviglie di questi affollati distretti industriali, che hanno suggerito a Sabel cambiamenti epocali, sono sempre state tipiche di citta’ creative, per cui non c’e’ nulla di nuovo in questo metodo di organizzazione industriale. Le realta’ osservate da Sabel – gli aggregati dei distretti industriali, la simbiosi, la facilita’ per un dipendente di trasformarsi in imprenditore, la flessibilita’, le economie di scala e la flessibilita’ – sono esattamente le qualita’ del processo di rimpiazzo delle importazioni,  un processo che si realizza solo nelle citta’ e nei loro dintorni.

Per ovvie ragioni, la maggior parte del rimpiazzo delle importazioni consiste di beni fatti nelle citta’ e di servizi, ovviamente, non di tutti i beni. Alcuni dei piu’ brillanti momenti di rimpiazzo delle importazioni coinvolgono prodotti prettamente rurali. Alcuni esempi del passato sono il rimpiazzo del ghiaccio naturale con i frigoriferi costruiti in fabbriche cittadine; rimpiazzi di cotone, lino, seta e pelliccia con articoli sintetici, progettate nelle citta’; rimpiazzi di avorio e tartaruga con plastiche.  Non c’e’ dubbio che in queste citta’ si continuera’ a progredire con la creativita’ di rimpiazzare le importazioni, come nel caso di rimpiazzo di carburanti fossili. Il rimpiazzo delle importazioni non e’ un processo grandioso. I rimpiazzi sono inizialmente piccoli, spesso coinvolgono oggetti che in se tessi sono di poca importanza, e in molti casi sono imitazioni – ma cio’ nonostante in aggregato, aggiungono una forte spinta economica, la stessa spinta che il Professore dell’MIT aveva osservato fra Bologna e Venezia. Continua…

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Rimpiazzare le importazioni

Posted by janejacobs su marzo 30, 2008

Le citta’ Asiatiche primeggiano nel rimpiazzare le importazioni 

Le citta’ che rimpiazzano le importazioni non solo rimpiazzano i prodotti finiti, ma anche un’infinita’ di prodotti intermedi funzionali alla produzione, in particolare rimpiazzano utensili e i macchinari. Il processo di rimpiazzo delle importazione emerge attraverso catene di produzione locali.

Ad esempio, in una citta’ che non producesse marmellate, prima  arriva la lavorazione locale della marmellata di frutta che prima venivano importata da altre citta’, poi arriva la produzione dei vasetti  di vetro e dei coperchi di metallo che prima venivano importati.

Oppure, prima si costruisce un impianto di assemblaggio per la produzione di cuscinetti metallici che prima venivano importati; in seguito, dopo che l’impianto e’ stato costruito, si importano i metalli necessari per la costruzione dei cuscinetti; poi si iniziano a fondere i metalli appropriati all’interno dell’impianto di assemblaggio.

Quando Tokyo inizio’ il business delle biciclette, prima venne il lavoro di manutenzione, poi si iniziarono a produrre alcule parti delle parti delle biciclette piu’ richieste nelle riparazioni, poi si inizio’ la manutenzione di altre parti e  finalmente si arrivo’ all’assemblaggio completo delle biciclette. E non appena Tokyo inizio’ ad esportare biciclette ad altre citta’ Giapponesi, anche in queste citta’ inizio’ il processo di rimpiazzo delle importazioni che aveva avuto luogo precedentemente a Tokyo.

Quando le citta’ esportano prodotti, le esportazioni “nutrono” il lavoro che paga per le importazioni, cioe’ “nutre” il processio di rimpiazzo di importazioni.

Ad esempio, un’impresa che produce posate e pentole in acciaio inossidabile per le esportazioni puo’ iniziare a produrre nello stesso materiale anche sedie e tavoli in acciaio, e quindi puo’ giocare un ruolo importante nel rimpiazzare importazioni di arredamenti in acciaio. Oppure, i lavoratori della fabbrica che croma le posate in acciaio, possono mettersi in proprio, ma questa volta, gli operai possono trsformarsi in imprenditori abbandonando la produzione di posate e dedicandosi alla produzione di sedie e tavoli. Questo e’ un processo ancora migliore perche’ ora ci sono due imprese a nutrire il processo di rimpiazzo delle importazioni.

Il rimpiazzo delle importazioni e’ un processo tipico delle citta’ perche’ la produzione locale di beni che prima venivano imporati non e’ economicamente possibile in piccoli villaggi isolati che non hanno rapporti con i mercati cittadini e che non hanno sufficiente versatilita’ per poter cambiare i metodi di produzione.

Le citta’ possono stimolare questo tipo di versatilita’ grazie al risultato del lavoro di esportatori in parte perche’ hanno gia’ rimpiazzato molte importazioni, in parte attraverso le complesse relazioni simbiotiche che si formano tra i vari produttori. In secondo luogo, i mercati cittadini – dei produttori o dei consumatori – sono piu’ vari e piu’ diversificati. Queste due qualita’ dei mercati cittadini generano una produzione diversificata a costi bassi. Tale diversita’ non sarebbe possibile in insediamenti rurali. Continua…

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La litania di Grady, il giornalista del Sud

Posted by janejacobs su marzo 28, 2008

Henry Grady  

Le distinzioni fra economie cittadine ed economie nazionali sono importanti per capire meglio la realta’ che ci circonda e per osservare gli esperimenti pratici di innovazione economica. La mancata comprensione della distinzione fra economie cittadine ed economie nazionali ha portato alle debacles degli aiuti economici ai paesi poveri, perche’ non e’ osservata la principale funzione economica delle citta’: quella di rimpiazzare le importazioni.

 Tale funzione e’ prettamente tipica delle citta’. Le citta’ crescono e diventano economicamente versatili sostituendo beni importati dall’esterno in beni prodotti all’interno delle citta’. L’incapacita’ di osservare e comprendere questa funzione fondamentale dalle citta’ genera confusione e sprechi.

Spesso osserviamo che le nazioni o le regioni povere importano piu’ beni di quelli che si possono permettere, oppure, privandosi di essi, vanno incontro a ristrettezze terribili.

Una splendida descrizione di questo fenomeno si ritrova in un discorso che Henry Grady, giornalista del Sud degli Stati Uniti, pronuncio’ davanti ad un convegno di industriali e banchieri a Boston nel 1889 per convincerli ad aprire fabbriche nel Sud.

Grady, giornalista di Atlanta, Georgia, raccontava del un funerale di un uomo della Contea di Pickens, a otto miglia da Atlanta.

La lapide dell’uomo fu scolpita in solido marmo proveniente dalle cave del Vermont. Il cimitero si trovava in una foresta di pini, ma la bara proveniva da Cincinnati. Una montagna ricca di miniere di ferro sovrastava il cimitero, ma i chiodi e le viti della bara provenivano da Pittsburgh. Nonostante legname e ferro non mancassero in quella zona, il corpo dell’uomo fu trasportato al cimitero da una carrozza costruita a South Bend in Indiana. Vicino al cimitero si trovava un bosco di noccioli, ma le maniglie del piccone e della pala provenivano da New York. La camicia di cotone dell’uomo morto proveniva da Cincinnati, il cappotto e i pantaloni, provenivano da Chicago, le scarpe da Boston; il cadavere indossava guanti bianchi fatti a New York, e attorno al suo collo c’era una cravatta fatta a Philadelphia. La Contea di Pickens, cosi’ ricca di risorse, non aveva fornito nulla al funerale, tranne il corpo dell’uomo e il buco nel terreno e gli abitanti di Pickens avrebbero importato anche quello se avesero potuto. E quando la tomba del pover’uomo fu fatta scendere nel buco, attraverso corde provenienti da Lowell, egli non portava nulla nell’altro mondo che ricordasse dove fosse la sua casa, con l’eccezione del sangue raffermo nelle sue vene, il gelido midollo delle sue ossa e l’eco del vociare dei suoi rozzi compaesani.

Cimitero del Sud  

Dei quattordici articoli indicati nella litania di Grady, undici provenivano dalle grandi citta’ USA di quel tempo: la bara e la camicia da Cincinnati, i chiodi, le viti e la pala da Pittsburgh, le maniglie del piccone e della pala e i guanti bianchi provenivano da New York, il cappotto e i pantaloni da Chicago, le scarpo da Boston; la carrozza proveniva dalla cittadina di di South Bend. Solo il marmo proveniva dalle campagne del Vermont e le corde da Lowell – una cittadina specializzata inprodotti tessiil vicino a Boston – non venivano da citta’.

Grady avrebbe dovuto chiedersi perche’ nessuno degli articoli della sua litania fosse stato prodotto nella piu’ vicina citta’, Atlanta. Invece Grady osservava che tutti gli articoli prodotti per il funerale provenivano dal Nord degli USA. Grady non si rendeva conto che le citta’ sono la risposta al problema della poverta’ e dell’arretratezza. Ma siccome Grady pensava in termini di economie regionali amorfe, era come se non capisse le sue stesse parole. L’obiettivo di Grady era di ottenere che che alcune industrie del Nord si trasferissero al Sud. Grady fu un precursore dei vari burocrati che oggi lavorano per attrarre industrie in economie moribonde e incapaci di nascere industrie, e che quindi si scannano per attrarre investimenti industriali.

Gli articoli che Grady elencava nella sua litania, erano collegati alla funzione del rimpiazzo delle importazioni. Nessuno di quegli articoli (camicie, chiodi, pale, ecc.) era stato inventato in quelle citta’. La maggior parte di essi erano articoli tipici della civilta’ Occidentale ancora prima che fosse scoperta l’America. Le fabbriche di Boston e Philadelphia avevano iniziato a produrre questi articoli (e molti altri) per i consumatori locali anziche’ importarli da Londra o da altre citta’ Inglesi, e avevano iniziato ad esportare tali prodotti non solo nelle loro immediate vicinanze, ma anche nelle nuove citta’ Americane che via via di andavano formando. Nel frattempo queste nuove citta’, Chicago, Pittsburgh e Cincinnati crescevano, e mentre crescevano rimpiazzavano le importazioni provenienti da Boston e Philadelphia e nel frattempo commerciavano con esse. Questo e’ il sentiero per cui una camicia proveniente da Cincinnati e una pala proveniente da Pittsburgh arrivavano fino alla Contea di Pickens, vicino ad Atlanta.

Senza dubbio, gli articoli elencati nel funerale passarono da Atlanta, visto che Atlanta era il piu’ importante centro commerciale del Sud e visto che la stessa Atlanta consumava un grande volume di beni prodotti da altre citta’. Ma ne’ Atlanta, ne’ altre citta’ del Sud rimpiazzavano le importazioni.

Dietro agli articoli della litania di Grady, dietro ai prodotti finiti, c’erano molti alri prodotti ai quali Grady non aveva pensato come cesoie, squadre, calderoni, stampanti, quaderni per la contabilita’, illuminzioni perche’ il lavoro potesse avvenire anche di sera, cucitrici, pinze, e cosi’ via. Continua…

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Storia del villaggio di Bardou

Posted by janejacobs su marzo 26, 2008

Bardou.jpg

Il villaggio di Bardou

Le citta’ sono le uniche entita’ economiche che hanno la capacita’ di generare e rigenerare le economie di altri insediamenti, vicini e lontani ad esse. Questo brano vuole fornire un semplice esempio di questo fenomeno: un piccolo accrocchio di case di pietra arroccate sulle montagne Cevenne nella Francia centro-orientale, una delle aree piu’ povere del Paese.

Verso la fine degli anni 60, il minuscolo villaggio di Bardou si ritrovo’ sulle pagine di molti quotidiani e riviste Nord Americano perche’, essendo cosi’ grazioso, era diventato una specie di Shangri-La per scrittori, musicisti, artisti e artigiani che vi si rifugiavano dalle grandi citta’ Europee e Americane in cerca di bellezza e di un posto quieto e a basso costo dove poter sfogare il proprio talento creativo.

Bardou ha un lungo passato, ma molte parti di questo passato sono sconosciute. Circa duemila anni fa, quando la Gallia divenne una provincia di Roma, Bardou era legata all’economia imperiale attraverso strade che terminavano in miniere di ferro nelle vicinanze del villaggio. Il ferro trovato nelle miniere nei dintorni di Bairou non veniva lavorato in spade, lance, scalpelli, aratri, o nei molti altri utensili che erano utili al’epoca, ma venivano trasportati in altri luoghi per essere trasformati in utensili. Non ci e’ dato di sapere dove il ferro di Bardou venisse trasportato. Si potrebbe ipotizzare che il ferro venisse trasportato a e venisse lavorato a Nîmes , una citta’ molto antica che era gia’ una metropoli nella Gallia pre-romana; oppure che venisse trasportato a Lugdunum, ora Lione, che era un centro tradizionale per la lavorazione del ferro e che era un nodo per il sistema delle strade romane nella Gallia. Ovunque fosse il mercato per il ferro di Bardou , la domanda di ferro doveva essere sufficiente a giustificare la costruzioni di larghe e solide strade che portavano al minuscolo villaggio. Tali strade erano state costruite in modo cosi’ solido che tuttora servono come sentieri per i turisti che vogliono fare passeggiate nelle montagne Cevenne attorno a Bardou , nonostante non sia stata fatta alcuna manutenzione su tali strade per almeno mille e cinquecento anni. Sia le miniere che le strade furono abbandonate quando la vita economica in questa parte della Gallia si disintegro’, probabilmente attorno al quarto secolo.

La natura si riapproprio’ dell’area, la zona si spopolo’ fino al sedicesimo secolo, quando alcuni mezzadri senza terra provenienti dalle valli sottostanti senza terra, ripopolarono l’area e costruirono le case di pietra che costituiscono il villaggio che oggi vediamo. I mezzadri strapparono alle rocce qualche piccolo orto, raccolsero castagne e senza dubbio vivevano di caccia e su quel suolo povero e rocciosi si arrabattavano alla meglio a vivere con le tecniche apprese da economie del passato piu’ creative della loro. Generazione dopo generazione, nulla cambio’ in quell’economia di semplice sussistenza. Possiamo addirittura affermare che la vita di Bardou non era solo dura, ma anche noiosa e in qualche modo malvagia, se crediamo alla tradizione che gli abitanti di Bardou erano soliti rubarsi il raccolto dei loro orti l’uno con l’altro dopo aver spostato i confini degli orti nella notte, e poi litigavano per anni su chi avesse diritto al raccolto. Questi erano i momenti piu’ eccitanti per Bardou per circa tre secoli e mezzo.

Poi, di colpo, attorno al 1870, ci fu un cambiamento. In qualche modo si diffuse voce che c’era una vita piu’ interessante e desiderabile in un posto lontano: Parigi. Forse questa voce inizio’ a spargersi attraverso reclute che stazionavano a Parigi, oppure vi arrivo’ dopo la guerra Franco-Prussiana; o forse la voce proveniva dagli emigranti che avevano lasciato il villaggio. Parigi aveva assorbito emigranti dalle campagne Francesi per generazioni; la voce si era sparsa a Bardou con molto ritardo, ma quando i primi intrepidi emigranti provenienti da Bardou lasciarono il loro villaggio per Parigi, un lento, ma totale esodo segui’. Nel 1900 meta’ della popolazione di Bardou era emigrata. Durante i seguenti 40 anni, quasi tutti se ne erano andati, con l’eccezione di tre famiglie.

Nel 1966, quando due turisti, un tedesco ed un americano, si ritrovarono a camminare in una delle vecchie strade romane, le rovine di Bardou proteggevano solo un vecchietto. I turisti comprarono il villaggio da lui e dai discendenti dei precedenti abitanti che i loro avvocati poterono rintracciare. Quando i due turisti divennero proprietari del villaggio, vi si trasferirono e invitarono altri amici ad unirsi a loro e ad aiutarli con i costi di mantenimento del villaggio. In questa sua nuova reincarnazione, Bardou ha un gruppo di residenti che vi abitano per tutto l’anno o che vi soggiornano solo in periodi di villeggiatura e che vivono dei loro risparmi o dei loro scritti che vendono ai loro editori o ai loro clienti ce abitano in grandi citta’. I nuovi abitanti di Bardou sono lieti di dare il benvenuto a turisti, campeggiatori e al denaro che portano con se’. I residenti ed i turisti di irrigazionevivono di cibo importato ed importano quasi tutto quello di cui hanno bisogno, ma si vantano di poter fare a meno di molte comodita’ della vita moderna come l’elettricita’, i telefoni e l’acqua calda. Un sistema di irrigazione per l’acqua (fredda) fu finanziato quando una societa’ cinematografica affitto’ il villaggio per fare alcune riprese e pago’ generosamente.

La storia di Bardou e’ unica ma solo nel senso che ogni posto, cosi’ come ogni persona o ogni fiocco di neve, e’ unica. Sotto un altro punto di vista, gli stessi cambiamenti, gli stessi eventi che si trovano nella storia di Bardou si possono ritrovare in molti altri posti su piu’ ampia scala. Bardou e’ un esempio un microcosmo, di quello che chiamo economie passive, cioe’ di economie che non creano cambiamenti economici da se’, ma che rispondono alle forze economiche di altre citta’. Bardou e’ stata modellata da energie economiche provenienti da lontano. Nell’antichita’ fu sfruttata per le sue miniere e poi fu abbandonata. In tempi piu’ moderni si spopolo’ quando i lavori nella citta’ lontana attrassero i suoi abitanti, e infine si ripopolo’ di gente proveniente dalle citta’. I cambiamenti non furono gentili. Ma quando le citta’ ed i cittadini lasciarono Bardou al suo destino, Bardou non sapeva cosa fare di se’ stessa, il villaggio non aveva un’economia di per se’, al di fuori di un’economia di sussistenza.Potremmo scervellarci nel tentare di spiegare la storia economica i Bardou compilando statistiche sul raccolto medio di castagne, sugli strumenti usati, sull’ammontare di ferro estratto dalle miniere o sulle ore di lavoro impiegate per costruire una casa, la natura del suolo, i centimetri di pioggia per anno, ma questo non ci aiuterebbe a capire perche’ Bardou si trasformo’ nel modo in cui si trasformo’. Le cause delle vicende che modificarono Bardou hanno origine in mercati in citta’ distanti, in lavori da citta’, in tecnologie delle citta’ (nuovi acquedotti, vecchie strade), in capitale proveniente dalle citta’. Per capire i cambiamenti di Bardou e perche’ ci furono periodo in cui nulla cambio’, dobbiamo guardare non agli elementi che definiscono Bardou , ma agli agenti di cambiamento che hanno bonificato Bairou.
Differenziare fra agenti di cambiamento provenienti da altre citta’ che hanno influenzato internazionalee fra cambiamenti che provengono dall’Impero Romano, dalla Francia, o dall’economia internazionale potrebbe sembrare cavilloso, ma non lo e’. In primo luogo, la realta’ e’ che i cambiamenti provenivano da citta’ particolari, in questo caso, da citta’ sempre distanti. Tutto attorno a Bardou si trova un’entita’ che si puo’ definire “Economia Nazionale Francese” ma non e’ questa economia che ha creato i cambiamenti di Bairou. Perche’ essere generici su queste cose se possiamo essere specifici? Roma, forse Nîmes o Lione, Parigi e le citta’ da cui provenivano gli artisti, scrittori e turisti che costituiscono l’attuale popolazione di Bardou (e da cui proviene la societa’ cinematografica) hanno generato e rigenerato la vita economica di Bardou.

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Le nazioni non sono l’unita’ di misura dell’economia

Posted by janejacobs su marzo 25, 2008

Quando un edificio sviluppa delle crepe, gli architetti che lo hanno progettato vanno a rivedere il progetto originale e cercano di capire che cosa non abbia funzionato. Allo stesso modo, quando un’economia non cresce come dovrebbe, gli economisti vanno a rivedere le loro teorie e cercano di capire cosa sia andato storto. Gli economisti hanno rivisitato mille e piu’ volte le loro teorie e hanno cercato di modificare le dosi, le combinazioni e le permutazioni dei loro interventi, cercando di sperimentarli con con sempre maggiore acume e sapienza. Tuttavia, davanti agli innumerevoli fallimenti, dobbiamo iniziare a pensare che gli economisti abbiano trascurato un assunto semplice, ma fondamentale.
Secondo la teoria macro-economica le economie nazionali sono entita’ utili e necessarie in se’ stesse per capire il funzionamento della vita economica: le economie nazionali e non altre entita’ sono l’unita’ di base per l’analisi economica. Questo assunto e’ vecchio circa quattro secoli e ci e’ stato trasmesso dagli economisti mercantilisti che servivano le potenze Europee perennemente in guerra fra loro per affermare il loro primato attraverso il commercio e l’accumulazione di oro. In quel periodo i Portoghesi, gli Spagnoli, i Francesi, gli Inglesi e gli Olandesi esploravano e conquistavano il Nuovo Mondo, l’Africa e le Indie in cerca di nuove rotte commerciali e di nuove materie preziose. I mercantilisti credevano che le rivalita’ nazionali erano la chiave per comprendere l’origine, lo sviluppo e la distruzine della ricchezza. Secondo le teorie mercantiliste, la ricchezza consisteva nell’oro e l’oro si accumulava quando una nazione riusciva a vendere piu’ merci di quante ne comprasse (da qui la definizione “mercantilista”). Se questa e’ la definizione di ricchezza, ne consegue che le economie nazionali diventano le unita’ di misura della ricchezza; quest’idea e’ tautologica in quanto ripete un’altra idea, quella di tesoro nazionale.

Miners use sluice boxes to search for gold in California, circa 1850.  Currier and Ives lithograph.
Il pensiero di Cantillon era un tentativo di superare questa tautologia: ricchezza = oro, ma possiamo vedere il nesso al pensiero mercantilista nel passaggio che ho quotato precedentemente: “Se l’aumento di denaro cresce dalle miniere d’oro e d’argento…”
Adam Smith, nella sua opera piu’ importante Inchiesta sula Natura e sulle Cause della Ricchezza delle Nazioni (1776) ridefini’ la ricchezza come produzione (offerta) ai fini di consumo (domanda) e cerco’ le sue fonti non nelle miniere d’oro e d’argento ma nel capitale e nel lavoro, nel commercio domestico e nel commercio internazionale. Smith mise in discussione e scarto’ molte delle idee che allora erano accettate, e analizzava nel dettaglio ogni idea che prendeva in considerazione, sia che la scartasse, sia che la approvasse, sia che la approfondisse.
Ma Smith accetto’ senza commentare la tautologia mercantilista che le nazioni sono le unita’ di misura di base per comprendere la vita economica. Da quanto si desume dai suoi scritti, Smith non mise mai in dubbio il ruolo delle nazioni al punto che da li parti’ nel titolo della sua opera principale.

Nei due secoli successivi alla pubblicazione del suo capolavoro, molto di quello che Smith scrisse venne criticato, messo in discussione, amplificato e modificato. Quasi tutto, tranne un’idea; quell’unica tautologia mercantilista su cui Smith non dubito’, quella tautologia secondo cui le nazioni sono l’unita’ di misura fondamentale dell’economia. Da allora, la stessa nozione mercantilista e’ stata data per scontata. Che strano! di certo nessun altro gruppo di studiosi e scienziati nel mondo moderno e’ rimasto credulone come gli economisti.
A dire il vero, Marx baso’ la sua analisi economica sulle classi sociali anziche’ sulle nazioni. Ma in pratica, l’economia marxista e’ stata assimilata all’assunto prevalente. Nessuno mette piu’ fede nella nazione come entita’ idonea come punto di partenza per l’osservazione dell’economia dei governanti delle nazioni comuniste e marxiste, ne’ maggior fede nello Stato come strumento principale per formare la vita economica. Naturalmente gli anarchici negano la validita’ dello Stato; ma questo non aiuta la nostra analisi, perche’ gli anarchici indicano come la vita economica dovrebbe funzionare e rifiutano il modo in cui l’economia funziona in realta’.
Le nazioni sono entita’ politiche e militari.
Ma da questo non ne segue automaticamente che sono anche la base, l’unita’ di misura fondamentale per capire la vita economica o che sono particolarmente utili per dimostrare i misteri delle strutture economiche e le cause della nascita, crescita e declino della ricchezza. In realta’, il fallimento dei governi nazionali di forzare la vita economica dimostra l’irrilevanza dell’entità -nazione- per spiegare la vita economica. Basta un po’ di buon senso per capire che unita’ variegate come Singapore, gli Stati Uniti, l’Ecuador, l’Unione Sovietica (*), l’Olanda e il Canada non sono minimi denominatori comuni comparabili. La sola cosa che queste entita’ hanno in comune e’ il potere sovrano. Quando alziamo le tapparelle della tautologia mercantilista e proviamo a guardare al vero mondo economico indipendentemente dagli artefati politici, ci troviamo ad osservare che le nazioni sono composte da collezioni di economie molto diverse fra loro fatte di regioni ricche e povere all’interno delle stesse nazioni. Continua…

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L’indice della miseria

Posted by janejacobs su marzo 25, 2008

Disoccupazione + Inflazione = Miseria 

Nessuna delle teorie esposte ha trovato una spiegazione soddisfacente al problema dell’inflazione. Invece di spiegare cosa sia e cosa si possa fare per combatterla, tutte le teorie economiche degli ultimi 200 anni hanno negato che la stagflazione possa esistere! I prezzi crescenti di cui parlava Cantillon nel 1730 erano indissolubilmente legati all’aumento dell’attivita’ (diminuzione della disoccupazione). Se si rompe questo legame, l’intera catena di ragionamenti si disintegra. Lo stesso vale per la teoria dei salari; rompete il legame tra prezzi crescenti e bassi tassi di disoccupazione e non vi rimane nulla. Mill prova a spiegare la stagflazione con la teoria del credito; il credito ai produttori, sia che si espanda o che si contragga, non produce stagflazione perche’ mette in modo l’altalena di cui abbiamo parlato: inflazione su, disoccupazione giu’, inflazione giu’ , disoccupazione su. Se si rompe il meccanismo dell’altalena non rimane nulla. Marx, che ha cosi’ poco in comune con Mill e con i monetaristi aveva una cosa in comune: nemmeno lui riusciva a spiegare la stagflazione. In fondo, la sovra-produzione, implica sia disoccupazione che prezzi decrescenti, una tesi che Marx riprendeva continuamente. Ma se si rimuovono le cause della sovra-produzione, tutta la logica Marxista collassa. Insomma, davanti alla stagflazione tutta la teoria economica degli ultimi 200 anni collassa.

Arthut M. Okun, che era un esperto della curva di Phillips e che aveva lavorato come consigliere del presidente Lyndon Johnson, era stato uno dei primi keynesiani a diventare sospettoso della sua dottrina. Dopo che l’emersione della stagflazione negli anni 60, Okun suggeri’ che disoccupazione e stagflazione fossero congiunte in un’unica curva chiamata “il tasso della miseria“.
Okun fece un’analogia fra il suo tasso della miserie ed il tasso di malessere fisico riportato dagli uffici metereologici nei periodi estivi per misurare il malessere causato da elevate temperature ed elevata umidita’. Secondo Okun se l’inflazione era al 10% e la disoccupazione era al 6%, non si guadagnava molto aumentando l’inflazione all’11% e facendo scendere il tasso di disoccupazione al 5%; le due quantita’, sommate nel suo tasso della miseria erano comunque al 16%.

 

Gli economisti non presero sul serio il tasso di malessere di Okun, anche se lo trovarono interessante. Per gli economisti, il tasso della miseria di Okun era come mischiare le mele con le pere, poteva servire a spiegare un malessere politico, ma non serviva a risalire alle radici del problema.Supponiamo tuttavia di portare avanti l’analogia di Okun. Il motivo per cui l’Ufficio Metereologico americano produceva il tasso di malessere (calore + umitida’) serviva a spiegare una condizione.
Allo stesso modo Okun poteva spiegare una condizione in cui si trovava l’economia in quegli anni: prezzi alti + poco lavoro.

Se ci pensiamo un attimo, possiamo concludere che questa condizione non e’ ne’ cosi’ strana, ne’ cosi’ nuova. Al contrario, la miseria e’ la condizione normale in cui si trovano le economie povere e arretrate in tutto il mondo. La condizione sembra strana se si manifesta improvvisamente nelle economie sviluppate.
Spesso non ci rendiamo conto di quanto alti siano i prezzi nei paesi poveri perche’ a noi sembrano prezzi molto bassi. Quando visitai il Portogallo nel 1974, i prezzi al mercato del pesce di Lisbona, del biglietto dell’autobus, di un pranzo al ristorante (non un ristorante per turisti, si intende) mi sembravano prezzi stracciati. Gli oggetti e gli elettrodomestici che una qualsiasi famiglia negli Stati Uniti poteva tranquillamente permettersi ed erano considerati normali, in Portogallo erano appannaggio solo delle classi privilegiate. Qualsiasi lavoro, e non solo lavori ben remunerati, era difficile da trovare per gran parte della popolazione Portoghese e questa situazione non era strana o ciclica. Era la condizione normale per il Portogallo. Questo e’ il motivo per cui molti lavoratori portoghesi sono emigrati per decenni e per generazioni. Insomma, una condizione di prezzi elevati e disoccupazione elevata era normale in Portogallo. Tuttavia, un Portoghese medio che negli anni 70 avesse visitato Madras, avrebbe trovato estremamente convenienti i prezzi di Madras; ma quei prezzi non erano poi cosi’ convenienti per gli Indiani. La condizione di prezzi elevati e alta disoccupazione e’ una condizione ancora piu’ estrema in India che in Portogallo, ma in India non viene considerata strana. Quando Adam Smith osservava alta disoccupazione e prezzi alti in Scozia, Smith si trovava davanti alla stagflazione, una condizione che nella Scozia arretrata e povera di allora era normale. In realta’, la stagflazione non e’ una cosa anormale ne’ senza precedenti in molte parti degli Stati Uniti. Basta brevemente documentarsi sulla vita delle zone dei Monti Appalachi, o del Sud, per realizzare che prezzi alti e scarso lavoro sono stati a lungo una condizione normale in quelle regioni. Solo di recente entrambe queste disgrazie si sono messe a colpire all’unisono la totalita’ degli Stati Uniti. Questa e’ l’unica cosa anormale, che la stagflazione abbia colpito la nazione piu’ potente della terra tutto d’un colpo.C’e’ una differenza tra l’essere malati e l’essere moribondi, cosi’ come c’e’ una differenza tra l’affacciarsi della stagflazione e la stagflazione cronica. Un’economia davvero moribonda ha raggiunto la condizione di stagflazione cronica. Non vi e’ piu’ ritorno. Un’economia in cui i prezzi e la disoccupazione hanno da poco iniziato a crescere contemporaneamente non e’ ancora moribonda.Io non riesco a concepire nessuna spiegazione della stagflazione se non come una normale conseguenza della stagnazione economica, cosi’ come l’arretratezza e la bassa produttivita’ sono conseguenze normali della stagflazione. Se ho ragione, l’emergenza della stagflazione nelle economie sviluppate avra’ conseguenze devastanti. Il problema non e’ solo di contenere la crescita dei prezzi aumentando la disoccupazione o di contenere la disoccupazione facendo salire i prezzi di un po’. La stagflazione e’ una condizione di per se’, la condizione di un profondo declino economico.Recentemente, alcuni monetaristi hanno provato a spiegare i risultati deludenti della lotta alla stagflazione inventando il cosiddetto “tasso di disoccupazione naturale”. Questi monetaristi sostengono che se un’economia matura un elevato tasso di disoccupazione naturale, e se tale tasso viene poi spinto sotto il suo livello naturale, la disoccupazione pu’ restare alta ed allo stesso tempo l’inflazione puo’ restare elevata perche’ si e’ cercato di turbare l’ “equilibrio naturale” della disoccupazione di quella data economia in maniera “non naturale”. Questo tortuoso tentativo di spiegare perche’ l’altalena disoccupazione-inflazione funziona ancora rappresenta un tentativo dei teorici di salvare le proprie teorie.Parlare di difetti strutturali o di tassi di disoccupazione “naturalmente” elevati ci riporta all’esempio del Piano Marshall descritto precedentemente e di come aiuti economici siano stati recepiti in maniera diversa in diverse nazioni e in diverse comunità. Non capiamo come catalizzare lo sviluppo economico in economie arretrate, e non capiamo come prevenire le economie avanzate dallo scivolare nell’arretratezza; due lati dello stesso mistero.Ma una cosa che sappiamo, dato che la Storia ce l’ha stampata davanti alla faccia: non siamo cosi’ sciocchi da pensare che la macro-economia, per come ci e’ stata spiegata sino ad oggi, possa essere di aiuto per capire lo sviluppo economico. Secoli e secoli di teorie sulla domanda che insegue l’offerta e dell’offerta che insegue la domanda non ci hanno praticamente spiegato nulla su come la ricchezza cresca o si riduca. Dobbiamo trovare linee di pensiero piu’ realistiche e produttive. Scegliere fra le scuole di pensiero di economisti esistenti non porta da nessuna parte. 

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Il fallimento dei monetaristi: Fisher e Friedman

Posted by janejacobs su marzo 17, 2008

 

Milton Friedman

Mentre i keynesiani si arrendevano davanti al fenomeno della stagflazione, prendevano piede le teorie dei cosiddetti monetaristi. I monetaristi sono economisti che spiegano l’economia dal lato dell’offerta. La loro teoria si basa sulla teoria della Grande Depressione esposta da Irving Fisher, un professore di economia dell’Università’ di Yale Ma i monetaristi divennero famosi per appartenere alla scuola di Chicago perche’ le teorie di Fisher furono sviluppate da Milton Friedman dell’Universita’ di Chicago che, come Samuelson, ha vinto un Nobel per l’economia.
L’idea di base di Fisher era la stessa esposta da John Stuart Mill quasi cento anni prima. Fisher riteneva che la causa della Grande Depressione era una drastica contrazione del credito, dovuta al panico dei banchieri che temevano – a ragione – che le banche non avevano abbastanza denaro per far fronte ai loro impegni. Fisher attribui’ la paura delle banche al fatto che le banche, in maniera del tutto legale, potevano prestare multipli del loro capitale: multipli delle riserve che detenevano in contanti e titoli del Tesoro Americano. Fisher sostenne che l’unico modo per evitare la Depressione era di espandere il credito ai produttori, e che in futuro si sarebbe dovuto stabilizzare il credito bancario, evitando di farlo fluttuare “selvaggiamente” come era avvenuto negli anni 20. Per raggiungere questo, propose che il governo prendesse piena responsabilita’ per il processo di creazione del denaro, invece di lasciare che fossero le banche a creare il denaro prestando piu’ di quanto potessero.

Secondo Fisher le banche dovevano tenere riserve in linea con i prestiti che elargivano sotto forma di titoli di stato. Da un lato, questo provvedimento impedirebbe alle banche di aumentare il credito al di sopra del volume di moneta deciso dalo stato; dall’altro lato, la sicurezza che le banche avrebbero ottenuto con un tasso di riserve pari al 100 per cento avrebbe reso inutile per loro contrarre il credito ad altre banche, dal momento che questo avrebbe loro creato solo una perdita di profitto senza rischi. Se la domanda di prestiti era bassa, i tassi di interesse piu’ bassi avrebbero automaticamente corretto questo sbilancio; se la domanda di prestiti era alta, le banche avrebbero semplicemente aumentato i loro tassi di interesse. I tassi di interesse, il costo del denaro, avrebbero fluttuato in rapporto alla domanda e all’offerta di credito, ma l’ammontare di credito disponibile non sarebbe variato.

Fisher sosteneva che un governo dovesse assumersi la responsabilita’ di aumentare la quantita’ di moneta in circolazione ad un tasso annuale predeterminato e calcolato per sostenere l’espansione della produzione, ma non piu’ per tenere i prezzi stabili ed evitare l’inflazione. Fisher aveva dati statistici che sostenevano le sue teorie; sie in tempi buoni che in tempi di recessione, il prodotto interno lordo degli Stati Uniti ammontava a tre volte il volume della moneta in circolazione e dei depositi bancari. Dal momento che i depositi bancari fanno capo in un modo o nell’altro ai prestiti bancari, Fisher diceva che i dati da lui riportati provavano che il volume dei prestiti determinava il volume di attivita’ economica, inclusi i tassi di interesse e l’a disoccupazione. Diversamente dalle ricette keynesiane, le ricette di Fisher non venivano adottate ne’ in America ne’ altrove; cio’ nonostante, sotto la guida di Friedman, il monetarismo rimase una forza viva ed intellettualmente forte.

Per molte ragioni tecniche e’ difficile definire che cose sia la “moneta”, e questo problema si aggravato sin dai tempi di Fisher. Per i monetaristi moderni, come per Fisher, moneta significa contavi e assegni usati in transazioni commerciali; ma statisticamente separare questa M1 (come adesso viene chiamata) dai depositi di risparmio e da altre forme di moneta e’ diventata una specialita’ piuttosto arcana. Questa specialita’ e’ di grandissima importanza per i monetaristi perche’ il principale punto della teoria monetarista e’ che vi sia sempre disponibile un ammontare gradualmente crescente di moneta per favorire gradualmente la produzione. Per i monetaristi, quando denaro e prodotto interno lordo crescono allo stesso passo, la domanda e l’offerta si bilanciano e i prezzi rimangono stabili. Per i monetaristi, le iniezioni di denaro sotto forma di spesa pubblica cosi’ come erano stati prescritti da Keynes, erano un’abominio.

Dopo che la stagflazione ha distrutto la credibilita’ dei keynesiani, i governi del Regno Unito, degli Stati Uniti, del Cile e di altri paesi hanno iniziato a farsi consigliare dai monetaristi. I monetaristi erano preparati. Dal momento che la stagflazione era un mostro a due teste, i monetaristi proposero due armi: per attaccare l’inflazione, prescrissero tassi di interesse elevati e tagli della spesa pubblica, particolarmente per quei tagli in supporto della domanda. Per tagliare la disoccupazione, che ritenevano dovuta ad un insufficiente investimento in attivita’ produttive, proposero di ridurre le tasse, con il fine di aumentare i fondi per investimenti produttivi da parte dei privati. Dal momento che una tassazione inferiore avrebbe dovuto stimolare la produttivita’ e l’occupazione, anche con tasse piu’ basse, il governo avrebbe incassato di piu’ per via dell’aumento della produzione; simili risultati venivano dimostrati con le curve di Laffer, degli strumenti simili alle curve di Phillips che suggerivano che queste teorie erano valide.

Quando queste teorie venivano applicate, gli alti tassi di interessi rendevano i prestiti non economici per i produttori e portarono alla bancarotta (o vicino alla bancarotta) molti di essi. Quando invece la produzione si contraeva e la disoccupazione aumentava, l’abbassamento delle tasse non produceva gli effetti sperati e serviva solo ad aumentare il debito pubblico. Insomma, le misure che volevano combattere l’inflazione si traducevano nella rovina dei produttori e dei lavoratori, mentre le misure che volevano aiutare i produttori si trasformavano in un elevato debito pubblico.

 

Alcuni pensavano che i governati delle economie Marxiste avrebbero avuto ragione nel decretare la fine del capitalismo. Ma anche loro non potevano permettersi di cantare vittoria. La stagflazione stava mettendo in ginocchio anche loro. Nei paesi marxisti la stagflazione era nascosta da imprese che assumevano troppi dipendenti rispetto a quelli di cui c’era bisogno, e da sussidi ai prezzi che periodicamente dovevano interrompersi sotto la pressione dell’inflazione. Inoltre, le economie Marxiste erano diventate dipendenti dalle economie Americane, Giapponesi ed Europee per la generazione di capitale, che loro stessi erano incapaci di produrre, capitale che non sarebbero stati mai in grado di ripagare. Continua…

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I disastri dei Keynesiani

Posted by janejacobs su marzo 12, 2008

John Maynard Keynes

John Maynard Keynes, l’economista piu’ influente del ventesimo secolo, riteneva che le economie attraversassero periodi in cui l’investimento si affievoliva, non diventava piu’ profittevole, e quindi il capitale si accumulava sotto forma di risparmi, di rendite. La gente differiva la spesa in favore del risparmio, e i risparmi non aiutavano a spingere la domanda di beni capitali. L’interruzione della domanda porta al declino della produzione di beni capitali, disoccupazione, declino di domanda per beni di consumo con l’aumento della disoccupazione, ulteriore disoccupazione, prezzi decrescenti, profitti decrescenti, fallimenti e bancarotte. I risparmi stessi evaporano nel corso di questa debacle e la situazione diventa irreversibile.
Nel formulare questa teoria, Keynes cercava di spiegare la Grande Depressione degli anni 30, e si prefiggeva di trovare strumenti adatti per combattere simile depressioni in futuro. Keynes pensava che il governo nazionale potesse aiutare l’economia aumentando la spesa pubblica piu’ di quanto il governo nazionale non ricevesse dalle entrate fiscali.

Cosi’ Keynes teorizzo’ di aumentare il deficit pubblico non solo per mantenere le spese correnti del governo, ma anche per aiutare l’economia. Un governo, in breve, puo’ liberamente scegliere di correggere le interruzioni della domanda se la domanda non era in grado di correggersi da se’. In tempi migliori, poi, il governo avrebbe dovuto tornare a far quadrare i conti. Naturalmente, Keynes capi’ che piu’ domanda richiede una maggiore quantita’ di capitale. Da economista che vede l’economia dal lato della comanda, Keynes pensava alla guidasse e l’offerta seguisse la domanda, e per questo se il governo avesse finanziato la domanda con un po; piu’ di debito in favore di programmi che facilitavano la spesa e il trasferimento di ricchezza, in questo modo, Keynes aiutava i consumatori.

I seguaci di Keynes, alcuni dei quali divennero consiglieri a presidenti e primi ministri, e molti dei quali lavorarono nei ministeri di tutto il mondo Occidentale, volevano usare le leve fiscali Keynesiane con responsabilita’ e precisione, stando nei vincoli purtroppo meno responsabili e precisi tipici della politica. L’obiettivo era di mantenere i tassi di disoccupazione bassi, di evitare gli eccessi di domanda – troppi soldi che inseguono troppi pochi beni – che avrebbero causato spinte inflazionistiche; l’obiettivo, insomma, era di mantenere l’altalena ferma ed in equilibrio.

A tutti questi economisti, la strategia sembro ‘ chiara, costruttiva e corretta; gli economisti Keynesiani pensavano che il problema principale era il raffinamento di queste tattiche; manipolazioni fiscali, manipolazioni dei tassi di interesse, ammontare e qualita’ della spesa pubblica, creazione di bilanci statali, scelte su come finanziare tali bilanci e tempismo con cui effettuare questi interventi. I Keynesiani erano concentrati nella creazione di una scienza dell’intervento pubblico – una vera scienza, come la fisica o la chimica, in cui si possono analizzare e quantificare precisamente gli interventi pubblici nell’economia ed i loro risultati.

Arrivati al 1960, i Keynesiani credettero di avere nelle loro mani strumenti che servivano come guida agli interventi pubblici del governo nell’economia e strumenti di misurazione precisa della qualita’ di tali interventi. Un ingegnere elettronico neozelandese di nome A. W. H. Phillips era diventato un professore di economia di stampo Keynesiano alla London School of Economics e aveva inventato la cosiddette curve di Phillips.

Phillips aveva studiato economia negli anni immediatamente successivi alla seconda Guerra mondiale imparando vari modelli economici. I modelli economici erano, e sono ancora, esercizi che si prefiggono di dimostrare matematicamente come una certa economia si comportera’ al variare di certi fattori. Studiando la principale opera Kynesiana, La Teoria Generale dell’Impiego, dell’Interesse e della Moneta, Phillips costrui’ un modellino di un’economia Keynesiana che ritenne affidabile come i suoi modellini di idraulica. Questo modellino era un giocattolo con tanto di tubi e di valvole che si muovevano con la pressione dell’acqua e che rappresentavano i prezzi, la disoccupazione e la moneta. Questo giocattolo fu brevettato e per un certo periodo ottenne un notevole successo nelle Universita’ Britanniche, Americane e Australiane. Anche al fondazione Ford acquisto’ il modellino; dopodiche’ Phillips delego’ la produzione del suo giocattolo economico ad una societa’ Inglese e torno’ all’analisi matematica.
La Gran Bretagna e’ una splendida miniera di dati economici, e fra i tesori degli archivi negli anni 40 e 50 c’era una taola di cambiaenti dei prezzi e della produzione Britannici dal 1858 al 1914. Confrontando prezzi e produzione nel 1954, Phillips trovo’ che la produzione aumentava in tempi di prezzi crescenti e diminuiva in tempi di prezzi decrescenti; insomma, la nostra solida altalena. Ma Phillips porto’ questa relazione piu’ avanti. Phillips quantifico’ i movimenti dell’altalena analizzando a quale livello dell’altalena si trovavano inflazione e produzione ogni anno e comparava le percentuali. Phillips noto’ che un cambiamento di una quantita’ corrispondeva al cambiamento dell’altra quantita’. Pochi anni dopo, Phillips fece un simile confronto, questa volta fra i tassi di disoccupazione della forza lavoro Britannica nella prima meta’ del 1900 e le paghe sindacali nello stesso periodo. Nel 1958 distillo’ i risultati di questa ricerca in un grafico che assomigliava ad una linea concava. Cio’ che la linea sembrava dimostrare e’ che ad ogni tasso di aumento dei salari corrispondeva un aumento del tassi di disoccupazione.

Phillips stesso avverti’ che la sua curva forniva una teoria dell’inflazione, e almeno a quel tempo, penso’ che la sua non era una scoperta, ma semplicemente una quantificazione di cio’ che tutti sapevano comunque. Ma gli economisti, i quali sono impareggiabili nel travestire da scienza il comportamento imprevedibile e misterioso del mondo reale si innamorarono di questa curva in maniera inaspettata. I tassi di inflazione specifici corrispondevano, sembrava, precisamente ai tassi di disoccupazione. Questo poteva essere logicamente significare che il governo voleva un cambiamento nel tasso di disoccupazione, molto probabilmente, una riduzione, ed il tasso desiderato si poteva ottenere modificando la pressione fiscale e la spesa pubblica. Al contrario, se un governo voleva un certo taso di inflazione, molto probabilmente una riduzione, anche quello si poteva ottenere attraverso la manipolazione, e il coso in lavori sarebbe prevedibile, quindi sarebbe giudicato accettabile, non accettabile, ma comunque pianificabile.
In poco tempo, gli economisti di tuto il mondo creavano e rifinivano le loro curve di Phillips e le insegnavano in tutte le scuole di economia del mondo occidentale. La prima curva basata su dati americani fu realizzata nel 1960, uno dei suoi autori era Paul A. Samuelson, il principale autori di testi di economia americani e piu’ tardi vincitore del premio Nobel in economia. Negli Stati Uniti un tasso di disoccupazione tra il 3 ed il 4 per cento era ritenuto rappresentare il pieno impiego dal momento che questa percentuale rappresentava la naturale disoccupazione che si crea quando i lavoratori si spostano fra un lavoro ed un altro o quando i lavoratori fanno il loro primo ingresso nel mercato del lavoro. In Svizzera un tasso di disoccupazione dell’1 per cento o meno indicava il pieno impiego; tale differenza era dovuta agli usi divari paesi.

In America l’obiettivo era di mantenere la disoccupazione al 4 per cento o sotto il quattro per cento. Storicamente, sembra che questo era associato con un’inflazione di meno del 3 per cento annuale. Quindi quelli erano i valori che mantenevano l’economia in equilibrio. Nel 1964, il tasso di occupazione aumento’ al 5.2 per cento. Ma non c’era da preoccuparsi; il taso di inflazione si poteva abbassare all’1.3 per cento. Questo tipo di politiche economiche erano applicate da Kennedy e Johnson negli anni 60.

A partire dal 1967, l’aumento dell’inflazione non compensava piu’ la diminuzione della disoccupazione, ed il fenomeno andava peggiorando negli anni. All’inizio, il fatto che l’economia non si comportasse come previsto dalle curve di Phillips fu ritenuto temporaneo e, quando ci si rese conto che il fenomeno non era piu’ temporaneo, si trovavano diverse scuse: le tasse non erano sufficienti perche’ andavano a iniziare la guerra in Vietnam, e poi si trovo’ la scusa che il prezzo del petrolio saliva troppo. Ma gia’ nel 1971 alcuni Keynesiani iniziavano a sospettare che la loro fiducia nelle curve di Phillips era ml riposta; entro il 1975, quando la disoccupazione negli Stati Uniti era all’8.5 per cento e l’inflazione era al 9.1 per cento, la maggior parte dei Keynesiani, incluso Samuelon, non funzionavano, ma non sapevano il perche’.

Abbandonare le curve di Phillips fu difficile per gli economisti keynesiani, perche’ la mancata fiducia in tali curve, minava dalle fondamenta la teoria economica keynesiana. Se le prescrizioni non raggiungevano i risultati previsti dalla teoria keynesiana, significava che la teoria poteva avere un errore fondamentale. Continua…

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Da Adam Smith a Karl Marx

Posted by janejacobs su marzo 11, 2008

Molti paesi, tra cui gli Stati Uniti, sono diventati vittime di un fenomeno insidioso chiamato stagflazione, un fenomeno che combina elevata disoccupazione ed elevata inflazione.
Secondo la teoria economica, questo fenomeno non dovrebbe esistere. Ma di fatto esiste e nessuno sa come combattere la stagflazione senza aumentare la disoccupazione da un lato o l’inflazione dall’altro. Il dilemma della stagflazione ha causato enormi problemi nei paesi più’ avanzati. Tali paesi credevano di poter governare l’economia dall’alto con politiche monetarie e fiscali.
Ma la stagflazione ha distrutto due secoli di teorie economiche. I prezzi crescenti non sono un grande problema se i posti di lavoro ed i salari crescono più’ velocemente. Questo “lato benefico” dell’inflazione ha interessato generazioni di economisti che hanno offerto eleganti spiegazioni al fenomeno.

Richard Cantillon, un economista Francese scrisse nel 1730:

“Se il numero di monete in circolazione aumenta grazie ad aumenti della produzione di oro e argento nelle miniere, i proprietari di queste miniere, i minatori, gli operai delle fonderie e dei conii aumenteranno le loro spese in proporzione all’oro e all’argento prodotti in eccesso. Nelle loro case consumeranno più carne, più’ vino o birra di prima, essi si abitueranno ad indossare indumenti più’raffinati, useranno lenzuola e coperte piu’ pregiate, avranno case meglio arredate […]. La domanda di carni, vino, lana ecc. aumenterà’ e i prezzi di questi beni aumenteranno. L’aumento dei prezzi determinerà’ un maggiore impiego della terra da parte dei contadini; gli stessi contadini trarranno maggiore profitto dall’incremento dei prezzi e spenderanno più’ denaro nelle loro famiglie come gli altri.
In virtu’ di tutto questo:
Considero in generale che un incremento della moneta in circolazione in una Nazione generi un corrispondente incremento del consumo di beni che gradualmente porta ad un aumento dei prezzi.”

Per quanto questa spiegazione paia antiquata, e’ anche molto familiare. Cantillon aveva cercato di rispondere alle quattro grandi domande dell’economia:

1) perche’ l’attivita’ economica cresce?

2) perche’ i prezzi salgono?

3) qual’e’ il rapporto tra crescita e prezzi?

4) se esiste un rapporto fra crescita e prezzi, come funziona?

Le risposte di Cantillon portano a quella che oggi chiamiamo teoria di espansione economica dal punto di vista della domanda, il che significa che la domanda di beni e servizi porta alla crescita economica, mentre l’offerta di beni e servizi si adatta alla domanda. Quella che Cantillon teorizzo’ era l’influsso della moneta a procurare un aumento della domanda.
In modo un po’ primitivo, Cantillon fu il primo economista Keynesiano duecento anni prima di Keynes.
Ora, proviamo a riprendere le quattro domande fondamentali dell’economia in senso negativo:
1) perche’ l’attività economica decresce?
2) perché i prezzi scendono?
3) qual’e’ il rapporto tra decrescita economica e decrescita dei prezzi? 
4) in che modo tale rapporto funziona?

 Alcuni pensatori, come Marx, sono partiti proprio da queste domande in negativo; ma ovviamente le quattro domande in positivo dovevano avere la stessa e speculare risposta delle quattro domande in negativo.

In una situazione “normale” il livello dei prezzi e il tasso di disoccupazione sembravano funzionare come un’altalena, i prezzi stavano da una parte e la disoccupazione stava dall’altra. In periodi di espansione economica, come quelli a cui si riferiva Cantillon, i prezzi salivano e la disoccupazione scendeva. Durante i periodi di recessione o depressione, i prezzi tendevano a scendere e la disoccupazione tendeva a salire.
 
 

Prezzi su, disoccupazione giu’; prezzi giu’, disoccupazione su.

Ma la stagflazione non obbedisce a queste regole, perche’ manifesta prezzi crescenti e disoccupazione crescente, rendendo l’immagine dell’altalena assurda. Per descrivere la stagflazione dovremmo immaginare che la tavola dell’altalena si trovi contemporaneamente in due punti diversi.
Ad esempio, negli Stati Uniti la stagflazione inizio’ nel 1968 e in seguito la staglfazione si intensifico’ sia in periodi positivi che in periodi negativi del ciclo economico, rovinando i periodi positivi e rendendo i periodi negativi orribili. In parole povere, durante ogni periodo di prosperita’ ed espansione, i livelli di disoccupazione non scendevano cosi’ in basso come durante la precedente espansione. Cosi’ il livello minimo di disoccupazione strutturale aumentava ad ogni periodo del ciclo. E durante le recensioni, la disoccupazione tendeva ad essere piu’ severa di quella del ciclo precedente.
Durante ogni recessione, i prezzi continuavano a salire invece di scendere o almeno rimanevano uguali. Il tasso di crescita dell’inflazione rallentava. Durante ogni ripresa economica, il tasso di inflazione iniziava a salire prima di quanto aveva fatto nella recessione precedente, e tendeva ad accelerare piu’ rapidamente. Insomma, a partire dalla fine degli anni sessanta gli Stati Uniti hanno prodotto un ciclo economico che non funzionava.
Cosi’, dietro ai movimenti dell’economia, disoccupazione e prezzi aumentavano contemporaneamente. Solo in alcuni anni il tasso di inflazione era superiore al 10 per cento, ma siccome l’inflazione si moltiplica nel tempo, i prezzi tra il 1967 ed il 1983 salirono del 200 per cento e continuarono a salire anche nel 1983 quando la disoccupazione raggiunse il 10 per cento.
L’elevata disoccupazione e i fallimenti societari nel 1982 ricordavano quelli della Grande Depressione degli anni 30. Ma durante la Grande Depressione, mentre saliva la disoccupazione, i prezzi scendevano.

Nella Grande Depressione il meccanismo dell’altalena aveva funzionato. A partire dal 1967 fino ai primi anni 80 c’era un fenomeno nuovo e intrattabile: la stagflazione. Gli Stati Uniti non furono l’unica vittima della stagflazione. La Gran Bretagna ha avuto una stagflazione per un periodo piu’ lungo di quella apparsa negli Stati Uniti. Pochi anni dopo che la stagflazione apparve negli Stati Uniti, apparve anche in Canada, e apparve anche nelle economie Europee. Ma non tutto il mondo era in stagflazione, ad esempio la Svizzera ed il Giappone in quegli anni seguivano ancora le regole espresse da Cantillon. Dietro questo dilemma c’e un terribile vuoto teorico nei volumi di teoria economica, non si trova nessuna teoria economica classica che riconosca la realta’ della stagflazione, va da se’ che non esistono rimedi contro la stagflazione .
La linea di pensiero di Cantillon non fu seguita da Adam Smith, che inizio’ a pubblicare le sue opere quaranta cinque anni dopo Cantillon.

Adam Smith 

Le teorie di Smith erano fondate sull’offerta. Smith attribuiva l’espansione economica all’espansione della produzione e del commercio e vedeva la domanda di beni come una conseguenza dell’espansione dell’offerta. Tuttavia, al contrario di altri economisti che partivano dall’offerta per giustificare la crescita economica, Smith non collego’ il nesso fra aumento dei prezzi e discesa della disoccupazione. Smith non defini’ mai la moneta come un fattore che potesse stimolare o deprimere la produzione. Egli attribui’ l’aumento generale dei prezzi soltanto alla propensita’ dei governi di praticare il signoraggio diluendo le monete preziose con metalli meno preziosi, in particolare quando volevano finanziare guerre; o per diminuire gli aumenti di oro ed argento in circolazione. Smith pensava che questi aumenti “nominali” dei prezzi come poco importanti rispetto ai prezzi “reali” dei beni e dei servizi. I veri prezzi, cosi’ come la vera ricchezza, erano rintracciabili nel lavoro. Smith considerava la ricchezza (incluso il capitale) come prodotto della fatica del produrre. Pertanto il lavoro era il costo di ogni cosa, il vero prezzo, la vera misura che dava il prezzo a cui venivano scambiate le materie prime ed i beni. A onor del vero, Smith disse che il valore monetario del lavoro oscillava in funzione della domanda di lavoro da parte di produttori e di mercanti. Dove il lavoro e’ molto richiesto – disoccupazione bassa – i salari aumentano nonostante i tentativi dei datori di lavoro di tenere i salari bassi. E dove la forza lavoro abbonda – la disoccupazione e’ alta – i salari diminuiscono. Ma Smith faceva fatica a slegare nelle sue teorie queste dinamiche dall’andamento dei prezzi. Smith identificava l’aumento dei prezzi come un fenomeno nazionale. Smith portava ad esempio gli alti salari in Inghilterra e i bassi salari in Scozia, ma siccome i due paesi appartenevano alla stessa nazione, la Gran Bretagna, non si curava del fenomeno, perche’ credeva che alla fine Scozia e Gran Bretagna sarebbero stati soggetti a a prezzi “nazionali”. Insomma, Smith non solo non offri’ nessuna spiegazione sulla connessione fra andamento dei prezzi e livelli di disoccupazione, me nego’ che vi fosse una connessione. Cio’ nonostante, basta tralasciare l’insistenza di Smith nel dire che i salari si misurano a livello nazionale e il suo esempio di aggiustamento dei prezzi a livello locale si presenta come una chiara connessione fra salari e inflazione. Perche’ se e’ vero che tutti i costi derivano dal costo del lavoro, e se e’ anche vero che i salari tendono a salire quando la disoccupazione scende; prima, forte domanda di lavoro; poi, i salari salgono; poi tutti i costi salgono; e alla fine i prezzi salgono. Questo sembra, almeno teoricamente, essere una spiegazione plausibile per i movimenti dell’altalena di cui parlavamo sopra: bassa domanda di lavoro; salari decrescono; costi scendono; e alla fine i prezzi scendono.

La teoria dei salari e’ attraente perche’ e’ semplice e probabilmente e’ per questo che e’ sempre stata molto popolare. Il suo difetto e’ che e’ troppo semplice. Lascia troppi fenomeni inspiegati. Soprattutto, non getta alcuna luce sul perché la domanda di lavoro debba oscillare. Questo e’ il problema centrale, che tuti i seri economisti da Cantillon in avanti, hanno provato a spiegare. La parte mancante e’ cruciale. Se la domanda di lavoro e’ la forza che fa muovere l’altalena, rimaniamo con una forza proveniente dal nulla e che non riusciamo a spiegare.In associazione a questa teoria, vi sono varie spiegazioni sull’inflazione spinta dai costi; i costi salgono, i prezzi salgono, quindi i salari devono salire; quindi i costi devono salire ancora di piu’; quindi i prezzi devono salire ancora; quindi i costi devono salire ancora; ecc. Mentre questa sembra una spiegazione plausibile per spiegare la spirale dell’inflazione, soffre della stessa fatale semplicita’ della teoria dei salari esposta sopra.
John Stuart Mill nel 1884 propose che la forza cruciale per muovere l’altalena fosse l’espansione o la contrazione del credito dalle banche alle aziende.
Mill era un economista che spiegava l’economia dal lato dell’offerta. Le sue idee sul credito completavano quelle di David Ricardo in Inghilterra e di Jean Baptiste Say in Francia, due dei piu’ influenti economisti del primo Novecento. Ricardo e Say pensavano che la produzione guidasse l’espansione economica e che non c’e’ limite pratico alla capacita’ di una nazione di utilizzare il capitale in maniera produttiva. Mill disse che se il capitale in circolazione per le aziende, per i produttori si doveva contrarre, allora la produzione stessa doveva contrarsi, riducendo quindi la domanda i lavoro, il consumo e i prezzi.
Per Mill, la produttivita’ ed il capitale potevano espandersi illimitatamente, a condizione che il credito venisse remunerato con tassi di interesse positivi. Mill, come Cantillon e diversamente da Adam Smith, sottolineava l’effetto stimolante della moneta (nella forma di credito), ma essendo un economista che spiegava l’economia dal lato dell’offerta, percorreva un sentiero diverso da Cantillon.
 Karl Marx

 Karl Marx, i cui scritti erano contemporanei a quelli di Mill, era furioso con Mill, Ricardo e Say per quanto riguardava le loro idee sul credito. Che ciarlatani! Che creature miserabili; che tranelli che disseminavano! Marx spiegava l’economia dal lato della domanda. La domanda che lui identificava come i bisogni della popolazione, era illimitata per definizione. Mill, Ricardo e Say non avevano capito nulla con i loro discorsi sulla crescita illimitata del capitale. Non sono i produttori che hanno bisogno di denaro, ma il popolo dei lavoratori. Cio’ che costringe l’economia e’ a mancanza di denaro nelle tasche dei lavoratori, non dei produttori.Marx sosteneva che dal momento che il profitto proveniva dalla vendita di beni e servizi, i lavoratori che producevano beni ed servizi spesso non potevano permettersi di comprare cio’ che producevano. Questo fenomeno portava inesorabilmente alla sovrapproduzione a cui seguiva il collasso dei prezzi e dell’occupazione.Marx pensava che la discrepanza fra salari e prezzi, creando delle interruzioni della domanda di beni, portava a cicli economici di disoccupazione e di deflazione e doveva anche portare prima o poi al collasso del capitalismo. Al capitalismo sarebbe succeduto il socialismo, che – attraverso l’eliminazione dei profitti – avrebbe rimediato alle inefficienze che causavano le interruzioni della domanda di beni.

Le teorie di Max erano difficili da controbattere perché i profitti non evaporano. Marx diceva che i profitti sono usati per comprare beni di consumo e servizi, in particolare beni di lusso. In parte venivano usati per comprare beni capitali, come i macchinari, le navi mercantili, macchine agricole. I beni capitali, insieme ad i salari, costituivano la domanda aggregata. E allora, come poteva emerger l’interruzione della domanda?Il problema, secondo le spiegazioni di Marx, era largamente un problema di proporzioni: la proporzione delle vendite trattenuta come profitto in rapporto alla proporzione del profitto usata per pagare i salari. Marx riteneva che il capitale finisse inesorabilmente per finire nelle mani di pochi con il passare del tempo, e che il monopolio del capitale permetteva ai capitalisti di trattenere fette piu’ larghe di ricchezza per se stessi, lasciando fette sempre piu’ piccole di ricchezza ai lavoratori. I lavoratori che lavoravano in economie capitaliste, secondo Marx, erano destinati ad impoverirsi sempre di piu’.
I profitti esorbitanti dei capitalisti non venivano usati in maniera produttiva, come Ricardo e Say credevano; infatti, Marx diceva che i profitti dei capitalisti non potevano essere usati produttivamente in virtu’ del fatto che i loro clienti, cioe’ i lavoratori, continuavano ad impoverirsi.Per varie ragioni – creazione di nuove imprese che contrastavano le vecchie, azioni politiche, lotte sindacali, aumenti dei salari dovuti alla crescita economica – il dramma di un irreversibile impoverimento dei lavoratori non si era ancora manifestato nelle economie europee avanzate. Lasciando perdere l’analisi di come un’interruzione della domanda possa accadere e quali siano le sue cause, il pensiero di tale interruzione appare una spiegazione elegante dal punto di vista teorico per il funzionamento della nostra altalena che vede da una parte la disoccupazione e dall’altra l’inflazione. Se e’ vero che un’interruzione della domanda fa abbassare i prezzi e aumenta la disoccupazione allora anche l’opposto deve essere vero (come Cantillon aveva dimostrato). Una domanda amplificata deve abbassare la disoccupazione e spingere i prezzi verso l’alto. Inoltre, se il capitale non utilizzato in maniera produttiva crea un’interruzione della domanda, secondo Marx, le rendite non dovrebbero appartenere ai capitalisti. Le rendite potrebbero essere i risparmi accumulati dai lavoratori stessi. Con queste modifiche del pensiero Marxista, arriviamo alla teoria Keynesiana dell’altalena. Continua…

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Dal Piano Marshall al Fondo Monetario Internazionale

Posted by janejacobs su marzo 9, 2008

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la scienza economica, per quanto imprecisa, sembrava finalmente avere dato i suoi frutti. Gli economisti ci consegnavano istruzioni per generare e mantenere la ricchezza. Gli economisti ed i governanti dei paesi che usavano le loro consulenze, avevano creato varie teorie per inserire i semi del disastro nell’economia delle nazioni. Le idee economiche di meta’ novecento sembravano razionali ed i governi mettevano in pratica provvedimenti ispirati a queste idee economiche.
In preda a questa illusione, Mao Tse Tung dichiaro’ che l’economia Cinese avrebbe intrapreso il Grande Balzo in Avanti. Khrushchev si mise a picchiare la sua scarpa sul tavolo delle Nazioni Unite e previde che l’economia dell’Unione Sovietica avrebbe superato l’economia americana entro il 1975 e di li’ avrebbe “seppellito” l’Occidente.

Guerra Fredda

Negli Stati Uniti, i presidenti Kennedy e Johnson e i loro consiglieri non solo pensavano -come gran parte degli Americani- che la produttività e la preminenza economica degli USA sarebbero state indiscusse nei secoli a venire, ma addirittura pensavano che le misure fiscali da loro intraprese avrebbero eliminato depressioni e recessioni.

La Comunità’ Economica Europea prendeva a modello gli USA per per modellare le sue nuove istituzioni economiche.

Sempre in quegli anni sei o sette Paesi dell’America Meridionale stavano facendo i primi passi per integrarsi prendendo a esempio la Comunità’ Economica Europea.

I Paesi poveri ai margini dell’Europa (Grecia, Portogallo, Spagna) speravano di raggiungere la prosperità’ dei Paesi CEE una volta uniti, grazie all’ingresso nel mercato unico Europeo.
Gli accordi di Bretton Woods del 1944 che ancorarono il valore delle valute Europee a quello del dollaro vollero dimostrare che la flessibilità dei cambi tra partner commerciali – cosi’ dolorosi per le nazioni debitrici e cosi’ spiacevoli per i calcoli delle multinazionali – erano tracce di un passato grezzo.

I popoli e i governanti delle nazioni arretrate, inclusi quelli che avevano appena vinto l’indipendenza dal governo coloniale si aspettavano piani economici per generare prosperità’ e sviluppo. Tali piani di sviluppo assunsero presto la forma di prestiti. La sola parola “Nazioni arretrate” e “Nazioni Povere” scomparve dal dizionario degli economisti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Tale espressione fu sostituita con “Nazioni in via di sviluppo”.

Le ricette per raggiungere lo sviluppo, cioe’ per creare prosperità’ dove non non esisteva e mantenerla dove esisteva, differiva solo nelle etichette ideologiche, capitalista da una parte e comunista dall’altra, ma in pratica erano molto più’ simili di quanto i governanti volessero far credere.

Quando i governi Americano e Sovietico gareggiavano per ottenere influenza su una nazione povera offrendo aiuti economici, la competizione non prendeva la forma di differenti filosofie economico-politiche. Al contrario, le due potenze competevano per fornire ai paesi poveri le stesse dighe, le stesse strade, gli stessi impianti di fertilizzanti e gli stessi sistemi di irrigazione.

Il programma economico adottato dalla Polonia comunista era largamente finanziato da banchieri della Germania Occidentale e degli Stati Uniti. I banchieri, e probabilmente anche molti Polacchi, disapprovavano la proprietà’ statale comunista; pero’, i concetti di come un’economia si dovesse espandere, di cosa avesse bisogno per espandersi e di come dovesse ripagare i prestiti per finanziare lo sviluppo erano un concetto perfettamente familiare anche ai comunisti polacchi; erano concetti convenzionali, logici. In teoria ogni cosa era logica. In pratica, pero’ questa logica non ha funzionato.

Gli schemi proposti per lo sviluppo economico fallirono. I risultati andarono dai disastri in Polonia, Iran, Uruguay, Argentina, Brasile, Messico, Turchia e la maggior parte dell’Africa, fino alle delusioni dell’Irlanda, del Canada, del Mezzogiorno Italiano, della Iugoslavia, di Cuba, dell’India.

La Cina, dopo il catastrofico fallimento del Grande Balzo in Avanti, ha reinventato nuovi sistemi e strategie per rinnegare il suo passato inventandosi la rivoluzione culturale.

L’Unione Sovietica, lungi dal dimostrare la superiorità economica dei suoi piani quinquennali, fu incapace di produrre abbastanza cibo per nutrire i suoi abitanti ed inizio’ ad assomigliare sempre più’ ad un paese coloniale. L’URSS dipendeva dalle esportazioni di materie prime verso i paesi più’ avanzati, mentre importava sempre più’ beni prodotti all’estero, inclusi i macchinari che servivano per sfruttare le proprie risorse naturali. I politici che concepirono i piani quinquennali tutto avrebbero voluto tranne che trasformarsi in una colonia dell’Occidente, ma di fatto lo diventarono.

Negli anni ’60, l’Inghilterra provo’ senza successo a fermare il suo secolare declino attraverso misure economiche rivolte ad aumentare la domanda dei consumatori. Negli anni ’70 provo’ ad unirsi alla CEE, ma anche qui senza successo. Negli anni ’80 provo’ a metter in pratica misure volte a stimolare l’offerta nell’economia. Per quanto la Gran Bretagna ci provasse, continuava ad essere intrappolata nella morsa di un declino incessante che perdurava dalla fine del diciannovesimo secolo.

Negli Stati Uniti stava avvenendo qualcosa di impensabile. L’economia manifatturiera USA stava lentamente scomparendo e cio’ che ne rimaneva era tecnologicamente arretrato rispetto all’industria Giapponese ed Europea. I tassi americani di produttività scendevano, l’industria militare diventava sempre piu’ necessaria per mantenere impiegato il personale qualificato dell’industrie e per prevenire che intere regioni collassassero economicamente.

Mentre in alcune parti del mondo si generavano questi lenti ma inesorabili disastri economici, in altre parti del mondo, come Giappone, Hong Kong, Singapore, Taiwan e Corea si preparava un boom economico senza precedenti. Ma il successo economico di questi paesi era inspiegabile cosi’ come era inspiegabile la decadenza economica degli altri. Le misure economiche intraprese dalle “Tigri Asiatiche”venivano prese anche da altri paesi, ma talvolta generavano successi, talaltra generavano disastri. Gli economisti, non sapendosi dare una spiegazione, usavano i luoghi comuni del tipo: i Giapponesi sono piu’ intelligenti, lavoravano piu’ duramente e sono in grado di generare una societa’ più’ armoniosa; i Cinesi (fuori dalla Cina) sono commercianti di successo e i membri delle famiglie si aiutano l’uno con l’altro ad accumulare capitale; i Britannici hanno abbandonato l’etica del lavoro; e cosi’ via. Per avere delucidazioni in merito a queste qualità’ non c’e’ bisogno di economisti; turisti con un comune spirito di osservazione sarebbero stati in grado di raggiungere le stesse conclusioni.

La Macroeconomia – l’economia su larga scala- e’ il ramo dell’economia che si occupa delle relazioni economiche a livello nazionale ed internazionale. Questa scienza e’ malata. Troppi le hanno creduto e troppi l’hanno messa in pratica. Ma i costi di dell’applicazione della Macro-economia non sono nulla in confronto alle enormi risorse che le banche, le industrie, i governi e le istituzioni internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e le Nazioni Unite, hanno speso per dimostrare la bonta’ di queste teorie. Mai una scienza, o una presunta scienza, e’ stata cosi’ ciecamente ascoltata. E mai prima di allora, esperimenti economici hanno lasciato enormi disastri, spiacevoli sorprese, bolle sgonfiate e confusione al punto tale che la quesitone che adesso sorge e’ se il danno sia riparabile; se questa malattia si puo’ curare.
Certamente non si potra’ usare la stessa medicina. I fallimenti possono aiutarci a capire, se capiamo quello che vogliono dirci riguardo alla realta’ che ci circonda. Ma l’osservazione di questa realta’ non scaturisce delle teorie dello sviluppo economico. Facciamo l’esempio del piano Marshall e degli effetti causati dalle aspetitive che gli esperti hanno tratto da esso. Come sappiamo, se un’economia e’ devastata da fame, epidemie, terremoti, alluvioni o incendi, un’economia di pace puo’ aiutare a rimettere in piedi queste economie devastate. Allo stesso modo, il piano di aiuti americani dopo la seconda Guerra mondiale aiuto’ i paesi alleati ed i loro imprenditori a rimettersi in piedi dopo l’orrore e la distruzione della Guerra.
La devastazione della Guerra era stata enorme e la dimensione degli aiuti erano stati egualmente enormi. Il recupero economico avrebbe impiegato tempi molto piu’ lunghi e avrebbe richiesto privazioni molto peggiori senza locomotive, autotrasporti, generatori elettrici, fabbriche di cemento, fertilizzanti, trattori, macchinari, medicine, libri di testo, telefoni, tubi, pompe, cavi e molti altri beni inviati dall’America.
Historical Documents and Speeches - The Marshall Plan (1948). On April 3, 1948, President Harry Truman signed the Economic Recovery Act of 1948. It became known as the Marshall Plan, named for Secretary of State George Marshall, who in 1947 proposed that the United States provide economic assistance to restore the economic infrastructure of postwar Europe.

 Piano Marshall a Berlino 

Il Piano Marshall venne spesso definito come un miracolo, perche’ i macchinari Americani trasportati in Europa, in combinazione con la capacita’ produttive degli Europei, portarono l’Europa fuori dalle ceneri della Guerra piu’ velocemente di quanto ci si aspettasse. Ma ora dobbiamo fare una breve pausa e osservare che gli organismi in fase di guarigione – inclusi gli organismi chiamati economie- non seguono una metamorfosi, non diventano cio’ che non erano prima per diventare qualcosa di diverso.
Questa distinzione e’ generalmente compresa da tutti. Ad esempio, se torniamo al periodo in cui San Francisco si riprese dal devastante terremoto subito del 1906, nessuno fu cosi’ sciocco da spingere la Croce Rossa a fondare imprese di aiuto economico in tutte le nazioni in declino economico solo perche’ la Croce Rossa aveva offerto assistenza dopo il terremoto ad una citta’ momentaneamente in ginocchio, ma che aveva tutte le risorse per riprendersi. Il Piano Marshall non genero’ una splendida metamorfosi nelle economie Europee. Fra le economie che ricevettero aiuti dal piano Marshall, l’Olanda, la Germania Occidentale, parti della Francia e del’Italia, procedettero ad espandersi e a svilupparsi – come si era sviluppata San Francisco dopo il terremoto del 1906. Altre economie non si svilupparono. La Gran Bretagna ricevette un ammontare di aiuti simile alla Germania, ma questi aiuti non trasformarono l’economia Britannica. Allo stesso modo, il Mezzogiorno Italiano ricevette la stessa quantita’ di aiuti dal Piano Marshall che ricevette il Nord Italia, ma i risultati furono enormemente diversi.

Parole sante 

Il Nord Italia, che era gia’ da prima della Guerra la parte piu’ prospera e creativa della penisola, ricomincio’ ad espandersi, a produrre, a rinnovarsi. Il Sud, che era stato anche prima della Guerra piu’ arretrato, povero ed economicamente passivo, non genero’ crescita economica, ma continuo’ ad avere bisogno di aiuti. Gli aiuti del Piano Marshall e gli aiuti molto piu’ ingenti ricevuti dal Nord Italia, quando toccavano il Mezzogiorno Italiano si trasformavano in regalie, non in investimenti perche’ il Sud non si prendeva la responsibilita’ di investire in uno sviluppo autonomo; il popolo del Mezzogiorno continuava ad abbandonare in gran numero la propria terra per cercare lavoro altrove e generare ricchezza nelle regioni del Nord Italia e Oltralpe.
Queste osservazioni sono oggettive, indiscutibili; tuttavia il Piano Marshall fu interpretato come una dimostrazione che l’aiuto economico potesse creare delle metamorfosi, dei miracoli. Gli aiuti economici avrebbero potuto trasformare economie stagnanti in economie floride e ricche. Con la promessa di un miracolo economico, si moltiplicavano agenzie ed enti nazionali e internazionali che descrivendo la loro attivita’ come: “il Piano Marshall per il Terzo Mondo” o “il Piccolo Piano Marshall”. Le conseguenze di queste promesse non mantenute furono orribili: popolazioni di interi paesi, dopo aver ascoltato i proclami delle agenzie di sviluppo si ritrovano in miseria e senza alcuna speranza; cosa ancor peggiore, le popolazioni dei paesi piu’ sviluppati che inviavano aiuti ai paesi poveri diventarono ciniche e disilluse sul fatto che le loro tasse potessero finanziare progetti utili; i debiti dei paesi del terzo mondo si accumularono sotto l’illusione che lo “sviluppo” avrebbe un giorno ripagato questi debiti e sarebbe valso i sacrifici sopportati dalle popolazioni di questi paesi; le spese per gli interessi di questi debiti si mangiavano i miseri guadagni di intere popolazioni, fino al punto che intere popolazioni si sono ritrovate a lavorare per decenni solo per la gloria di essere state chiamate non piu’ “Povere”, ma     ”in via di sviluppo”; e la comunità finanziaria internazionale evitava di volta in volta collassi economici con moratorie sui debiti o prestiti a fondo perduto per pagare l’interesse su prestiti che non erano in grado essere ripagati.

 Continua…

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200 anni di teorie economiche da buttare

Posted by janejacobs su marzo 9, 2008

Adam Smith ed i suoi seguaci hanno sbagliato l’unita’ di misura con cui analizzare l’economia ed i mercati. Ancora oggi i governatori delle economie mondiali ed i banchieri centrali non sono in grado di governare l’economia, perche’ continuano a sbagliare l’unita’ di misura.

L’unita’ di misura dell’economia non sono le nazioni, ma le citta’.

Quando i nostri governantori capiranno questo concetto, potranno ricominciare a pensare a nuovi e piu’ efficienti modi per governare l’economia senza creare disastri. Partendo dalle citta’!

Le citta’ sono la ricchezza delle Nazioni (Cities and the Wealt of Nations, 1984) e’ il piu’ importante trattato economico di Jane Jacobs. Le principali idee di questo trattato sono:

1) Uno dei grandi errori della teoria economica e’ stato ritenere che le nazioni sono le entita’ fondamentali per misurare l’economia. Secondo Jane Jacobs sono le citta’ e non le nazioni a costruire i mattoni su cui si basa l’economia. Per capire le dinamica della crescita economica, bisogna guardare alle economie delle citta’.

2) La teoria che le citta’ sono il fondamento dell’economia ha importanti conseguenze per capire la crescita economica.  Le citta’ sono insediamenti dove nuovi lavori si aggiungono continuamente a vecchi lavori. Questa semplice osservazione  viene spesso sottovalutata. Nelle citta’, nuove attivita’ nascono da attivita’ che gia’ esistevano. Non esiste una generazione spontanea di lavoro proveniente dal nulla. Infatti, “trapiantare” investimenti in zone improduttive, come sostengono i soloni del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e dell’Unione Europea, non porta a nessun risultato. Aggiungere nuovi lavori a lavori esistenti produce invece un circolo virtuoso,perche’ i lavori si moltiplicano e diversificano come i rami di una quercia. Maggiore diversificazione del lavoro porta a maggiore crescita di nuovo lavoro.

3) Il grande motore di crescita delle citta’ e’ il rimpazzo delle importazioni. Tale rimpiazzo delle importazioni non e’ il frutto di politiche protezionistiche. Quello che Jane Jacobs descirive e’ un processo che si evolve naturalmente perche’ frutto di processi economici naturali. Il rimpiazzo delle importazioni e’ semplicemente il processo secondo cui un bene che e’ stato comprato precedentemente al di fuori di una citta’, ora si produce all’interno della citta’.

4) Questo semplice processo ha molti effetti benefici. Allarga l’economia di una citta’ creando nuove divisioni del lavoro che va a produrre beni che prima venivano importati. Il rimpiazzo delle importazioni aumenta la diversita’ delle citta’, crea nuove industrie e nuovi prodotti, libera il capitale che prima era impiegato per le importazioni di beni e rende tale capitale disponibile per la creazione di nuove imprese e posti di lavoro. Naturalmente, una parte residua del capitale viene usata per nuove importazioni; e mentre il mercato esterno di quel bene che e’ stato rimpiazzato decresce, il mercato generale dei beni aumenta.

5) Le importazioni svolgono un ruolo centrale. Sono la causa principale del processo di creazione della ricchezza che avviene nelle citta’. Le importazioni rappresentano nuove fonti di beni e servizi che possono essere rimpiazzate dalle industrie all’interno delle citta’. Quindi sono la forza che genera la crescita. Quanto le citta’ usano i fondi delle esportazioni per importare beni e successivamente li rimpiazzano producendoli al loro interno, allora le citta’ crescono. Se le importazioni non sono rimpiazzate, le citta’ non crescono. Questo e’ il motivo per cui i piani di sviluppo orientati alle esportazioni hanno fallito miserevolmente.

6) Le esportazioni sono anch’esse un processo chiave. Ma non tutte le esportaizoni sono uguali. Cio’ che e’ importante per una citta’ e’ avere un elevato moltiplicatore di esportazioni. Il moltiplicatore di esportazioni descrive il numero di lavori  generati dalle esportazioni e dai consumi esterni di una citta’. Le citta’ inerti hanno un basso moltiplicatore, perche’ buona parte dei guadagni dalle esportazioni, invece di comprare materie prime a costi relativamente bassi (ad esempio l’oro), vanno a comprare prodotti ad alto valore aggiunto (ad esempio una collana d’oro).  

Continua… 

 

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