Le cittá sono la ricchezza delle nazioni

Un nuovo modo di vedere l’economia

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Imperialismo e sussidi

Posted by janejacobs su aprile 7, 2008

La struttura economica della Sardegna e della Nuova Zelanda stanno dietro ai loro problemi attuali, ma fra i paesi moderni, la piaga maggiore si e’ sviluppata in Francia. Anche se la Francia sembrerebbe avere molte citta’, in reata’ ne ha solo una che e’ in grado di rimpiazzare le importazioni: Parigi. La maggior parte delle campagne Francesi consiste in regioni produttrici di beni primari incapaci di realizzare una crescita economica autonoma. Per proteggere le regioni agricole Francesi (e di altre regioni Europee), l’Unione Europea ha introdotto dazi per evitare che la competizione internazionale li spazzi via. Se l’Unione Europea non proteggesse queste regioni, dovrebbe fornire aiuti economici ancora maggiori. I sussidi agricoli rappresentano circa un terzo del budget dell’Unione Europea. L’Uruguay  fu una delle prime vittime delle tariffe dell’Unione Europea e degli accordi di mercato che favorivano le regioni agricole della Francia. La Nuova Zelanda e’ stata vitima dell’Unione Europea in seguito perche’ il suo mercato principale per la carne era la Gran Bretagna e la Gran Bretagna si uni’ all’Unione Europea nel 1973. Il fatto che tali accordi politici avessero degli effetti cosi’ devastanti su ralcune egioni agricole dimostra che troppe regioni agricole sono alla ricerca degli stessi vigorosi (ma scarsi) mercati  cittadini.

Negli Stati Uniti, il piu’ grande mercato di esportazioni agricole e’ quello dela soia, un bene per lo piu’ destinato ai mercati delle citta’ Giapponesi. Nel 1970, il Governo Americano noto’ che che il consumo Americano di olii vegetali negli Stati Uniti stava crollando e che gli Stati Uniti importavano olio di palma. Pertanto, il Governo USA restrisse le importazioni di olio di palma proveniente dalla Malesia dall’Africa, e minaccio’ tali paesi di interrompere i prestiti al Terzo Mondo se avessero promosso sussidi all’olio di palma. Nel riportare questa situazione, il Wall Street Journal commento’: “Ma se i produttori di semi di soia sono preoccupati della concorrenza estera, dovrebbero diversificare la loro produzione producendo semi di soia.”

“I Paesi Poveri“, continuava il Journal, “dipendono dalle esportazioni di al massimo tre beni primari per la maggior parte delle loro esportazioni, e hanno bisogno di queste esportazioni per pagare per le loro importazioni, ma questo ragionamento non viene apprezzato negli Stani Uniti.” Al contrario, questo ragionamento era apprezzato negli Stati Uniti. Questo era esattamente il ragionamento degli agricoltori delle regioni Americane produttrici di cotone, mais, frumento quando diversificavano la loro produzione di olii vegetali aggiungevano la produzione della soia. Di solito, tendiamo a non accomunare il ruolo di regioni produttrici di beni primari nelle nazioni ricche a quelli delle nazioni povere, ma qualche volta, queste similitudini vengono alla luce e non possiamo trascurare il fatto che tutte le regioni produttrici di beni agricoli hanno le stesse esigenze, sia che esse siano nei confini dell’Unione Europea o degli USA o dell’Africa.

Se aggiungiamo le minacce a cui le economie scarsamente diversificate delle regioni fornitrici di beni primari sono soggette, possiamo parlare di “poverta’ comparativa”. Nel corso della storia, con lo svilupparsi di citta’ e produttori distanti, le importazioni per le regioni produttrici di beni primari diventano piu’ complesse, diversificate e costose. Le esportazioni delle regioni fornitrici di beni primari che bastavano per comprare semplici utensili, aratri o articoli artigianali e decorativi non bastano a comprare  computer, camion ed ascensori meccanici. Questo tipo di poverta’ comparativa striscia insidiosamente anche nelle regioni produttrici di beni primari di Europa e Stati Uniti.

Le regioni produttrici di beni primari sono state definite anche economie coloniali. Le potenze coloniali hanno generalmente modellato le economie dei territori conquistati in regioni produttrici di beni primari. Spesso pero’, hanno anche instillato fabbriche produttrici di beni con l’intenzione di forzare tali mercati a comprare materie prime provenienti da altre regioni controllate dalle stesse potenze coloniali.

Qui sotto forniro’ un esempio di trasformazione economica operata dalla Francia in Indocina, come venne descritto da Frances Fitzgerald in Fuoco nel Lago:

La Francia dovette dapprima trasformare un’economia di sussitenza per i contadini ed i proprietari terrieri Vietnamiti in un’economia che produceva beni per esportazioni nei mercati internazionali. Data la particolare geografia del Paese, le nuove imprese fondate dai Francesi erano per lo piu’ grandi piantagioni e miniere per estrarre i ricchi depositi di carbone, zinco e latta. Per incoraggiare e supportare l’emigrazione in Vietnam di colonialisti ed imprenditori Francesi, l’amministrazione Francese costrui’ strade, canali, ferrovie che collegassero l’entroterra del Vietnam ai porti delle grandi rotte navali asiateiche. Queste infrastrutture beneficiavano quasi esclusivamente i Francesi, ma gli ufficiali Francesi le finanziavano con un aumento delle tasse sulla popolazione locale.

Le tasse venivano estratte secondo i metodi del fisco Francese in moneta anziche’ econdo la tradizione Vietnamita che esigeva imposte pagate in prodotti agricoli. I Francesi avevano anche stabilito monopoli sul commercio di fiammiferi, alcool, oppio, ed i prezzi di questi beni erano aumentati fino a sei volte. La combinazione dell’aumento dei prezzi e delle tasse aumento’ notevolmente il numero di disoccupati in cerca di lavoro malpagato nei terreni agricoli e nelle miniere.

Quando i minatori Canadesi nelle regioni minerarie si lamentano di venire trattati come in “un’economia coloniale”, non vogliono dire dire che sono dissanguati come i Vietnamiti sotto i Francesi. Essi non finanziano le grandi infrastrutture del Canada; al contrario sono le citta’ Canadesi e non le regioni minerarie ed agricole a pagare la grande maggioranza delle spese infrastrutturali. Ne’ tantomeno i minatori vogliono dire che vedono un pericolo per le loro esportazioni in mercati lontani. Al contrario questo e’ il motivo per cui i lavoratori si rammaricano maggiormente quando pensano ad un’economia “colonialista”.

Il problema nel chiamare “colonie” tutte le regioni produttrici di beni primari rende il termine troppo generico e troppo “ottimistico”. L’ottimismo della parola “colonie” implica che se un ipotetico dominatore coloniale venisse cacciato, un’economia non diversificata si diversificherebbe, migliorerebbe e diventerebbe capace di produrre piu’ beni e di diversificarsi senza importare tali beni dagli altri.

A dire il vero, ci sono spesso ottime ragioni per cacciare dominatori coloniali: queste ragioni sono politiche, sociali, culturali ed emotive e qualche volta sono anche economiche. Tuttavia, la debolezza delle regioni produttrici di beni primari non puo’ semplicemente essere corretta eliminando l’aggettivo “coloniale”.

Quando Fidel Castro libero’ Cuba dagli Americani, non libero’ Cuba dalla servitu’ dei mercati della canna da zucchero.

Molte regioni fornitrici di beni primari, scivolano lentamente verso il collasso finanziario.

I giornali locali di Grand Cache, una cittadina di minatori dell’Alberta esultavano perche’ dieci imprese Giapponesi decisero di importare carbone da quelle miniere e il contratto avrebbe dato a quella citta’ altri due anni di vita, altrimenti i 4,000 abitanti di quella citta’ avrebbero dovuto emigrare in massa.

Nelle economie produttrici di beni primari, ci sono sempre consulenti del lavoro ed altri simili intellettuali pronti a suddividere il lavoro su scala regionale o internazionale. Essi sostengono che la specializzazione del lavoro migliori le condizioni di arretratezza di un’economia. Questo ragionamento implica che il risultato di essere efficienti e’ causa di se’ stesso. E’ come dire che la pioggia fa bene alle piante ed e’ per questo che piove. Le forze economiche che causano il rimpiazzo delle importazioni modellano la vita economica delle citta’ e quando le importazoni non vengono rimpiazzate ne risultano regioni specializzate. Le regioni produttrici di beni primari continuano ad esistere perche’ le cinque forze delle citta’ non sono armoniose.

Lo storico Tunisino Ibn Khaldun racconta che nel 1381i Beduini del deserto vendevano animali e granaglie alla gente delle citta’ costiere della Tunisia e ne diventavano economicamente dipendenti. Secondo Khaldun, questo fenomeno avveniva perche’ i Beduini restavano nel deserto e non raggiungevano il controllo delle citta’. Questo a mio avviso e’ vero fino a un certo punto. Infatti, i Beduini avrebbero potuto risolvere i loro probemi creando una citta’ da se’.

Le economie fornitrici di beni primari non sono mai autosufficienti. Questo e’ il motivo per cui sono povere e perche’ ricevono sussidi. I beni primari spesso sono prodotti in modo efficiente. Ma questo non significa che tali economie sono efficienti.

Un’economia che contiene solo poche nicchie di persone con diverse competenze, interessi ed idee non e’ efficiente.

Un’economia che non ha risorse e che non si adatta non e’ efficiente.

Un’economia che soddisfa solo pochi dei bisogni della propria gente e delle proprie imprese non e’ efficiente.

Anche quando le regioni produttrici di materie prime diventano efficientissime, le citta’ spesso sono troppo distanti e non hanno abbastanza potere per “raddrizzarle”. Storicamente, molte regioni produttrici di beni primari sono state in grado di rimpiazzare le importazioni. Hong Kong, Seoul e Singapore – non Montevideo e Havana – sono riuscite a superare le loro funzioni precedentemente limitate di centri amministrativi e distributivi di beni primari e diventare delle vere e proprie citta’.

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Rimpiazzare le importazioni

Posted by janejacobs su marzo 30, 2008

Le citta’ Asiatiche primeggiano nel rimpiazzare le importazioni 

Le citta’ che rimpiazzano le importazioni non solo rimpiazzano i prodotti finiti, ma anche un’infinita’ di prodotti intermedi funzionali alla produzione, in particolare rimpiazzano utensili e i macchinari. Il processo di rimpiazzo delle importazione emerge attraverso catene di produzione locali.

Ad esempio, in una citta’ che non producesse marmellate, prima  arriva la lavorazione locale della marmellata di frutta che prima venivano importata da altre citta’, poi arriva la produzione dei vasetti  di vetro e dei coperchi di metallo che prima venivano importati.

Oppure, prima si costruisce un impianto di assemblaggio per la produzione di cuscinetti metallici che prima venivano importati; in seguito, dopo che l’impianto e’ stato costruito, si importano i metalli necessari per la costruzione dei cuscinetti; poi si iniziano a fondere i metalli appropriati all’interno dell’impianto di assemblaggio.

Quando Tokyo inizio’ il business delle biciclette, prima venne il lavoro di manutenzione, poi si iniziarono a produrre alcule parti delle parti delle biciclette piu’ richieste nelle riparazioni, poi si inizio’ la manutenzione di altre parti e  finalmente si arrivo’ all’assemblaggio completo delle biciclette. E non appena Tokyo inizio’ ad esportare biciclette ad altre citta’ Giapponesi, anche in queste citta’ inizio’ il processo di rimpiazzo delle importazioni che aveva avuto luogo precedentemente a Tokyo.

Quando le citta’ esportano prodotti, le esportazioni “nutrono” il lavoro che paga per le importazioni, cioe’ “nutre” il processio di rimpiazzo di importazioni.

Ad esempio, un’impresa che produce posate e pentole in acciaio inossidabile per le esportazioni puo’ iniziare a produrre nello stesso materiale anche sedie e tavoli in acciaio, e quindi puo’ giocare un ruolo importante nel rimpiazzare importazioni di arredamenti in acciaio. Oppure, i lavoratori della fabbrica che croma le posate in acciaio, possono mettersi in proprio, ma questa volta, gli operai possono trsformarsi in imprenditori abbandonando la produzione di posate e dedicandosi alla produzione di sedie e tavoli. Questo e’ un processo ancora migliore perche’ ora ci sono due imprese a nutrire il processo di rimpiazzo delle importazioni.

Il rimpiazzo delle importazioni e’ un processo tipico delle citta’ perche’ la produzione locale di beni che prima venivano imporati non e’ economicamente possibile in piccoli villaggi isolati che non hanno rapporti con i mercati cittadini e che non hanno sufficiente versatilita’ per poter cambiare i metodi di produzione.

Le citta’ possono stimolare questo tipo di versatilita’ grazie al risultato del lavoro di esportatori in parte perche’ hanno gia’ rimpiazzato molte importazioni, in parte attraverso le complesse relazioni simbiotiche che si formano tra i vari produttori. In secondo luogo, i mercati cittadini – dei produttori o dei consumatori – sono piu’ vari e piu’ diversificati. Queste due qualita’ dei mercati cittadini generano una produzione diversificata a costi bassi. Tale diversita’ non sarebbe possibile in insediamenti rurali. Continua…

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Il fallimento dei monetaristi: Fisher e Friedman

Posted by janejacobs su marzo 17, 2008

 

Milton Friedman

Mentre i keynesiani si arrendevano davanti al fenomeno della stagflazione, prendevano piede le teorie dei cosiddetti monetaristi. I monetaristi sono economisti che spiegano l’economia dal lato dell’offerta. La loro teoria si basa sulla teoria della Grande Depressione esposta da Irving Fisher, un professore di economia dell’Università’ di Yale Ma i monetaristi divennero famosi per appartenere alla scuola di Chicago perche’ le teorie di Fisher furono sviluppate da Milton Friedman dell’Universita’ di Chicago che, come Samuelson, ha vinto un Nobel per l’economia.
L’idea di base di Fisher era la stessa esposta da John Stuart Mill quasi cento anni prima. Fisher riteneva che la causa della Grande Depressione era una drastica contrazione del credito, dovuta al panico dei banchieri che temevano – a ragione – che le banche non avevano abbastanza denaro per far fronte ai loro impegni. Fisher attribui’ la paura delle banche al fatto che le banche, in maniera del tutto legale, potevano prestare multipli del loro capitale: multipli delle riserve che detenevano in contanti e titoli del Tesoro Americano. Fisher sostenne che l’unico modo per evitare la Depressione era di espandere il credito ai produttori, e che in futuro si sarebbe dovuto stabilizzare il credito bancario, evitando di farlo fluttuare “selvaggiamente” come era avvenuto negli anni 20. Per raggiungere questo, propose che il governo prendesse piena responsabilita’ per il processo di creazione del denaro, invece di lasciare che fossero le banche a creare il denaro prestando piu’ di quanto potessero.

Secondo Fisher le banche dovevano tenere riserve in linea con i prestiti che elargivano sotto forma di titoli di stato. Da un lato, questo provvedimento impedirebbe alle banche di aumentare il credito al di sopra del volume di moneta deciso dalo stato; dall’altro lato, la sicurezza che le banche avrebbero ottenuto con un tasso di riserve pari al 100 per cento avrebbe reso inutile per loro contrarre il credito ad altre banche, dal momento che questo avrebbe loro creato solo una perdita di profitto senza rischi. Se la domanda di prestiti era bassa, i tassi di interesse piu’ bassi avrebbero automaticamente corretto questo sbilancio; se la domanda di prestiti era alta, le banche avrebbero semplicemente aumentato i loro tassi di interesse. I tassi di interesse, il costo del denaro, avrebbero fluttuato in rapporto alla domanda e all’offerta di credito, ma l’ammontare di credito disponibile non sarebbe variato.

Fisher sosteneva che un governo dovesse assumersi la responsabilita’ di aumentare la quantita’ di moneta in circolazione ad un tasso annuale predeterminato e calcolato per sostenere l’espansione della produzione, ma non piu’ per tenere i prezzi stabili ed evitare l’inflazione. Fisher aveva dati statistici che sostenevano le sue teorie; sie in tempi buoni che in tempi di recessione, il prodotto interno lordo degli Stati Uniti ammontava a tre volte il volume della moneta in circolazione e dei depositi bancari. Dal momento che i depositi bancari fanno capo in un modo o nell’altro ai prestiti bancari, Fisher diceva che i dati da lui riportati provavano che il volume dei prestiti determinava il volume di attivita’ economica, inclusi i tassi di interesse e l’a disoccupazione. Diversamente dalle ricette keynesiane, le ricette di Fisher non venivano adottate ne’ in America ne’ altrove; cio’ nonostante, sotto la guida di Friedman, il monetarismo rimase una forza viva ed intellettualmente forte.

Per molte ragioni tecniche e’ difficile definire che cose sia la “moneta”, e questo problema si aggravato sin dai tempi di Fisher. Per i monetaristi moderni, come per Fisher, moneta significa contavi e assegni usati in transazioni commerciali; ma statisticamente separare questa M1 (come adesso viene chiamata) dai depositi di risparmio e da altre forme di moneta e’ diventata una specialita’ piuttosto arcana. Questa specialita’ e’ di grandissima importanza per i monetaristi perche’ il principale punto della teoria monetarista e’ che vi sia sempre disponibile un ammontare gradualmente crescente di moneta per favorire gradualmente la produzione. Per i monetaristi, quando denaro e prodotto interno lordo crescono allo stesso passo, la domanda e l’offerta si bilanciano e i prezzi rimangono stabili. Per i monetaristi, le iniezioni di denaro sotto forma di spesa pubblica cosi’ come erano stati prescritti da Keynes, erano un’abominio.

Dopo che la stagflazione ha distrutto la credibilita’ dei keynesiani, i governi del Regno Unito, degli Stati Uniti, del Cile e di altri paesi hanno iniziato a farsi consigliare dai monetaristi. I monetaristi erano preparati. Dal momento che la stagflazione era un mostro a due teste, i monetaristi proposero due armi: per attaccare l’inflazione, prescrissero tassi di interesse elevati e tagli della spesa pubblica, particolarmente per quei tagli in supporto della domanda. Per tagliare la disoccupazione, che ritenevano dovuta ad un insufficiente investimento in attivita’ produttive, proposero di ridurre le tasse, con il fine di aumentare i fondi per investimenti produttivi da parte dei privati. Dal momento che una tassazione inferiore avrebbe dovuto stimolare la produttivita’ e l’occupazione, anche con tasse piu’ basse, il governo avrebbe incassato di piu’ per via dell’aumento della produzione; simili risultati venivano dimostrati con le curve di Laffer, degli strumenti simili alle curve di Phillips che suggerivano che queste teorie erano valide.

Quando queste teorie venivano applicate, gli alti tassi di interessi rendevano i prestiti non economici per i produttori e portarono alla bancarotta (o vicino alla bancarotta) molti di essi. Quando invece la produzione si contraeva e la disoccupazione aumentava, l’abbassamento delle tasse non produceva gli effetti sperati e serviva solo ad aumentare il debito pubblico. Insomma, le misure che volevano combattere l’inflazione si traducevano nella rovina dei produttori e dei lavoratori, mentre le misure che volevano aiutare i produttori si trasformavano in un elevato debito pubblico.

 

Alcuni pensavano che i governati delle economie Marxiste avrebbero avuto ragione nel decretare la fine del capitalismo. Ma anche loro non potevano permettersi di cantare vittoria. La stagflazione stava mettendo in ginocchio anche loro. Nei paesi marxisti la stagflazione era nascosta da imprese che assumevano troppi dipendenti rispetto a quelli di cui c’era bisogno, e da sussidi ai prezzi che periodicamente dovevano interrompersi sotto la pressione dell’inflazione. Inoltre, le economie Marxiste erano diventate dipendenti dalle economie Americane, Giapponesi ed Europee per la generazione di capitale, che loro stessi erano incapaci di produrre, capitale che non sarebbero stati mai in grado di ripagare. Continua…

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