La struttura economica della Sardegna e della Nuova Zelanda stanno dietro ai loro problemi attuali, ma fra i paesi moderni, la piaga maggiore si e’ sviluppata in Francia. Anche se la Francia sembrerebbe avere molte citta’, in reata’ ne ha solo una che e’ in grado di rimpiazzare le importazioni: Parigi. La maggior parte delle campagne Francesi consiste in regioni produttrici di beni primari incapaci di realizzare una crescita economica autonoma. Per proteggere le regioni agricole Francesi (e di altre regioni Europee), l’Unione Europea ha introdotto dazi per evitare che la competizione internazionale li spazzi via. Se l’Unione Europea non proteggesse queste regioni, dovrebbe fornire aiuti economici ancora maggiori. I sussidi agricoli rappresentano circa un terzo del budget dell’Unione Europea. L’Uruguay fu una delle prime vittime delle tariffe dell’Unione Europea e degli accordi di mercato che favorivano le regioni agricole della Francia. La Nuova Zelanda e’ stata vitima dell’Unione Europea in seguito perche’ il suo mercato principale per la carne era la Gran Bretagna e la Gran Bretagna si uni’ all’Unione Europea nel 1973. Il fatto che tali accordi politici avessero degli effetti cosi’ devastanti su ralcune egioni agricole dimostra che troppe regioni agricole sono alla ricerca degli stessi vigorosi (ma scarsi) mercati cittadini.
Negli Stati Uniti, il piu’ grande mercato di esportazioni agricole e’ quello dela soia, un bene per lo piu’ destinato ai mercati delle citta’ Giapponesi. Nel 1970, il Governo Americano noto’ che che il consumo Americano di olii vegetali negli Stati Uniti stava crollando e che gli Stati Uniti importavano olio di palma. Pertanto, il Governo USA restrisse le importazioni di olio di palma proveniente dalla Malesia dall’Africa, e minaccio’ tali paesi di interrompere i prestiti al Terzo Mondo se avessero promosso sussidi all’olio di palma. Nel riportare questa situazione, il Wall Street Journal commento’: “Ma se i produttori di semi di soia sono preoccupati della concorrenza estera, dovrebbero diversificare la loro produzione producendo semi di soia.”
“I Paesi Poveri“, continuava il Journal, “dipendono dalle esportazioni di al massimo tre beni primari per la maggior parte delle loro esportazioni, e hanno bisogno di queste esportazioni per pagare per le loro importazioni, ma questo ragionamento non viene apprezzato negli Stani Uniti.” Al contrario, questo ragionamento era apprezzato negli Stati Uniti. Questo era esattamente il ragionamento degli agricoltori delle regioni Americane produttrici di cotone, mais, frumento quando diversificavano la loro produzione di olii vegetali aggiungevano la produzione della soia. Di solito, tendiamo a non accomunare il ruolo di regioni produttrici di beni primari nelle nazioni ricche a quelli delle nazioni povere, ma qualche volta, queste similitudini vengono alla luce e non possiamo trascurare il fatto che tutte le regioni produttrici di beni agricoli hanno le stesse esigenze, sia che esse siano nei confini dell’Unione Europea o degli USA o dell’Africa.
Se aggiungiamo le minacce a cui le economie scarsamente diversificate delle regioni fornitrici di beni primari sono soggette, possiamo parlare di “poverta’ comparativa”. Nel corso della storia, con lo svilupparsi di citta’ e produttori distanti, le importazioni per le regioni produttrici di beni primari diventano piu’ complesse, diversificate e costose. Le esportazioni delle regioni fornitrici di beni primari che bastavano per comprare semplici utensili, aratri o articoli artigianali e decorativi non bastano a comprare computer, camion ed ascensori meccanici. Questo tipo di poverta’ comparativa striscia insidiosamente anche nelle regioni produttrici di beni primari di Europa e Stati Uniti.
Le regioni produttrici di beni primari sono state definite anche economie coloniali. Le potenze coloniali hanno generalmente modellato le economie dei territori conquistati in regioni produttrici di beni primari. Spesso pero’, hanno anche instillato fabbriche produttrici di beni con l’intenzione di forzare tali mercati a comprare materie prime provenienti da altre regioni controllate dalle stesse potenze coloniali.
Qui sotto forniro’ un esempio di trasformazione economica operata dalla Francia in Indocina, come venne descritto da Frances Fitzgerald in Fuoco nel Lago:
La Francia dovette dapprima trasformare un’economia di sussitenza per i contadini ed i proprietari terrieri Vietnamiti in un’economia che produceva beni per esportazioni nei mercati internazionali. Data la particolare geografia del Paese, le nuove imprese fondate dai Francesi erano per lo piu’ grandi piantagioni e miniere per estrarre i ricchi depositi di carbone, zinco e latta. Per incoraggiare e supportare l’emigrazione in Vietnam di colonialisti ed imprenditori Francesi, l’amministrazione Francese costrui’ strade, canali, ferrovie che collegassero l’entroterra del Vietnam ai porti delle grandi rotte navali asiateiche. Queste infrastrutture beneficiavano quasi esclusivamente i Francesi, ma gli ufficiali Francesi le finanziavano con un aumento delle tasse sulla popolazione locale.
Le tasse venivano estratte secondo i metodi del fisco Francese in moneta anziche’ econdo la tradizione Vietnamita che esigeva imposte pagate in prodotti agricoli. I Francesi avevano anche stabilito monopoli sul commercio di fiammiferi, alcool, oppio, ed i prezzi di questi beni erano aumentati fino a sei volte. La combinazione dell’aumento dei prezzi e delle tasse aumento’ notevolmente il numero di disoccupati in cerca di lavoro malpagato nei terreni agricoli e nelle miniere.
Quando i minatori Canadesi nelle regioni minerarie si lamentano di venire trattati come in “un’economia coloniale”, non vogliono dire dire che sono dissanguati come i Vietnamiti sotto i Francesi. Essi non finanziano le grandi infrastrutture del Canada; al contrario sono le citta’ Canadesi e non le regioni minerarie ed agricole a pagare la grande maggioranza delle spese infrastrutturali. Ne’ tantomeno i minatori vogliono dire che vedono un pericolo per le loro esportazioni in mercati lontani. Al contrario questo e’ il motivo per cui i lavoratori si rammaricano maggiormente quando pensano ad un’economia “colonialista”.
Il problema nel chiamare “colonie” tutte le regioni produttrici di beni primari rende il termine troppo generico e troppo “ottimistico”. L’ottimismo della parola “colonie” implica che se un ipotetico dominatore coloniale venisse cacciato, un’economia non diversificata si diversificherebbe, migliorerebbe e diventerebbe capace di produrre piu’ beni e di diversificarsi senza importare tali beni dagli altri.
A dire il vero, ci sono spesso ottime ragioni per cacciare dominatori coloniali: queste ragioni sono politiche, sociali, culturali ed emotive e qualche volta sono anche economiche. Tuttavia, la debolezza delle regioni produttrici di beni primari non puo’ semplicemente essere corretta eliminando l’aggettivo “coloniale”.
Quando Fidel Castro libero’ Cuba dagli Americani, non libero’ Cuba dalla servitu’ dei mercati della canna da zucchero.
Molte regioni fornitrici di beni primari, scivolano lentamente verso il collasso finanziario.
I giornali locali di Grand Cache, una cittadina di minatori dell’Alberta esultavano perche’ dieci imprese Giapponesi decisero di importare carbone da quelle miniere e il contratto avrebbe dato a quella citta’ altri due anni di vita, altrimenti i 4,000 abitanti di quella citta’ avrebbero dovuto emigrare in massa.
Nelle economie produttrici di beni primari, ci sono sempre consulenti del lavoro ed altri simili intellettuali pronti a suddividere il lavoro su scala regionale o internazionale. Essi sostengono che la specializzazione del lavoro migliori le condizioni di arretratezza di un’economia. Questo ragionamento implica che il risultato di essere efficienti e’ causa di se’ stesso. E’ come dire che la pioggia fa bene alle piante ed e’ per questo che piove. Le forze economiche che causano il rimpiazzo delle importazioni modellano la vita economica delle citta’ e quando le importazoni non vengono rimpiazzate ne risultano regioni specializzate. Le regioni produttrici di beni primari continuano ad esistere perche’ le cinque forze delle citta’ non sono armoniose.
Lo storico Tunisino Ibn Khaldun racconta che nel 1381i Beduini del deserto vendevano animali e granaglie alla gente delle citta’ costiere della Tunisia e ne diventavano economicamente dipendenti. Secondo Khaldun, questo fenomeno avveniva perche’ i Beduini restavano nel deserto e non raggiungevano il controllo delle citta’. Questo a mio avviso e’ vero fino a un certo punto. Infatti, i Beduini avrebbero potuto risolvere i loro probemi creando una citta’ da se’.
Le economie fornitrici di beni primari non sono mai autosufficienti. Questo e’ il motivo per cui sono povere e perche’ ricevono sussidi. I beni primari spesso sono prodotti in modo efficiente. Ma questo non significa che tali economie sono efficienti.
Un’economia che contiene solo poche nicchie di persone con diverse competenze, interessi ed idee non e’ efficiente.
Un’economia che non ha risorse e che non si adatta non e’ efficiente.
Un’economia che soddisfa solo pochi dei bisogni della propria gente e delle proprie imprese non e’ efficiente.
Anche quando le regioni produttrici di materie prime diventano efficientissime, le citta’ spesso sono troppo distanti e non hanno abbastanza potere per “raddrizzarle”. Storicamente, molte regioni produttrici di beni primari sono state in grado di rimpiazzare le importazioni. Hong Kong, Seoul e Singapore – non Montevideo e Havana – sono riuscite a superare le loro funzioni precedentemente limitate di centri amministrativi e distributivi di beni primari e diventare delle vere e proprie citta’.